CERCANDO L'ANARCHICO

LA RILETTURA LA RILETTURA di Luca Ragagnin IL mare» dijules Michelet, de II Melangolo. Perché è un'opera inesauribile che disegna il mondo fisico con le parole dello spirito e viceversa. Perché è un libro da leggere davanti all'acqua, di fronte ad uno qualsiasi tra le centinaia di mari possibili. Ogni volta che arriva l'estate lo tolgo dallo scaffale e lo metto in valigia. Ha la magia dei libri che cambiano con il tempo. Anche se è figlio di uno storiografo francese del primo '800. Ci racconta come sono fatte le spiagge, i lidi, le falesie, i sassi, gli oceani, prima e dopo l'uomo. Parla dei pescatori, delle tempeste, dei fari. S'inabissa fino a sfiorare i fondali e osserva quello che succede. Quando arriva agli schemi della specie e dedica un capitolo alla conchiglia, uno al crostaceo, e alla balena, al polpo, alla sirena eccetera, commenta così: «Si è tristi quando si pensa che i miliardi e miliardi d'abitanti del mare conoscono soltanto un amore ancora vago, elementare, impersonale». CERCANDO L'ANARCHICO Magagnoli: utopia nella pampa UN CAFFÉ* MOLTO DOLCE Maria Luisa Magagnoli Bollati Boringhieri pp. 257 L. 32.000 UN CAFFÉ* MOLTO DOLCE Maria Luisa Magagnoli Bollati Boringhieri pp. 257 L. 32.000 N caffè molto dolce è un titolo che si presta ad agire come un refrain nel romanzo dì Maria Luisa Magagnoli, dove insinua il senso di una pigrizia della gola e dei sentimenti, di un indugio Beve davanti ai movimenti di una vita che si svela concitata, febbrile. Come quella che la figura narrante, una giovane donna, indaga e rappresenta, la vita dell'anarchico Severino Di Giovanni. Ubbidisce, scrivendo, a una fascinazione strana, perché inespressa, quasi un richiamo dall'aldilà. Possiamo intuire in lei una comunanza di genti e paesi con il suo personaggio, forse uno stimolo, che arriva dagli «anni di piombo», a cercare il senso di più lontani confronti e affronti. Ma tutto nasce - ci viene detto - dalla scoperta di una fotografia che, denunciando e insieme sfocando il senso di un destino non comune,-sembra sollecitare alla ricerca delle sue tracce nella realtà e nella leggenda. Severino, ultima professione tipografo, all'avvento del fascismo emigra dall'Abruzzo in Argentina, dove trova lo scenario ideale per la sua lotta. Anche là c'è una dittatura, ma i grandi spazi e il cosmopolitismo pezzente nutrito dalle zone più infiam¬ mate d'Europa gli offrono risorse impensabili in patria. Stampa manifesti e opuscoli clandestini, si inserisce nel grande movimento di protesta per l'esecuzione di Sacco e Vanzetti. Da tolstoiano, quale all'inizio si professa, diventa terrorista spericolato e imprendibile. Ha una fede incandescente nella quale si confondono odio e sete di martirio. Isolato tra i compagni che gli rimproverano la sterilità dei gesti estremi e la noncuranza per le vittime innocenti, nel 1931 l'anarchico «vestito di nero» viene preso e fucilato dopo un processo sommario. A mezzo secolo di distanza, Maria Luisa Magagnoli, e per lei la sua protagonista, vola in Argentina per strappare all'oblio Severino e i suoi anni. Passa ore tra le carte della Biblioteca nazionale, incontra vecchi testimoni disillusi o indomiti. Stringe amicizia con America, che ha avuto con Severino una bruciante storia di amore, ma anche con persone ignare, prodighe di affetto. Si lascia catturare da una terra che offre sensazioni da mattino del mondo ma non riesce a occultare le ferite di una violenza originaria. La Magagnoli ce ne dà una rievocazione vivida, in un romanzo ragguardevole anche se non risolto compiutamente. Hai l'impressione che soltanto in un secondo tempo abbia rinunciato a una rigorosa ricostruzione storica in favore di un percorso narrativo. Il montaggio a flash-back è sapiente, la lingua decantata, ma si avverte un sedimento di fasi improduttive della ricerca, di figure ininfluenti. E certe vicende smaglianti, di grande forza nativa, vengono date per giustapposizione, mentre esigerebbero una maggiore fluidità. La sorpresa, e la riuscita più evidente, del romanzo sta nel rovesciamento finale. Quando Severino ammette la vera sconfitta: «Non sono un autentico trasgressore perché non ho saputo trasgredire me stesso». E là dove la scrittrice confida: «Quella storia di tragedie e sconfitte aveva portato nella mia vita amicizia e inattesa bellezza». Che è per lei, e per il suo mitico personaggio, la liberazione da una malinconica, e funesta, malia. Lorenzo Mondo GLI APOLOGHI DI PRIMO LEVI Lo scrittore vince sullo storico I RACCONTI Primo Levi Einaudi Tascabili pp. 587 L 19.500 I RACCONTI Primo Levi Einaudi Tascabili pp. 587 L 19.500 HISSA' chi sarebbe oggi Primo Levi se non avesse scritto Se questo è un uomo, La tregua, I sommersi e i salvati. La domanda può essere retorica, non oziosa. Sarebbe uno fra i maggiori autori italiani del '900. Mancherebbero a noi, è vero, alcuni testi fondamentali; non si ridurrebbe in nulla la sua statura letteraria. Condannato, quasi per necessità storica, alla etichetta del testimone, Levi ha combattuto tutta la vita per conquistare il diritto a essere letto - e valutato - sulla pagina. Certo, la sua testimonianza era così importante, e di tale altezza, che ha finito per sopraffare il giudizio critico. Ma è giusto che oggi lo si rilegga - e lo si collochi - per quel giudizio. Si può tentare la prova del paradosso. Si può sfrondare l'opera di Levi dai grandi libri di testimonianza e puntare sulle opere di narrativa pura: fantastica, ironica, anche metafisica; per vedere quanto resiste alla nostra lettura oggi, superata la boa del tempo. Resiste benissimo. E' la prova che ha fatto Ernesto Ferrerò, lettore fedele e attento di Levi, nel volume I racconti, apparso ora da Einaudi, che riunisce le sue tre principali raccolte: Storie naturali, Vizio di forma, Lilit. Sono tre titoli che hanno avuto meno traduzioni, meno contributi di critica; hanno, forse, meno lettori. Ma la spia dello scrittore è lì. E' in quella prosa tersa e insieme mossa, ispirata al rigore e alla chiarezza che gli detta l'esperienza del chimico e insieme percorsa da tensioni dissimulate, densa di sottili sottosensi, che aprono spazi imprevedibili alla fantasia. Ferrerò sottolinea giustamente, nella introduzione, che «le esperienze letterarie più feconde del nostro Novecento, le più innovative, ci vengono da tre scrittori in cui gli interessi scientifici si sono felicemente coniugati con un solido strato di cultura classica»: l'ingegner Gadda, Calvino, {<<figlio di botanici, che aveva fatto sua la disposizione ordinatrice e classificatrice dei genitori») e Primo Levi. Ma mentre Gadda e Calvino sono stati adottati subito dalla tribù delle lettere, Levi è stato visto, a lungo, come rappresentante di un'altra tribù; accettato solo, sul piano storico, per la forza della inevitabilità. I racconti ora raggruppati nel volume einaudiano non fanno appello ai grandi richiami della storia. Si reggono tutti e soltanto sui valori della invenzione e della scrittura. Il testimone lascia da parte la tragedia di cui è stato protagonista ieri per mettere a fuoco le nubi che si addensano sulla società di oggi. Se la tensione che lo anima è la stessa, il linguaggio si fa necessariamente diverso. L'uomo che ha operato per tanti anni nella civiltà industriale, discute i limiti di una tecnologia fine a se stessa, guarda preoccupato alle alterazioni che stiamo producendo nel nostro pianeta, ai rischi delle manipolazioni genetiche. Ma non cade mai nel moralismo. Con un senso di humour che corregge sempre l'apocalisse, Levi respinge la tentazione dello sguardo all'indietro, la nostalgia del bel tempo antico, che non è esistito mai. E applica il suo senso critico alle prospettive del domani, con una serie di apologhi tanto socialmente profetici quanto letterariamente esemplari. Rileggiamoci queste pagine, valgono oggi più di ieri. Giorgio Calcagno QUEL SOGNO AMERICANO DEGLI ITALIANI DI JOHN FANTE UN ANNO TERRIBILE John Fante traduzione: Alessandra Osti Fazi pp. 112 L. 22.000 UN ANNO TERRIBILE John Fante traduzione: Alessandra Osti Fazi pp. 112 L. 22.000 OHN Fante come si sa interruppe presto una promettente carriera di scrittore specializzato in vivaci e disinibite descrizioni di italoamericani molto simili alla povera famiglia di emigranti da cui egli stesso proveniva, per andare a Hollywood e lavorare per le majors in cambio di un congruo assegno settimanale: solo quando, precocemente invecchiato e distrutto dal diabete, non potè fare altro, tornò alla letteratura, dettando alla moglie. Sempre questa moglie, diventata vedova, venne riscoprendo racconti e abbozzi rimasti nel cassetto, come questo Anno terribile (titolo originale, 1933 Was A Bad Yearj, del quale sappiamo che l'autore non era del tutto persuaso, ma che valeva certo la pena di ripescare in quanto tutto percorso dalla sua irresistibile energia (ormoni, la chiama Sandro Veronesi in una prefazione allegra e iperbolica, da vero fan). Questa energia è come al solito al servizio di una storia che mette insieme amalgamandoli estrosamente Sogno Americano e retroterra di un figlio di italiani sballottato fra le due culture. Dominio Molise che la racconta in prima persona è all'epoca dei fatti un diciottenne bassetto, goffo e bruttino, figlio di muratore disoccupato, a Roper nel Colorado: e così come all'occasione le pulsioni del sesso che gli hanno insegnato a considerare peccato lo sconvolgono fino all'insensatezza, e così come è convinto di avere visto la Madonna, vive nella certezza di possedere un braccio magico, da lanciatore di baseball destinato alla gloria: così che il libretto consiste principalmente nelle peripezie che egli affronta per procurarsi i 50 dollari con cui recarsi a Chicago a fare un provino per quella squadra. Pur nei limiti ristretti della cittadina di provincia, le avventure di Dominio hanno, grazie alla vena smargiassa e all'impudicizia di John Fante, dimensioni quasi mitiche, riallacciandosi in qualche modo alla tradizione della «tali story» o superfrottola della frontiera. Le esitazioni del ragazzino davanti alla bellissima sorella di un amico, che si diverte a prenderlo un po' in giro, diventano per esempio una crisi colossale, e la sua brutta figura, una catastrofe dalla quale egli esce peraltro illeso - come i personaggi dei cartoni animati, gli eroi di John Fante posseggono l'elasticità e la possibilità di incassare all'infinito. Veronesi sostiene come sia praticamente impossibile restare indifferenti davanti a John Fante (del quale Charles Bukowski esaltò il non aver paura dei sentimenti), che in qualche modo ti prende sempre a tradimento. Con me questa volta hanno funzionato due leve che presumo valide per pochi altri lettori. La prima è il personaggio di una nonna ostile a tutto, che sogna solo di tornare a Torricella Peligna - Torricella Peligna! E' un paesino abruzzese dal quale partì anche un «mio» bisnonno, per venire a Roma a fare il costruttore. Ben più dura la sorte dell'analfabeta progenitrice di Dominio, finita come John Fante stesso in un angolo del Colorado! L'altra mia madeleine è la presenza di un odore, quello del liquido con cui Dominio si spalma incessantemente il braccio per tenerselo caldo d'inverno - e che in italiano non si chiama Balsamo, come la brava ma giovane traduttrice lo rende, bensì Linimento Sloan. Esisterà ancora? Prima di una partita ai miei tempi non c'era spogliatoio che non sapesse di quell'acre miscuglio di pino e canfora. Masolsno d'Amico