Sempre più «povero» è lo spettatore

parola di linguista parola di linguista =1 Sempre più «povero» è lo spettatore OLTO, lo sanno tutti, ha dato la televisione alla lingua italiana. E' il mezzo più poten te che l'abbia influenzata, ed anche arricchita. In pochi decenni (i primi televisori compaiono nel '54, quando meno del 20 per cento degli italiani parlava italiano) ha fatto compiere passi giganteschi sulla strada dell'unità linguistica. Un Paese di dialettofoni è diventato nel giro di poco un Paese di italofoni. La tv è stata, nel bene e nel male, la scuola di italiano più diffusa. Una massa imponente è andata subito a scuola di lingua, ogni sera. Poi le ore passate davanti al teleschermo sono man mano aumentate. Oggi, per bambini e ragazzi, dopo il dormire e le ore di scuola, la terza grande attività giornaliera è lo stare davanti a uno schermo a ingoiare merendine, spot conditi per lo più di stupidaggini. Il presidente dei traduttori di dialoghi televisivi l'altro giorno ha denunciato che nei programmi per ragazzi le parole in uso sono sempre meno, si riducono a 300-250 circa. Dopo averla arricchita, ora la tv contribuisce a impoverire la nostra lingua. Temo che sia vero. I film, i telefilm, i cartoni trasmessi sono, salvo eccezioni, di una povertà linguistica umiliante. L'Italia non produce fiction, compriamo dagli altri Paesi, soprattutto dagli Stati Uniti, e il prodotto straniero va doppiato. Lo si fa oggi con molta fretta e approssimazione. Avevamo una scuola prestigiosa di doppiatori, professionisti di rara eccellenza, ora conviene ricorrere al mestierante, costa di meno. E' un fatto, questo, che va collocato in un quadro più vasto. Sembra tramontata ormai l'idea che della televisione si possa fare, anche, uno strumento di attenta e puntigliosa promozione culturale. La tv a me pare spesso promotrice di impoverimento culturale quando non scuola pura e semplice di banalità e di volgarità. Forse mi ostino a voler credere che la tv serva a qualcosa, non soltanto a divertire e a non far pensare, ma anche a far pensare, a comunicare contenuti sostanziosi, di buona qualità, di ampia articolazione espressiva. So bene che l'avvento della tv commerciale ha imposto le sue leggi: la tv non vende più programmi, ma pubblico. Conta di meno esprimere un contenuto culturale, operare come servizio pubblico, conta di più catturare il numero più alto possibile di contatti. Non importa se la lingua tende al ribasso. Eppure l'italiano, per sé, non si è impoverito affatto, è a nostra disposizione, ricco di letteratura e di tecnica, delle sue sublimità e delle sue bassure, dei suoi acuti e dei suoi gravi registri: basta conoscerli e saperli usare. Ma povero è l'utente, manovratore sempre meno esperto, provvisto di un vocabolario sempre più ridotto, con alla mano termini generici piuttosto che specifici, pochi e neppur buoni. La forbice si sta divaricando. Accanto ai pochissimi che sanno, forniti sempre più di sapere e di parole, la massa sta subendo una perdita preoccupante di potenziale espressivo, dei nomi che indicano conoscenza e possesso del mondo e delle cose.

Luoghi citati: Italia, Stati Uniti