Il monaco? Fa ginnastica
Da Amenofi ai giorni nostri, una storia dell'attività fisica Da Amenofi ai giorni nostri, una storia dell'attività fisica Il monaco? Fa ginnastica E San Benedetto la ordinava nella «regola» DPARIGI AI saltelli di Amenofi II fissati su un bassorilievo, a quelli di Jane Fon 1 da in rete su Internet, ne ha fatta di ginnastica l'umanità. Inventata dai greci per l'addestramento degli opliti, trascurata dal pudico Medioevo, riscoperta come rito sociale dal Rinascimento e innalzata (o degradata?) a esibizione dalla modernità, l'arte ginnica è anche un indicatore dello spirito del tempo. Così la racconta Dominique Laty, in gioventù professore di ginnastica e ora storico della cultura fisica, autore di una storia delle terme, di una storia delle diete e ora di questa Histoire de la gynmastique en Europe de l'antiquité a nos jours, pubblicata dalla Presse universitaire francaise. Con frequenti incursioni nella politica, nella filosofia e nella letteratura, Laty ricostruisce l'evoluzione del rapporto dell'uomo con il proprio corpo. La ginnastica è, con la musica e la lettura, la base dell'educazione degli «anorói», i teen-ager della civiltà minoica (XVI secolo avanti Cristo). Lo storico Filokonos ci racconta gli agoni ginnici (del figlio di Minosse dicono fosse imbattibile), cui erano ammesse le ragazze, e il faticoso tirocinio dei campioni delle tauromachie, che negli affreschi cretesi indossano una cintura da ginnasta. Nella Grecia classica l'attività fisica è considerata propedeutica alla guerra. Gli istruttori insegnano i gesti che salvano la vita in battaglia, i riflessi che proteggono, le mosse che consentono di uccidere. Gli allievi si esercitano rigorosamente «gymnoi», nudi, termine da cui derivano sia la «ginnastica» che i primi club sportivi, i «ginnasi», che compaiono nel VI secolo. Ma già gli eroi omerici erano ottimi ginnasti, se è vero che Nestore (Iliade, XXIII) si scusa per la sua «incomoda vecchiezza» ricordando i tempi in cui «al pugilato battevo Clitomede, alla lotta Anceo, Ificlo nella corsa, Fileo e Polidoro nel lancio del giavellotto...». Nel Medioevo il disprezzo del corpo non arriva a vietare la ginnastica. Anzi, Paolo Diacono, nel suo commento alla regola di San Benedetto, raccomanda di «condurre i novizi una volta alla settimana in un prato, dove possano esercitarsi sotto la guida del maestro», in modo da «soddisfare le esigenze della natura umana». Ma è il Rinascimento l'età dell'oro della ginnastica. Pensatori come Pietro Pomponazzi studiano l'influenza del corpo sull'anima, e teorizzano l'unità intrinseca dell'essere, rifiutando la concezione tomista di uno spirito superiore e altro rispetto alla carne. La grande pittura Il primo medico a funestare i pazienti con l'esercizio fisico a scopo terapeutico è Ippocrate. Consigliato correre alzando e abbassando le braccia, allenarsi a evitare sacchi di sabbia che oscillano appesi al soffitto, come fanno i moderni pugili, e passeggiare dopo i pasti, traendo lunghi respiri. Ottimi i salti, per tenersi in forma e evitare il concepimento dopo un rapporto a rischio. Due secoli dopo, Diocle di Caristo arriva a consigliare a tutti i cittadini di Atene di «strofinarsi il collo al risveglio, per evitare noie alla schiena, frizionarlo con olio e lanciarsi in una marcia di dieci stadi». Un dipinto egiziano, San Benedetto e, sotto, Campanella
Persone citate: Caristo, Dominique Laty, Laty, Paolo Diacono
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