Chicca fa lo sciopero della fame di F. Poi.

L'annuncio in un telegramma al ministro Flick: «Sottoposta a un trattamento degno delle carceri turche» L'annuncio in un telegramma al ministro Flick: «Sottoposta a un trattamento degno delle carceri turche» Chicca fa lo sciopero della fame Protesta in carcere la vedova Rostagno MILANO. «Quello che mi stanno facendo è pazzesco. Credevo di essere una cittadina italiana, scopro di essere in Turchia». Con queste poche righe scritte dall'infermeria del carcere di San Vittore, Chicca Roveri annuncia al ministro Flick l'intenzione di iniziare lo sciopero della fame, a partire da lunedì prossimo. «E' una situazione terribile, ma non puoi perdere la speranza nei magistrati, anche se in questi anni se ne sono viste davvero tante...», commenta Maddalena Rostagno, 23 anni, doppiamente colpita da questa vicenda, per essere rimasta orfana di padre a 15 anni, per avere la madre in carcere accusata di favoreggiamento degli assassini. Ed è alla figlia che è destinato un pezzo di quel telegramma, arrivato sul tavolo del ministro della Giustizia e reso noto dal deputato verde Marco Boato «prima che possano verificarsi eventi drammatici e irreparabili». . Scrive Chicca Roveri: «Forse le mie accuse ad alcuni carabinieri non sono piaciute. Lunedì entrerò in sciopero della fame; che mia figlia vi possa perdonare, io non lo farò mai». Risponde, Maddalena Rostagno: «E' pazzesco che non si abbia nemmeno il dubbio che questa donna, che mia madre possa essere innocente...». Nel telegramma al ministro Flick, Chicca Roveri evoca la Turchia, i 12 morti per lo sciopero della fame, i 15 ancora in pericolo di vita e la repressione violenta contro tutti i militanti del partito comunista turco. Azzarda il parallelo con la sua vicenda, con i suoi otto giorni di detenzione nell'infermeria del carcere. Detenuta con altre tre recluse nell'infermeria di San Vittore, la vita di Chicca Roveri è fatta di niente: legge, scrive e sottolinea l'ordinanza del gip letta mille volte: «Questa tesi Perry Mason la smonterebbe in due battute». Come se fosse un telefilm, come se bastasse un avvocato di impossibile successo a tirarla fuori da questo guaio e da questa accusa - favoreggiamento più grande nella sostanza che nelle parole. Chicca Roveri dentro, sua liglia fuori, in attesa, a rispondere alle tv e ai giornalisti. «Scrivo a mia madre tutte le notti, in attesa del colloquio che avrò con lei venerdì. Ma lei, nell'ultima lettera, mi ha fatto avere solo un foglio bianco, con 4 parole: "Non riesco a scrivere"», dice Maddalena. E con quel foglio bianco vuole raccontare quale sia lo stato d'animo di sua madre, vedova otto anni fa e adesso in carcere, accusata di aver nascosto ai magistrati molte verità su quei ragazzi della comunità che - secondo l'accusa - imbracciarono le armi contro Mauro Rostagno, contro uno che si batteva per loro. Uno di questi è Giuseppe Cammisa, detto «Jupiter», ricercato con l'accusa di omicidio. Napoli, uno dei rapinatori è stato arrestato Cammisa aveva annunciato nei giorni scorsi che sarebbe tornato in Italia a chiarire tutto. Aveva precisato che sarebbe arrivato a Linate, lunedì sera, con un volo di linea ungherese. E invece niente. Malgrado avesse prenotato il volo, su quell'aereo «Jupiter» non è mai salito. «Gli ho consigliato io di non rientrare subito in Italia e aspettare», fa sapere Mirko Palumbo, difensore di Cammisa. Il legale annuncia anche che il suo assistito ha un alibi, anzi un doppio alibi a prova di ferro e di magistrati. Anticipa, il difensore: «Giuseppe Cammisa non partecipò all'omicidio di Mauro Rostagno perché il 26 settembre '88 stava lavorando a Milano e il giorno prima era al battesimo del nipote, sempre a Milano». A riprova delle sue affermazioni il difensore è pronto a presentare anche dei documenti: le foto del battesimo che inquadrano Cammisa, e la scheda presenze della ditta Bielettra di Milano, dove era impiegato. «Per questo, in attesa che un gip diverso da quello di Trapani esamini la documentazione, ho detto al mio cliente di rimanere dov'è», dice sicuro il difensore, pronto ad andare in Ungheria per un contatto diretto con il suo cliente. Intanto oggi il difensore presenterà ricorso al tribunale del riesame contro l'ordine di custodia cautelare. Fabio Potetti LA DIFESA DEL BOIA AROMA un certo punto dell'arringa, l'avvocato di Erich Priebke si lascia sfuggire un «poveri ufficiali» nazisti; il pubblico in aula - i parenti delle vittime delle Fosse Ardeatine - rumoreggia. E quando l'avvocato parla di via Tasso, la sede-prigione delle SS dove lavorava Priebke, Riccardo Mancini, uno dei sopravvissuti a quell'inferno, non riesce a trattenere le lacrime: «Rivedo tutto, rivedo tutto», mugola. Alla fine, l'avvocato definisce il nazismo «un movimento ideologico che si batteva per la cancellazione della razza ebraica»; i familiari, gli ebrei di Roma, esplodono: «Razza? Perché dici razza?». Il legale prova a riprendersi: «Volevo dire religione»; ma gli ebrei insistono: «No, popolo, popolo ebraico!». L'avvocato chiede scusa. Nel giorno della difesa, sale la tensione al processo che i parenti delle 335 vittime della strage nazista aspettavano da 52 anni. La parola è all'avvocato Velio Di li carcere di San Vittore. Nella sua infermeria si trova reclusa Chicca Roveri (a destra) vedova di Mauro Rostagno con l'accusa di favoreggiamento pensano Rosario Spatola, Francesco Marino Mannoia e Vincenzo Calcara», scrive il gip. Ma aggiunge: «Tale pista non può essere presa in considerazione, stante che la quasi totalità delle fonti esaminate sul punto non ha dimostrato di essere a conoscenza dell'omicidio per non averne mai sentito parlare. Le restanti, di diverso avviso, hanno in realtà espresso delle mere convinzioni e non fatti». Un'altra ipotesi, che il gip preferisce non scartare. E' la strada che porta a Lotta continua, all'omicidio Calabresi, a «Mauro Rostagno che faceva parte dell'esecutivo nazionale di "Lotta continua" assieme ad Adriano Sofri e Giorgio Pie- La figlia Maddalena: nessuno ha il dubbio che sia innocente trostefani». Per il giudice trapanese, il dubbio è forte: «A parere di questo giudice tale causale dell'omicidio non va esclusa e comunque non è incompatibile con la successiva - anche in considerazione del fatto che, dopo l'omicidio Rostagno, risultano accertati i buoni rapporti tra Adriano Sofri ed Elisabetta "Chicca" Roveri, tra Francesco Cardella e Giorgio Pietrostefani, che attualmente si occupa della gestione di Saman France». Tre i punti di forza nella ricostruzione dell'accusa sull'omicidio di Mauro Rostagno, avvenuto il 26 settembre '88, in contrada Lenzi, alle porte di Trapani, davanti all'ingresso della comunità Saman. E sono tre testimoni. I primi sono coperti dalle indagini, si chiamano «Alfa» e «Beta». Dicono di aver riconosciuto in Oldrini, Rallo, Cammisa e Marrocco gli assassini, quelli che aprirono il fuoco con un fucile calibro 12 e 2 pistole calibro 38. C'è anche un terzo testimone. Si chiama Peter Joseph Hahn, detto «Vadan», ha 50 anni, una storia di alcol alle spalle. Allora stava a Saman, oggi è sottoposto a un programma di protezione della polizia. E' lui che ha raccontato ai magistrati delle continue liti nella comunità tra Cardella e Rostagno sulla gestione di Saman. [f. poi.]