Costello:le canzoni sono mie e me le canto

F F Costello: le canzoni sono mie e me le canto PESARO. Claudio Abbado e la Gustav Mahler Jugendorchester hanno inaugurato l'altra sera con grandissimo successo la XVII edizione del Rossini Opera Festival di Pesaro. Per il maestro, già presente alla manifestazione rossiniana nel 1984 e nel 1992 con «11 viaggio a Reims», è stato un ritorno particolarmente felice: i circa 1700 spettatori del palafestival sono rimasti incantati da un programma all'insegna di Beethoven, Schoenberg e Wagner, in linea con il repertorio mitteleuropeo della giovane compagine, fondata dallo stesso Abbado nel 1986 per musicisti austriaci, cechi, ungheresi e slavi. Aperta dall'ouverture del «Egmont» di Beethoven e chiusa dal maestoso preludio di «I maestri cantori di Norimberga», la serata è culminata nel «Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra op. 58», sempre di Beethoven, e in due brani tratti dai «Gullerieder» di Schoenberg, monumentale e poco nota cantata per soli coro e orche¬ I DI > Cd) di Elvis aver reso LME>N0 nel rock si vive un'estate calda. I vecchi leoni rientrano nel circo musicale esibendo muscoli ed esperienza, cuore e intelligenza. Uno dei migliori dischi di questa stagione è ((Ali this useless beauty» (Wea, 1 Costello. Dopo omaggio ai suoi maestri in «Kojak variety», eccolo ripesentare le canzoni che aveva scritto per altri interpreti (da Johnny Cash a Sam Moore, da Aimee Mann a Roger McGuinn). Talento ormai maturo, con un'alta produzione di altrettanto alta qualità, Costello è ben lontano dal volersi autocelebrare. Si riappropria di un materiale vario e lo riplasma. Inventore raffinato di atmosfere sonore passa dai sentimenti malinconici («Other end of telescope»), duetta con il Brodsky Quartet per uscire dagli stereotipi del suono rock («1 want to vanish»), cerca soluzioni innovative per ballate e rock inglese. Un intellettuale di questa musica che non si accontenta dei manierismi ad effetto. Chi non cambia mai è Patti Smith, che ritroviamo praticamente uguale vent'anni fa come lei stessa suggerisce con il titolo del «Gone again» (Arista 1 Cd). Tra Rimbaud e Dylan, suoni Patti Smith elettrici e ritmica ossessiva, la poetessa rock non abbandona la vecchia strada. L'accompagnano i vecchi amici rimasti (Tom Verlaine, Lenny Kaye, John Cale), cui si aggiunge il giovane JeffBuckley. Irruenze e inquietudini continuano a condire le sue canzoni, che mai lasciano spazio a momenti consolatori. Grande personalità e straordinaria forza interpretativa incendiano undici brani senza fronzoli, ricchi di intensità e drammaticità. C'è chi riapre una porta e chi la chiude. Con «Chaos and Disorder» (Warner Bros, 1 Cd) si concludono 18 anni di rapporto caotico tra Roger Nelson da Minneapolis - diventato successivamente Prince, The Love Symbol e The Artist Formorly Know As Prince (T.A.F.K.A.P.) e la casa discografica. Come regalo di addio, il versatile genietto del fuk americano si è trasformato in rockstar. Da «Purple rain» non si erano più ascoltate tante chitarre elettri- che in un disco di Prince. ascoche i Ha diretto un'impegnativ Al contrario di quanto il titolo può far credere, nel disco non c'è nulla che deborda o sbava. La fabbrica musicale di Pasley Park ha carrozzato una meccanica in cui i riff di chitarra sono decorazioni vistose. Circondato dalla New Power Generation, Prince tenta di imballare il meccanismo, ma nulla possiede il brio irresistibile di brani come «Let's go crazy». Eccetto una ballata dagli accenti beatlesiani («Dinner with Dolores»), questo esercizio di stile, altalenante tra glamour rock e rhythm & blues squillante, non produce nessuna crepa emozionale. Eterno indomito personaggio, Neil Young ama ripartire cavalcando su sentieri pietrosi con il suo Crazy Horse. Dall'alleanza con questo gruppo, con il quale il cantautore canadese registra a intermittenza, escono i dischi più belli e aspri, fondati su chitarre irsute. Ottimi antidoti alle musiche levigate di questa epoca. Vecchio indiano sul sentiero di guerra, Young ama strofinare la sua voce di vetro tagliente su questa materia ruvida. Le sue storie prendono così lo spessore dei sentieri più impervi e il gusto selvaggio delle epopee americane. Di «Broken arrow» si apprezza l'orgoglio beffeggiatore di «Big time», l'avvincente tema di «This town». Anche se in conclusione va detto che non si trovano le melodie trascendenti di «Everybody knows this is nowhere», «Zuma» o «Ragged glory», dischi emblematici di Young. Il rapporto con la propria carriera è complicato, c'è chi non sa liberarsene e chi torna sui proprii passi. Sono i casi di J.J. Cale e Bryan Adams, rocker di classe che ci regalano due soddisfacenti dischi. In «Guitar man» (Virgin, 1 Cd), Cale tenta nuove carte sonore ma torna, per fortuna, al suo delizioso, artigianale, classico suono fatto di rhythm & blues, country e blues sudista. Irruento, fresco e sanguigno come agli esordi è tornato Adams. «18'til I die» (A&M, 1 Cd), tra dolci ballate e cavalcate di chitarra elettrica su buone melodie, è un disco omogeneo, completo, coinvolgente nei suoni.

Luoghi citati: Minneapolis, Norimberga, Pesaro