Sul traguardo, fermati dal destino di Gabriele Romagnoli

Sul traguardo, fermati dal destino Sul traguardo, fermati dal destino E' una dura lezione, ma nessuno ha «tradito» ro si perdevano in un campo di tulipani finché papà non veniva a sgridarli e prenderli per mano, riportandoli indietro. E lo meritava Lorenzo Bernardi, se solo esistesse un dio, anche solo un dio minore che ogni tanto dà uno sguardo alle partite di pallavolo e rimette le cose al loro posto, il podio più alto per chi ne è degno e lui ci sarebbe arrivato con la violenza e la tenerezza, le schiacciate che non ti aspetti da quella faccia lì e le carezze, come sempre le più assassine, per mandare la palla oltre tutti i Van der Meulen del mondo che, invece, non fanno una piega e stanno lì a respingerle, le carezze. E Paolo Tofoli, che nel momento più bastardo del secondo set è andato a recuperare una palla già arrivata all'uscita, pronta a salire sul metro per andare all'hotel e riposarsi e l'ha riportata dentro, a farsi schiaffeggiare ancora, ma il secondo schiaffo se l'è preso lui, una schiacciata mostruosa tra mascella e orecchio, con la faccia messa lì per salvare qualcosa più della faccia, già salva di suo e che, invece, non lo poteva più salvare nessuno: il risultato di una partita. Poi dopo la botta, subito su, in piedi a costruire altre azioni, punti, fughe in avanti sempre respinte indietro. Lo meritava Luca Cantagalli, che ha recuperato di tutto e con tutto: con i gomiti, con la punta delle dita, con la speranza nuda che qualcosa bastasse a far viaggiare l'auto verso casa, anche senza benzina, ruote, nemmeno quella di scorta, un tuffo nell'impossibile che qualche volta funziona, quasi sempre no: e questa volta non è andata. Lo meritavano tutti, dai, Vigor Bovolenta mascherato per la parata finale, Pasqua¬ le Gravina devastato dalla grinta, Andrea Zorzi , Marco Bracci, Andrea Giani, Pasquale Gravina, Andrea Sartoretti, più tesi che mai, più imprecisi di sempre, perchè erano la generazione dell'oggi o mai più. E l'avrebbe meritato il loro allenatore Julio Velasco, nonostante l'agiografia e il protagonismo, i saggi su Micromega e le lezioni di vita. Anche se poi sarebbe diventato amico di Liberal e leader della Sequoia, ospite fisso in prima serata e uomo forte al quale consegnare per sempre le nostre debolezze perchè le scaraventi oltre qualunque muro. Immobile per tutta la partita, Julio Velasco, a guardare gli schemi incepparsi, la storia deragliare e la macchina della vittoria spiaccicarsi ancora su quella barriera. Ma i ragazzi della domenica non sono quelli del sabato sera, fanno gesti acrobatici e non passi di macarena, sono rosi dai desideri, non dalle pasticche. C'è solo un piccolo, freudiano, ostacolo tra loro e il destino che vogliono: il muro di Van der Meulen, ma, questi o altri dodici sapranno andare oltre, superando anche il complesso del padre, dell'uomo che indica la via, preserva dalle paure. Ci arriveranno, a Sidney o dove sarà. Lo faranno per se stessi e anche per quel signore argentino che un giorno cominciò a scrivere il racconto del loro viaggio, ma non lo finì mai, non perchè non ne fosse capace, ma perché alla fine della strada bisogna saperci andare da soli, camminando sulle proprie gambe e questa era la lezione che aveva per loro, quel giorno lontano e trascurabile in cui giocarono ad Atlanta in un campo arancione. Gabriele Romagnoli

Luoghi citati: Atlanta