DAISY la regina dei cannibali

L E A V V ENTI! ROSE. La leggendaria Bates: scelse il deserto e spiegò al mondo gli aborigeni australiani L E A V V ENTI! ROSE. La leggendaria Bates: scelse il deserto e spiegò al mondo gli aborigeni australiani DAISY la regina dei cannibali Bugiarda e coraggiosa sposò il romantico eroe Breaker Morant, fucilato in Sud Africa ^"V UALCHE anno fa, un M A uomo rispose a un anJ| tt nuncio su un quotila diano australiano. H Cercavano persone 99 B che avessero cono■ 9 sciuto una certa 1K B» Daisy Bates - per un B W libro, presumibilmente - e l'uomo disHl se di averla incontrata per strada ad Adelaide intorno al 1936. L'aveva riconosciuta subito: a quell'epoca Daisy Bates era una leggenda in Australia, i suoi articoli erano sui giornali e la sua voce alla radio. La trovò molto più piccola di come l'avesse immaginata: vestita di nero, con la vita sottile, le viole appuntate sul cappello, la veletta e lo stesso ombrellino che aveva fatto cadere davanti al futuro Giorgio V perché lui si chinasse a raccoglierglielo, in ima desolata stazione ferroviaria nel deserto australiano. Era lì che Daisy Bates aveva vissuto negli ultimi quindici anni, in una tenda piantata nella terra rossa vicino alla ferrovia a Ooldea, sola davanti ai violenti colori dell'alba. Piano piano gli aborigeni erano venuti ad accamparsi vicino a lei e non l'avevano più lasciata. Ed era da lì, da Ooldea, che nel 1936, quando l'uomo l'aveva incontrata, era arrivata ad Adelaide in treno, guardando passare dal finestrino le solitarie stazioni di Kingoonya, Wirramina, Pimba, Woocalla, Bookaloo, fino a oltre Port Augusta. Si sarebbe fermata ad Adelaide il tempo necessario a scrivere The Passing of the Aborigines, una serie di articoli sulla vita del bush che nel '38 l'editore John Murray a Londra trasformò in un best seller internazionale. «Le spiace se faccio un bagno?», aveva detto al padrone dell'Adelphi Hotel appena arrivata. «Sono anni che non faccio un bagno vero». Più tardi, quando era andata a fare spese, aveva sgridato una commessa che l'aveva chiamata con deferenza Mrs. Bates: «Mi chiamo anche Kabbarli, lo spirito dei morti che torna tra i vivi. Lei non ha la minima idea di quanto amassi i miei cannibali. Li amavo più di quanto abbia mai amato la mia famiglia». Aveva 85 anni. Quarant'anni prima, quando ancora nessuno avrebbe scommesso sul suo futuro di antropologa, aveva abbandonato figlio e marito ed era tornata in Inghilterra. Lei disse per imparare a fare la giornalista. Ma molti pensano che abbia fatto la puttana. Daisy Bates è un personaggio davvero singolare nella mitologia australiana. Un'antropologa «naturale», autrice di due libri discutibili ma nondimeno importanti, e anche una bugiarda cronica, una donna coraggiosissima, e una razzista che amava gli aborigeni e disprezzava i bianchi, sebbene considerasse i primi meno intelligenti dei secondi, cosa che era smentita dai suoi stessi libri. Convinta come tutti allora che la razza aborigena fosse in estinzione, questa donna altera che viveva di bacche e di lucertole proponeva una cura radicale: separazione dei neri dai bianchi e abbandono dei mezzosangue al loro destino. Era anche convinta che gli aborigeni avessero bisogno di un capo, un alto commissario, che per il loro bene non poteva che essere bianco e possibilmente inglese. Insomma era una massa di contraddizioni in cui si riflettevano le idee del suo tempo e la personalità caparbia di una donna pronta a dichiarare il suo odio verso le suffragette mentre era di fatto un modello di indipendenza femminile. E malgrado due aitanti mariti, sposati a brevissima distanza col rischio di essere condannata per bigamia, era probabilmente una fredda che amò le stelle del cielo sopra la sua tenda con tutta la sensualità di una creatura appassionata. Daisy Bates disse un sacco di frottole sul suo passato. Disse di esser nata vicino a Tipperary, in Irlanda, nel 1863, da genitori protestanti, e che la madre morì dandola alla luce, mentre il padre, un padre meraviglioso, la portò con sé nei suoi viaggi, leggendole Dickens, insegnandole a ballare e a montare a cavallo. Dopo la sua morte sarebbe entrata come governante nella casa di una famiglia aristocratica, con la quale avrebbe passato anni affascinanti, sempre in viaggio tra Roma, Firenze, Parigi e Madrid, prima di imbarcarsi con un biglietto di prima classe sull'Amora per Townsville, North Queensland. Là era stata accolta dalla buona società e aveva anche ricevuto una proposta di matrimo¬ nio, prima di raggiungere il Nuovo Galles del Sud allo scopo di trovare un lavoro. Non che le servissero i soldi, le piaceva la sfida. Dopotutto l'Australia era una terra di pionieri e una donna del suo rango poteva lavorare senza perdere la dignità. La vera storia invece, così come l'ha ricostruita Julia Blackbura in Daisy Bates in the desert (Pantheon, New York, 1994), è un po' più cruda. Daisy May O'Dweyer era figlia di cattolici irlandesi poverissimi. La madre morì subito, il padre ubriacone scappò con un'altra donna in America, ma morì nella traversata prima di arrivarci. Daisy crebbe in un orfanotrofio vicino a Dublino, e più tardi fu assunta da una famiglia come governante. A un certo punto però ci fu uno scandalo e l'uomo più giovane della famiglia si suicidò. Fu allora che Daisy si imbarcò sull'Amora per l'Australia, viaggiando gratis come emigrante. Sbarcò a Townsville nel 1883, senza soldi, senza contatti e senza la minima idea di dove andare. Ma era giovane, graziosa, colta, e aveva un'eleganza naturale. Che proprio questa ragazza un anno dopo dovesse sposare Breaker Morant è uno di quegli scherzi della storia che finiscono mai di stupire. Per chi non ricordasse infatti il bel film che gli dedicò qualche anno fa il regista Bruce Beresford (si chiamava così, col nome del protagonista), Breaker Morant è il più romantico degli eroi australiani, bugiardo probabilmente non meno di Daisy, ma ardito e pieno di orgoglio quanto lei. Si chiamava Edwin Henry Murrant ed era figlio di un guardiano del Devon. Appena arrivato in Australia cambiò il suo nome in Harry Hardbord Morant, e disse di essere il figlio diseredato di un ammiraglio inglese. La gente lo chiamava semplicemente the Breaker, il domatore, perché era il più grande domatore di cavalli di tutto il continente. Era colto, innamorato di Byron e scriveva poesie e ballate che ancora oggi si studiano a scuola. Aveva modi da gentiluomo ed era coraggioso. Quando lo fucilarono in Sud Africa nel 1902 rifiutò la benda e disse al plotone «mirate dritto e fate un lavoro pulito». Di questa stoffa son fatti gli eroi, ma Daisy, che aveva un de- bole per i domatori di cavalli, undici mesi dopo ne sposa un altro, un certo Jack Bates, a cui nel 1887 dà un figlio. Insieme cominciano a viaggiare, cambiando ranch quando il lavoro finisce o Jack viene licenziato per maltrattamenti agli aborigeni. Daisy guarda suo figlio crescere goffo e troppo somigliante al padre, e nel 1894 annuncia a entrambi che parte per un breve viaggio in Inghilterra. Tornerà cinque anni dopo, raccontando di avere lavorato per il giornalista del Times W. T. Stead, celebre paladino dell'emancipazione femminile, morto poi sul Titanio dopo aver sognato centinaia di gatti che si gettavano da una finestra all'ultimo piano di un palazzo. Nello studio di Stead, Daisy disse di avere conosciuto Rudyard Kipling, e anche Sir Cecil Rhodes, Sir Arthur Conan Doyle, Bernard Shaw e la vedova dell'esploratore Sir Richard Burton, Isabella. La figlia di W. T. Stead smentì di aver mai conosciuto una signora Bates. Fu quando tornò in Australia, più o meno all'inizio del secolo, che cominciò a viaggiare nel Nordovest, sopra Perth fino alle spiagge bianche di Broome, e poi all'interno, a dorso di mulo per giorni e giorni, fino a una missione paludosa dove ogni giorno gli aborigeni la guardavano affascinati stringersi i lacci del corsetto e chiudere a uno a uno ventisei bottoni per ogni stivaletto. Per essere ammessa alle cerimonie d'iniziazione che escludevano le donne disse di essere una creatura soprannaturale venuta dal Tempo dei Sogni. «Riuscii a estendere la mia conoscenza del mondo aborigeno al punto da abbracciare tutto il ciclo vitale dalla nascita alla vecchiaia. Ogni attimo del mio tempo era dedicato a questo studio affascinante che mi imponevo. Ogni parola e ogni gesto mi aprivano nuove strade di conoscenza, da battere con metodo e tatto». Poco dopo il governo la invitava a studiare l'insediamento aborigeno della riserva Maamba, vicino a Perth. E poi a unirsi alla spedizione dell'antropologo Radcliffe-Brown nello Stato del Nordovest, che si concluse in una tempesta di accuse di plagio da parte di Daisy. Che cosa si annidasse nel cuore di questa donna che parlava la lingua Pitjantjatjara e scriveva - mai creduta che le donne aborigene Andò a vivere sotto una tenda, con un'accetta e una pistola per curare e studiare le tribù dindonra Temestemonbrala ntima qumi gestdi metvernsediservpoi l'annellconcusC Daisy Bates: arrivò in Australia da poverissima emigrante, divenne una famosa antropologa, morì a 91 anni nel 1954 Vissti, Streni a volv Daisy Bates col duca di Gloucester; nell'immagine a sinistra, l'antropologa fotografata con un aborigeno mangiano spesso i loro neonati, per fame e costume culturale, è tuttora un mistero. Tra le sue carte ha lasciato lettere, appunti, traduzioni di parole cantilenanti come mirirl-yiril-yiri per il maschio dello scricciolo e minningminning per la femmina, o kallijirrjirr per il piviere dal petto nero. Ha descritto lucertole senza zampe che strisciano come anguille, formiche fameliche che divorano scarpe e vestiti, e cinture lucenti di zecche intorno alla sua vita, che si riuscivano a staccare soltanto quand'erano ben nutrite. Ha respirato il vento dell'Antartide sulle scogliere di Eucla, e piantato la tenda per due anni vicino alla vecchia stazione telegrafica di quella città di spettri circondata da una piana così cupa, che persino gli aborigeni dicevano nascondesse un furioso serpente sottoterra. Ma dei suoi sentimenti non ha mai parlato. E' dunque forse la sola persona in tutta l'Australia a non aver pianto la sorte del suo primo marito, fucilato dagli inglesi in Sud Africa nel 1902 insieme ad altri due ufficiali, per avere ucciso dei boeri senza averne ricevuto l'ordine. Di fatto, la colpevolezza di Breaker Morant non è mai stata provata, e la controversia sulla sua condanna è ancora aperta oggi. Durante la guerra con i boeri, Morant e i suoi uccisero dei prigionieri per vendicare l'atroce strage che avevano fatto di alcuni loro compagni. Furono difesi da tutti gli ufficiali australiani, ma Lord Kirchner, a cui in quel momento poteva far comodo ingraziarsi i boeri sacrificando qualche suddito di seconda scelta, non accreditò la loro versione e li fece condannare a morte. «Fu una pecora nera» scrisse di Morant il Sydney Bullettin, «ma mai, mai si meritò il suo avverso fato». Daisy non lo nomina nemmeno. Dopo due anni a Eucla pianta la tenda sotto gli alberi di acacia di Wirilya, a Ovest di Fowlers Bay, dove si prende cura degli aborigeni malati e accende fuochi quando la notte cade di colpo. E poi vive per sedici anni a Ooldea, vicino al serpente di metallo della feirovia, dove i giorni sono scanditi dal raro passare di un treno, da una visita del futuro re d'Inghilterra e da un ricevimento alla stazione per il duca di Gloucester nel 1934: Daisy impettita, con il vestito nero e l'ombrellino in mano, King Billy, il suo amico aborigeno più fedele, qualche passo indietro. Quando arrivò ad Adelaide da Ooldea, a 85 anni, aveva finalmente ottenuto dei soldi dal governo per dettare a una segretaria il suo ultimo libro, perché ormai la luce del deserto le aveva rovinato gli occhi. «Morivano così in fretta e io li guardavo morire» diceva alla radio. «Povere donne, ragazze, uomini, bambini... ho raccolto le loro leggende, i dialetti... rimanevo alzata fino alle tre o le quattro del mattino a scrivere... non li ho mai trascurati, mai, nemmeno per un'ora. Tornerei indietro domani... quella era la mia vita...». Dopo un po' questa vecchia signora ostinata comprò un revolver, lasciò l'albergo e si trasferì in una tenda a un miglio da Siding. La sera che un'ambulanza arrivò a portarla via, trovarono la sua tenda coperta da uno strato di rami secchi, come le rose selvatiche intorno al palazzo della bella addormentata. La polizia bruciò le baracche che gli aborigeni le avevano costruito intorno e cacciò via tutti. Dissero che Daisy Bates era morta all'ospedale poco dopo, ma non era vero. Visse ancora fino a 91 anni, infatti, in un piccolo albergo di Streaky Bay, andando tutti i giorni a piedi fino al mare, con 2 revolver e un'accetta nascosti sotto la gonna, e in mano il bastone che le aveva fatto King Billy. Anche quando pioveva, tirava vento, o si scatenava la tempesta. Livia Menerà