Un'altra verità per il delitto Aversa

Dopo due processi, 4 arresti disegnano un nuovo scenario per l'omicidio del poliziotto e della moglie Dopo due processi, 4 arresti disegnano un nuovo scenario per l'omicidio del poliziotto e della moglie Un'altra verità per il delitto Aversa Catanzaro, smentita la supertestimone CATANZARO presa. A questo punto poco importa se questa inchiesta fa a brandelli quella che, a pochi giorni dal duplice omicidio, aveva portato in galera due giovani lametini, Rizzardi e Molinaro. Arresti che, sotto la spinta emozionale dell'orrore che, in tutto il paese, la fine di Aversa e della moglie aveva provocato, si svolsero all'insegna della spettacolarità. Ora, invece, i magistrati della Dda - «altri» magistrati della Distrettuale - hanno riscritto le vicende di questo omicidio rimettendo a posto tessere di un mosaico che, dopo che la corte d'assise d'appello aveva assolto Molinaro e Rizzardi, si era disintegrato ponendo interrogativi inquietanti su come la prima inchiesta era stata condotta, sul perché le accuse erano state poggiate quasi esclusivamente su una teste - Rosetta Cerminara - che oggi appare appannata in quell'immagine di «eroina» che le era stata cucita addosso. Oggi Rosetta - ma forse DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ucciso perché non si fermava davanti a nulla, perché, quando si metteva in testa di dar fastidio agli uomini delle cosche, non c'era niente che lo facesse desistere, nemmeno quella legge non scritta tra «sbirri» e mafiosi per cui donne e bambini devono restare fuori. Testardo al punto da mandare in galera una donna, sapendo che avrebbe lasciato a casa da sola una bimba che di lei aveva bisogno. Per questo Salvatore Aversa è stato ucciso, nel gennaio di quattro anni fa, assieme alla moglie, Lucia Precenzano, in una strada buia di Lamezia Terme. Da ieri per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro i mandanti (Francesco Giampà, il «professore»; Nino Cerra e Giovanni Torcasio) e il presunto carnefice (Vincenzo Torcasio) hanno nomi e volti, diversi da quelli di Renato Molinaro e Giuseppe Rizzardi, già indicati come gli assassini. A contare oggi è la motivazione che, secondo i magistrati, ha armato la mano dei killer. Il sovrintendente di polizia Aversa aveva scatenato il suo fiuto di vecchio investigatore contro la cosca Giampà-Cerra-Torcasio, uscita vincente dal confronto con le «famiglie» rivali. Se uno dei boss o anche solo un «picciotto» usciva di galera, lui, Aversa, era lì pronto a controllarne le mosse, a chiedere per lui misure di prevenzione. Forse Aversa aveva messo in conto anche di poter essere ucciso, ma non aveva allentato la LA STRATEGIA ANTIMAFIA CALTANISSETTA DAL NOSTRO INVIATO Delle stragi mafiose del '92 e del '93 si parla ormai come di episodi concatenati, sorretti dallo stesso filo, ispirati dallo stesso contesto politico. Il procuratore Vigna ha addirittura ipotizzato che fu «necessità politica» - l'isolamento, la caduta del vecchio sistema e l'affacciarsi all'orizzonte di nuove realtà - a spingere Cosa nostra verso la scelta terroristica. Dopo Capaci e via D'Amelio, stragi «mirate» soprattutto all'eliminazione fisica di «nemici storici» (Falcone e Borsellino) e irriducibili impedimenti per le nuove mire, dopo l'agguato contro Maurizio Costanzo, in via Fauro, la mafia di Totò Riina passa al terrorismo vero e proprio: ancora Roma, Milano, Firenze, i falliti attentati alla Torre di Pisa, allo Stadio Olimpico, le siringhe infette nelle spiagge romagnole. Chi ha diretto le operazioni? Chi ha indicato ai «rozzi corleonesi» obiettivi raffinati come San Giorgio al Velabro o il palazzo del Vicariato? Queste domande ed altre giriamo a Giovanni Tinebra, uno dei tre procuratori - gli altri sono Vigna e Caselli - impegnati nella ricerca dei cosiddetti «mandanti esterni a Cosa nostra». E allora, dott. Tinebra, lo abbiamo agguantato questo benedetto «avello superiore»? Vigna ha fatto un bel quadro di questo scenario. «Io parlerei di possibile scenario». Che fa, frena? Si è parlato di una convergenza di interessi politici, di massoni, di apparati deviati e non... «Di poteri trasversali... Sì, è una pista che seguiamo. Io sono tenuto alla riservatezza e quindi non potrò entrare nei dettagli né rivelare nulla che sia coperto dal segreto. Restando sul generico, proprio come le cose che ho letto sui giornali, posso dire che la famosa "ipotesi B" - quella che fa riferimento ai mandanti di Capaci e via D'Amelio - è ancora allo stato di ipotesi. Stiamo lavorando per cercare di provare se è vero che gli ideatori delle stragi siano state menti esterne a Cosa nostra, che invece - e questo è provato - si occupò della fase esecutiva. E' un quadro che deve essere ancora lungamente esaminato e maggiormente chiarito. Non è detto, per esempio, che il prospettato movente degli episodi del '93 - la volontà di Cosa nostra di allontanare l'attenzione dalla Sicilia e il conseguente tentativo di costringere lo Stato ad allentare la morsa repressiva - sia in armonia con quello delle stragi di Capaci e via D'Ame- il e a. ò a Accanto: il procuratore Giovanni Tinebra. A destra: Totò Riina lio». Può essere più chiaro? «Voglio dire che se comportamento anomalo di Cosa nostra c'è stato, questo è successivo alle stragi del '92 inseribili perfettamente nella tradizionale logica mafiosa, che da sempre ha ucciso i propri nemici, quando non ha potuto comprarli. Anzi devo aggiungere che per la prima volta abbiamo la certezza - ma non mi chieda di più possa sostenere tesi accusatorie totalmente divergenti. Sulle dichiarazioni di Rosetta Cerminara, sul suo «coraggio», sulla sua «voglia di riscatto» c'è chi ha fatto la sua fortuna. I magistrati della Dda di Catanzaro dicono che andranno in fondo, per valutare se la ragazza ha parlato con obiettivi diversi da quelli di giustizia. L'avvocato difensore Veneto chiede soltanto che «chi ha ricevuto promozioni ed elogi ne renda conto, assieme ai tanti che hanno sposato troppo presto la causa dell'eroina e del lupo cattivo». non si chiama più nemmeno così - è un personaggio ingombrante, che ha già ottenuto consistenti prebende da uno Stato che non poteva apparire inane davanti a un attacco profondo e sanguinoso che gli era stato portato con l'eliminazione di Aversa. Già nel primo processo l'impianto accusatorio era apparso scricchiolante, con verbali che, in un perverso gioco di specchi, apparivano e sparivano, rendendo così facile il gioco dei difensori, che ne ottennero l'annullamento. Solo un rinvio di pochi mesi perché la corte d'assise di Catanzaro, con un nuovo pm, decise che Molinaro e Rizzardi erano colpevoli e per loro le con¬ danne furono pesantissime (25 anni al primo, ergastolo al secondo). Ma la corte d'appello, quando ormai la spinta del sentimento s'era attenuata, stravolse la prima sentenza assolvendo i due imputati, ma soprattutto accusando Rosetta Cerminara di aver indicato in loro i responsabili dell'agguato solo per poter ottenere benefici economici, e non solo. Una sentenza che però la Cassazione ha annullato. Rizzardi e Molinaro torneranno davanti ai giudici il 2 dicembre, in un processo che appare già da ora segnato, anche perché sarà difficile che l'ufficio del pubblico ministero, seppure in due diversi gradi di giudizio, Diego Minuti Accanto: il sovrintendente di polizia Salvatore Aversa, con la moglie: sono stati uccisi in un agguato quattro anni fa. Sotto: Rosetta Cerminara, la testimone chiave del primo processo, sconfessata dalla nuova svolta delle indagini