20 MILIARDI A GRISHAM

20 MILIARDI A GRISHAftt 20 MILIARDI A GRISHAftt Contratto record per John Grisham. Il giallista britannico sta per cedere i diritti cinematografici del suo ultimo romanzo per la cifra più alta mai pagata a Hollywood: 20 miliardi. ANNO 130 NUMERO 2 16 21 RACCONTI D'ESTATE r..\ - 'K NJf 1|| ROMA 7 IMPEGNO preso, con Liliana Cavani, è non parlare di Rai. Dobbiamo fare I una intervista per la serie «Una donna, un uomo» e lei sta cercando il personaggio, nella memoria. Si è riservata quest'ora che dovrebbe essere tranquilla, nella casa vicino al lungotevere dove la targhetta del citofono, protettiva, la nasconde da qualche tempo sotto un altro cognome. Non c'è altri che lei, nelle stanze affollate di libri - psicoanalisi, critica, filosofia - segno di tante ore passate al tavolo, lontana da terrazze e salotti. Ma il telefono squilla ogni cinque minuti ed è sempre, per un verso o per l'altro, Rai. Bisogna fare finta di non sentire, in questi giorni di bagarre a viale Mazzini. «Un uomo?»; la regista, in maglietta e pantaloni, secondo il suo stile di sempre, cerca di dimenticare il telefono. «Un uomo che ha lasciato un'impronta nella mia vita?». E trova un nome che la riporta in Rai. Il personaggio, sconosciuto al pubblico, non alla maggior parte degli intellettuali italiani, che hanno fatto con lui il primo apprendistato televisivo, è Pieremilio Gennarini. Un milanese asciutto, dall'approccio scabro, se non proprio ruvido; la fama lo voleva cattolico di sinistra, con forti simpatie dossettiane. Nei fatti, fu l'uomo che imbarcò nella nascente televisione il meglio della nostra giovane cultura, attraverso i concorsi da lui diretti. Era la bestia nera del vecchio apparato aziendale, perché quei giovani creavano una concorrenza impegnativa con i riciclati dell'Eiar e i portaborse dei sottosegretari annidati nel palazzo: che li chiamavano, per spregio, «i corsari». Fra loro c'erano Umberto Eco e Furio Colombo, Emanuele Milano e Folco Portinari, Angelo Guglielmi e Fortunato Pasqualino, Lidia Motta e Sandro Viola, fino agli ultimi arrivi, come Francesca Sanvitale e l'esordiente Enzo Siciliano. Anche la ragazza partita da Carpi, con una laurea in lettere classiche e tanta voglia di fare cinema, approdò lì. «Mi ero laureata a Bologna con 110 e lode a giugno del quarto anno; a settembre avevo dato l'esame al Centro sperimentale di cinematografia ed ero stata uno dei quattro ammessi. Vivevo a Roma, in camera d'affitto. Mio padre, architetto, che al tempo della dominazione inglese aveva rifatto l'urbanistica di Baghdad, aveva una bella casa in via Ripetta; ma io volevo stare per i fatti miei. Vivevo con poco, però il gruzzolo con il quale ero partita da Carpi stava per esaurirsi. C'era un concorso alla Rai per 30 giovani, concorrevano in migliaia; feci domanda anch'io». Superò lo scritto, con altri 150, si trovò davanti alla commissione per l'orale, che doveva dare l'ultima scrematura. E lì, con il suo carattere, rischiò di mandare a monte tutto. «Mi chiesero a quali fonti sarei ricorsa per illustrare un documentario sul Quattrocento e io mi misi a parlare della pittura. Un commissario mi osservò che avevo dimenticato le cassapanche. Pensai che fosse un pretesto per eliminarmi: dovevano selezionare molto, e io non avevo nessun referente. Mi alzai, dissi: "Questa non è una cosa seria", e me ne andai». Quel commissario, con il quale avrebbe poi lavorato a lungo, era Angelo Romano. Ma mentre lei era già sulle scale, le corse dietro il segretario della commissione,

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