IL CONSIGLIO PRIMI AVVISI AI NAVIGANTI di Marco Vozza

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Marco Vozza OLTRE che un eminente storico dell'arte, Gombrich è anche un filosofo che ha saputo coniugare arte e scienza, estetica ed epistemologia: in Arte e illusione ha decostruito il mito dell'occhio innocente e il paradigma mimetico della verità visiva, cos) come Popper ha criticato il modello positivista della spiegazione scientifica. Ora esce da Einaudi un piccolo, delizioso libro dedicato alle Ombre (pp. 80, L. 28.000), che contiene alcune osservazioni nate in occasione di una mostra allestita alla National Gallery di Londra. Ciò che più affascina Gombrich è ancora una volta la selettività dell'occhio del pittore, la natura prospettica di ogni rappresentazione dei mondo visibile. Da Masaccio a Picasso, da Caravaggio a Cartier Bresson, la consistenza degli oggetti è attestata dalla proiezione del loro effimero risvolto incorporeo. PRIMI AVVISI AI NAVIGANTI A vela da Troia a Roma N un certo senso siamo degli anfibi, animali marini non meno che terrestri». Così scrive il più grande geografo dell'antichità, Strabone, vissuto all'epoca di Augusto e cioè quando si formava e si affermava l'impero di Roma. C'è bisogno di altro, per esprimere in sintesi quanto determinante fu l'importanza del mare nell'antichità? Del resto, il mare degli antichi era il Mediterraneo, attorno al quale si erano formate la storia e la civiltà: non sapevano di altri mari, o ne avevano nozioni vaghe e generiche, come di una specie di aldilà. Ma dire questo, per ricostruire l'angolazione marittima della storia antica, è dir poco. Guardando più a fondo, come fa ora magistralmente Pietro Janni nella sua vasta monografia sul mare degli antichi, si vedono al tempo stesso le componenti e i limiti delle loro conoscenze. E cominciamo dalle componenti, ricordando che la guerra di Troia ha origine da una grande spedizione marittima, che tutto il mondo omerico è pervaso dalla marineria, che sono navali le battaglie di Salamina e di Imera in cui si decisero nel V secolo a.C. i destini mediterranei, che l'impero ellenistico in Occidente si costruì sul mare, che quello romano prese spunto dalla battaglia navale di Azio... Si potrebbe continuare. Ma occorre osservare, per converso, che nell'antichità esistette¬ ro due soli grandi imperi marittimi, quello di Atene e quello di Cartagine; e che.entrambi furono sconfìtti e distrutti da potenze terrestri, le quali per di più avevano scarsa inclinazione per il mare. Infatti, Atene fu vinta dalla Macedonia di Filippo, che non possedeva una flotta; e Cartagine fu a sua volta sconfitta dai Romani, improvvisatisi marinai ma non certo alla stessa altezza. Si aggiunga, e non è poco, una certa ostilità al mare o almeno alla sua gente, che affiora dalla letteratura antica. Forse la testimonianza più significativa si ha nella «Costituzione degli Ateniesi», attribuita a Senofonte, in cui l'autore contrappone con astio la gentaglia sovversiva che voga sulle trieri ai cittadini per bene che fanno la guerra nella fanteria pesante. Lo stesso spirito di avventura, che porta gli uomini a cercar fortuna oltremare, è inteso come una brama colpevole di lusso e di ricchezza, un rischio a cui «empiamente» viene esposta la vita. Ora dobbiamp chiederci: quanto sappiamo, come lo sappiamo? I testi letterari sono, naturalmente, la fonte più ampia; ma l'informazione è frammentaria, casuale, non certo intesa a insegnare un'arte, quella della navigazione, per cui la considerazione era poca. Seguono le raffigurazioni sui monumenti, a volte frequenti ma a volte scarse, con l'aggravante di semplificazioni e di deformazioni che possano fuorviare le conoscenze. Infine, c'è l'archeologia subacquea; e questa è una fonte nuova, diretta, limitata solo dalle condizioni dei relitti e dalla casualità dei ritrovamenti. La maggiore novità dell'indagine consiste nella presentazione di un'ampia serie di passi degli autori antichi che trattano di navi e di naviganti, facendo seguire ai testi un commento che evidenzia tutte le conoscenze desumibili. E così, per cominciare, il racconto dell'Odissea in cui Ulisse, ospite di Calipso nella sua isola favolosa, decide di partire per ritrovare la patria e la famiglia costituisce una delle fonti più attendibili sulla marineria omerica in generale e sulla carpenteria navale in particolare. E' un'esperienza illuminante, la lettura di tutti i passi degli autori antichi. Ci fanno conoscere bene il loro mare, che sarà il nostro mare. Sabatino Moscati CHATWIN: SOLO IL NOMADE NON SARA' MAI AVIDO Bruce Chatwin ANATOMIA DELLA IRREQUIETEZZA Bruce Chatwin Adelphi pp. 221 L. 25.000 ANATOMIA DELLA IRREQUIETEZZA Bruce Chatwin Adelphi pp. 221 L. 25.000 UALCOSA di più di un invito a leggere Chatwin, il geniale autore scomparso nel 1989 neppure cinquantenne, sembra essere la raccolta di saggi, racconti, stralci di diario a cura di Jan Borm e Matthew Graves per la simultanea edizione inglese e italiana. Se infatti gli scritti, trascurati o inediti, che compongono Anatomia dell'irrequietezza hanno sparse origiiù e qua e là anticipano o rafforzano testi già noti (da In Patagonia a Utz), una scintillante monomania li riconduce al comune baricentro: l'irrequietezza appunto del titolo, a sua volta rivelazione di un'opera giovanile - come egli ricorda in una memoria del 1983 «sfrenatamente ambiziosa, intollerante... e impubblicabile», eccitata da l'«horreur du domicile» di Baudelaire, resa aggressiva da una cupa riflessione di Pascal («tutta l'infelicità dell'uomo proviene da una causa sola: non sapersene star quieto in una stanza») e confortata dal privilegio antropologico del nomadismo inteso come umano sogno e bisogno dell'altrove. «L'evoluzione ci ha voluto viaggiatori. Siamo viaggiatori dalla nascita. Dimorare durevolmente, in caverne o castelli, è stata una condizione sporadica nelle vicissitudini dell'uomo. L'insediamento prolungato ha un asse verticale di circa diecimila anni, una goccia nell'oceano del tempo». Una raccolta di saggi, di racconti e di stralci ai diario che escono contemporaneamente in italia e in Inghilterra che blocca o stravolge il libero cor i d d Chatwin ovviamente conosce bene i frutti squisiti degli stanziali, s'inchina davanti ai Flaubert, ai Tolstoj, ai Proust - scrittori «che funzionano a domicilio, con la seggiola giusta, gli scaffali di dizionari ed enciclopedie, e oggi magari un computer»; e tuttavia nessuno potrà convincerlo che l'istinto migratorio abbia perduto la sua ragion d'essere con l'avvento della civiltà. Errore colossale, quasi un atto contro natura - denuncia Chatanalizzando le conseguenze win psicofisiche della vita sedentaria che blocca o stravolge il libero corso del pensiero, dei desideri, l'impulso a varcare lunghe distanze nell'alternarsi delle stagioni, e che alimenta, per contrappasso, circuiti calamitosi nel bunker dell'inconscio: avidità, ricerca di prestigio, smania di possesso, violenza. E giacché insiste nella spola tra due visioni antitetiche che condizionano individui e popoli, trova opportuno rammemorare il senso primitivo dei termini in causa. «La parola "civiltà" è carica di vibrazioni morali, retaggio cumulativo della nostra autostima. La contrap¬ poniamo a barbarie, a ferocia, a bestialità addirittura, mentre significa niente più "vivere nelle città"...». E quanto alla definizione di nomade, costui «non vaga senza meta da luogo al luogo» come incautamente si suppone. «La parola deriva da una voce greca e latina che significa "pascolare"...». Dalle migrazioni tribali alle segrete itineranze, non c'è angolo del mito, della scienza e della fede che Chatwin non esplori per rivalutare «questo nomade mondo». Non esclusi i grandi maestri religiosi: Buddha nel Punjab, Cristo e Maometto nel Vicino Oriente, da cui si permette di ricavare un'autorevole conferma: «Il viaggio alla Mecca, la vita apostolica e il pellegrinaggio a un centro religioso furono istituiti per compensare la mancanza di migrazioni». Ma anche volare o danzare («chi conosce la danza conosce Dio», diceva Rumi) equivale a compiere un viaggio interiore, un pellegrinaggio. E perché sorprendersi se perfino i giochi agonistici sottintendono un peregrinare? In sanscrito - ci informa Chatwin - un unico vocabolo designa il giocatore di scacchi e il pellegrino, «colui che raggiunge la sponda opposta». E si rallegrino i calciatori i quali probabilmente ignorano che la palla «simboleggia un uccello migratore», ed essi stessi rispettabili pellegrini quando scendono in campo, quando saettano verso la porta avversaria ed esaltano la vittoria in un abbraccio mistico. Non vorrei però che il nucleo centrale ài Anatomia dell'irrequietezza mettesse in ombra le altre sezioni del volume, dal momento che zampilla ovunque e con straordi- LA FEROCIA DELLE PIANTE Attenborough: i segreti dei fiori naria freschezza il talento dello scrittore. Si vedano i racconti, e in particolare Le attrattive della Francia eli patrimonio di Maximilian Tod, le vigorose pagine critiche su Konrad Lorenz, su Gli anarchici della Patagonia di Osvaldo Bayer, e poi la dehziosa Torre in Toscana con la figura dominante di Gregor von Rezzori, o la Capri di Axel Munthe e Curzio Malaparte, o il pittoresco albero genealogico della famiglia Chatwin col bisnonno Milward ossessionato dal denaro, dalla Germania e dalla musica, amico di Gounod e Adelina Patti; con lo zio Bickerton, minatore e bigamo, l'infanzia trascorsa con la nonna a Filey, nello Yorkshire, le zie zitelle, il mestiere di guida alla tomba di Shakespeare, nel 1944. Si può al massimo indicare una data di partenza: 1969, e la relativa Lettera a Tom Maschler in cui il giovane Bruce espone il suo progetto editoriale in nove capitoli sul nomadismo, sul conflitto cittadinonomade, sull'arcaicità culturale e i vincoli della tecnologia. E infine tener d'occhio la doppia coazione che felicemente ingarbuglia gli umori creativi di Chatwin: la «coazione a vagare» («perché divento irrequieto dopo un mese nello stesso posto, insopportabile dopo due?...». Cos'è questa irrequietezza nevrotica, l'assillo che tormentava i greci?) subito corretta e anzi contraddetta dalla «coazione a tornare». Ovvero la necessità di una base: covo, taverna o porticciolo che sia, dove smaltire gli eccessi dell'esperienza appena consumata e assaporare l'incognita di un nuovo destino. LA VITA SEGRETA DELLE PIANTE David Attenborough Piemme pp. 320 L. 25.000 LA VITA SEGRETA DELLE PIANTE David Attenborough Piemme pp. 320 L. 25.000 N occasione del premio letterario «Giardini Botanici Hanbury» la Grinzane Cavour ha dato una menzione al libro di David Attenborough, La vita segreta delle piante. Ogni pianta ha una sua vita di relazione con gli altri esseri viventi e nasconde questa sua vita tanto nella cellula quanto nei fiori, nelle foghe, nel profumo, nel colore, nel portamento. Non può muoversi come si muove un animale ma può raggiungere spazi lontani, non emette suoni ma ha il modo di farsi sentire, non va incontro agli animali ma fa sì che essi la raggiungano, non attacca i suoi nemici ma da essi si difende tanto da ferirli o da eliminarli. Nel libro assistiamo a questo gioco continuo per la sopravvivenza che coinvolge tutti gli esseri viventi e che si applica attraverso un rapporto profondo tra forma e funzione. Il saggio di Attenborough colpisce per la ricchezza di una documentazione che sembra quasi impossibile nasca tutta da un'esperienza diretta di chi Giuseppe Cassieri scrive. Questa stessa esperienza dà vivacità allo scritto che non è mai semplice descrizione, ma piuttosto è narrazione di vicende silenziose e stupende, a volte feroci, sempre non immaginabili. I vari capitoli si susseguono come quelli di un romanzo, per cui la verità scientifica viene alleggerita dallo stupore per i diversi incontri di cui Attenborough è testimone. La tensione dell'avventura e la gioia della scoperta sono resi dalla bellezza della frase, che certamente sarà maggiore nel testo originario ma che la traduzione attuale rende accessibile a qualsiasi lettore italiano. II Grinzane con il Premio Hanbury, vuole premiare non solo chi scrive sui fiori ma anche chi sa dare a tutti le conoscenze raccolte: e chiunque, dal bambino all'adulto, può seguire Attenborough nel suo viaggio che sembra fantastico e che, invece, è scientificamente provato. La bellezza di un fiore non è solo bellezza ma felice necessità, il suo colore parla - prima che a noi a molti altri esseri, i processi biochimici e microscopici che accom¬ pagnano la maturazione di un frutto hanno una loro funzione che va molto al di là di quelle conosciute da coloro che del frutto si cibano. La natura escogita dei metodi che nessuno saprebbe progettare, le piante si servono dell'animale mentre l'animale è convinto di servirsi della pianta, il mondo della realtà è più fantastico di qualsiasi sogno, la vita non sarà mai capita del tutto, né attraverso un microscopio elettronico né con l'osservazione più attenta di pietre, piante ed animali. C'è sempre un altro particolare, c'è un'altra storia, ci sono certezze nuove e nuova.coscienza della nostra ììffitìègtMméf!' a sapere, a capire, a vedére bene. Attenborough, divertendosi e divertendoci, ci fa conoscere - anche attraverso la sua bravura di fotografo conosciuta in tutto il mondo un pizzico di tanta ricchezza: e ci accorgiamo che non siamo arrivati, ma piuttosto abbiamo raggiunto, con lui, un valido punto di partenza. Paola Profumo della smm