Tajoli l'usignolo che consolò l'ltalia

Milano, scompare uno degli ultimi grandi della canzone melodica, aveva 76 anni Milano, scompare uno degli ultimi grandi della canzone melodica, aveva 76 anni Tajoli, l'usignolo che consolò Pltalia Interprete di «Aldi là», «Mamma» e «Scrivimi» Da ciabattino a idolo, poi fu dimenticato MILANO. Era una delle ultime grandi voci della canzone melodica all'italiana. Luciano Tajoli, 76 anni, è morto due sere fa a Merate (Lecco), dove abitava con la moglie Lina. Da qualche tempo era sofferente di disturbi al fegato. Nato a Milano, dotato di una voce da tenore leggero rimasta inalterata nel tempo, Tajoli aveva celebrato lo scorso giugno i 55 anni di un'ininterrotta carriera con una grande festa a Merate. Proprio in quell'occasione il grande interprete aveva confidato agli amici e ai colleghi di una vita che avrebbe dovuto farsi ricoverare subito dopo per problemi al fegato. I funerali si terranno oggi, alle 16, nella parrocchia di Sant'Ambrogio a Merate, dove verrà tumulato nella cappella di famiglia. ESSUNO ne voleva sapere di un cantante sbirolato», raccontava Luciano Tajoli ricordando la frustrante gavetta negli anni delle sanzioni, dell'autarchia, dell'impero che vendicava l'onta di Adua, del mussoliniano «no pasaran e invece siamo passati» dopo la guerra di Spagna. Per Tajoli, milanese di «ringhiera», nato nel cuore del Vigentino, un quartiere, allora, dell'estrema periferia, «sbirolato» era un modo ironico per dire, senza piangersi addosso, che si trascinava sulle gambe rese storpie dalla poliomielite. La voce era deliziosa di gorgheggi, filante, melodica come piaceva allora e come sarebbe piaciuta sino all'avvento di Modugno, dei rocchettari tricolori e dei cantautori. Le corde vocali erano da usignolo ma, all'Eiar, la Rai del ventennio, gli dissero che, con quel fisico, poteva tornare al banchetto del ciabattino. Era il 1937. Risuolava scarpe il diciassettenne figlio di un'operaio meccanico e di una cameriera. Campava così. Lo stava per rispedire al trincetto, al cuoio, alle tomaie anche la giuria che, nell'autunno del 1939, quando Hitler era già a Varsavia, selezionava «voci nuove» al Giardino dell'Odèon, dancing della borghesia milanese. Non lo avevano neppure ascoltato perché davvero Luciano era angosciantemente storpio e poneva qualche problema di palcoscenico a impresari di anni assai poco inclini ai diritti degli handicappati. Ma, il coraggio, la civiltà che non dimostrarono quei giurati, li ebbe il proprietario dell'Odeon, commendator Zammaretti. Quella stessa sera, lo «sbirolato» Luciano, che aveva in qualche modo vinto la malasorte giocando persino a calcio nella squadra dell'oratorio a difesa di una porta rimpicciolita dalla buona intelligenza del parroco, beffò definitivamente la poliomielite. Portava l'abito blu di uno zio. Entrò fra il palpabile imbarazzo del pubblico, gorgheggiò «Son geloso di te» ed uscì in un delirio di applausi, con un lungo contratto a trenta lire a sera. «Una paga da svenimento», raccontava, «Almeno per me che da ciabattino guadagnavo due lire settimanali e che allibivo quando il maestro Mascheroni mi dava 10 lire perché cantassi le sue canzoni per strada, trasformandomi in una specie di propagandista canoro, in uno strillone melodico. Ricordo che, con il mio primo "cachet", comprai un vestito di satin nero per mia madre». Era nato «l'usignolo». Ma non sarebbe stato facile trovare varchi fra gli arrivatissimi Natalino Otto, Alberto Rabagliati, Silvana Fioresi, Norma Bruni, Odoardo Spadaro, Tina Allori, Maria Pia Arcangeli che all'Eiar monopolizzavano i microfoni e le orchestre di Pippo Barzizza, di Wolmer Beltrame di Angelini, di Gorni Kramer. Ormai, era tempo di guerra, tempo poco adatto a far carriera. Le «grandi firme» davano voce a «Non dimenticar le mie parole», a «Notte e dì», a «Ma l'amore no». Tajoli s'era creato un mercato milanese: serate nelle balere e debutti nelle riviste a cui la gente affidava il bisogno di archiviare, almeno per qualche ora, i luttuosi pensieri. Non le spettacolari «revue» di Wanda Osiris, ma le rivistucole, quasi avanspettacoli, del teatro Mediolanum. Qui, in una sera della Milano repubblichina, Tajoli placa l'ira del pubblico, un terremoto di fischi su comici e soubrettine, ricamando di acuti «Mandolinatella» e «Raggio di sole». Ma non basta per sfondare, per far quattrini. A guerra finita, nell'estate del 1945, l'«usignolo» farà debiti per pagarsi un precario viaggio di nozze. Debiti prontamente pagati, perché il dopoguerra è affamato di musica, di canzoni, di balli. Arriva il jazz, imperversa Glen Miller, sbarca il roco vocione di Louis Armstrong, si balla il samba, la conga, la raspa, ma il melodico all'italiana non solo regge, ma reagisce e, in quel primo dopoguerra, vin¬ attino ci anni Luciano Tajoli; l'ex ciabattino aveva iniziato a cantare a dieci anni A destra Nilla Pizzi nella foto in basso Tajoli con il rivale Claudio Villa