«Una strada che va incoraggiata» di Pier Paolo Luciano

«La dissociazione è uno strumento in più con cui combattere le mafie, ma va usato bene, verificando la lealtà di chi lo abbraccia» «La dissociazione è uno strumento in più con cui combattere le mafie, ma va usato bene, verificando la lealtà di chi lo abbraccia» «Una strada che va incoraggiata» Don Ciotti: molti giovani pronti alpasso $PALERMO ECONDO me, un dissociato è solo un opportunista che spera di strappare qualche sconto di pena, senza concedere nulla allo Stato». Giuseppina Zacco La Torre non nasconde il suo scetticismo e neppure la sua amarezza. La notizia della clamorosa «dissociazione» di Salvatore Cocuzza, il boss di Cosa nostra accusato di aver partecipato all'esecuzione di Pio La Torre, segretario del pei siciliano, la raggiunge nel tardo pomeriggio nella sua casa romana. E lei, senza peli sulla lingua, è pronta a confessare pubblicamente la sua perplessità. «Non per innescare polemiche inutili», dice, «ma perché 14 anni di indagini mi hanno insegnato la prudenza». La vedova di Pio La Torre non crede affatto che le mezze ammissioni di un sicario dissociato possano fornire elementi utili alle indagini su un omicidio ancora avvolto nel mistero. Ma, soprattutto, non crede che il fenomeno della dissociazione possa contribuire alla definitiva sconfitta non si possono chiudere gli occhi. Il confronto e il dialogo producono sempre positivi risultati. Dopo di che il legislatore farà il legislatore, il magistrato il magistrato». Cocuzza dice che non vuole «premi» per la sua dissociazione, Grasso dice che è prematuro pronunciarsi su questo aspetto del dibattito: lei cosa ne pensa? «Penso anch'io che si sia nella fase in cui occorre ragionare e valutare. Ragionare sulle prospettive della lotta alle mafie, ribadendo che essa è ancora lontana dal potersi considerare chiusa e che, dunque, la dissociazione va intesa come strumento ulteriore di indebolimento delle cosche; nemmeno lontanamente GIUSEPPINA LA TORRE di Cosa nostra. E spiega perché. «Questo Cocuzza, a quanto mi risulta, non si è pentito, e dunque non ha alcuna intenzione di fare piena luce sui gravissimi fatti criminali che lo avrebbero visto protagonista negli anni di piombo palermitani. Questo Cocuzza mi sembra un furbo che, trovandosi ormai in trappola, punta ad ottenere benefi¬ può essere pensata come "patteggiamento" o abbassamento della guardia». Di recente, a un dibattito nelle Marche, Caselli, procuratore di Palermo e suo amico, ha preso le distanze dalla dissociazione. Crede che dopo questa prima rinuncia cambierà idea? «Per la verità, in numerose interviste Giancarlo Caselli ha espresso una posizione attenta e intelligente, come sempre. Mi sembra che abbiamo dettole stesse cose: ragioniamone, senza semplificazioni e senza timori. Nessuno ha risposte preconfezionate o miracolose in tasca. Entrambi abbiamo sostenuto l'importanza della collaborazione giudiziaria e la necessità di valorizzar¬ ci, in cambio di qualche ammissione che non serve a nessuno». Lei è dunque contraria all'ipotesi lanciata da don Ciotti, che per primo ha sottolineato l'importanza della dissociazione per sconfiggere Cosa nostra? «Non sono contraria, in linea teorica, alla dissociazione, ma questa non può diventare la scorciatoia per la. Resto però convinto che la dissociazione sia uno strumento in più e non in meno nella lotta alle mafie. Uno strumento che va usato bene, con verifiche e garanzie, ma che va a integrarsi a quanto è stato fatto sinora, con coraggio e professionalità come, appunto, nel caso di Giancarlo Caselli». Don Ciotti, anche per i contatti che ha avuto con famiglie di mafiosi, lei è convinto che presto altri boss seguiranno l'esempio di Cocuzza? E quali effetti potrà avere questa eventuale dissociazione a catena? Sarà davvero la fine di Cosa nostra? «Io spero che, in un modo o nell'altro, attraverso la collaborazione o il distacco, le mafie si sgretolino sempre più: ma non dobbiamo scordarci che, se Cosa nostra ha subito importanti sconfitte in questi ultimi anni, non si può dire lo stesso per lo altre mafie. Dunque, c'è ancora molto da fare e, per quanto ci riguarda come Libera, l'abbiamo fatto e lo stiamo facendo: con le centinaia di migliaia di firme per la confisca e l'uso sociale delle ricchezze mafiose, con la giornata nazionale in memoria di tutte le vittime, con il quotidiano impegno nelle scuole e nel territorio per educare alla legalità e alla cittadinanza, e, ora, con questo appello a uscire dalle mafie». Pier Paolo Luciano Il procuratore di Palermo Sian Carlo Caselli I m

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