ROBIN HOOD ERA SPOSATO E RE RICCARDO ERA EDOARDO di Piero Soria

INTERNET INTERNET ROBIN HOOD ERA SPOSATO E RE RICCARDO ERA EDOARDO La verità sul Re dei Ladri: è la sintesi di tre personaggi di Federico Peiretti OBIETTIVO del «Dante Project» che la Columbia University sta realizzando in Internet, è la creazione della «Divina Commedia» del terzo millennio. Per ora il sito offre una ricca scelta di testi e immagini dantesche. La «Divina Commedia», nella traduzione inglese con testo a fronte, è collegata a un potente strumento di ricerca per frasi o per parole. Sono inoltre disponibili tutte le illustrazioni di Botticelli, del Dorè e degli altri artisti che si ispirarono alle opere di Dante e una serie di fotografie dei luoghi danteschi. Il progetto è solo all'inizio, ma offre già un esempio di quella che potrebbe essere, in un prossimo futuro, la presentazione dei grandi classici della letteratura. Chi è interessato agli studi danteschi tenga presente anche il lavoro svolto dal Dartmouth College, in collaborazione con la Società Dantesca Italiana. La connessione Telnet permette di accedere (senza richiedere password) all'edizione della «Commedia» di Giorgio Petrocchi e a una cinquantina di commenti, dal primo di Jacopo Alighieri a quelli di Boccaccio, Tommaseo, Momigliano, Sapegno, fino ai più recenti. http://www.ilt.columbia.edu /projects/dante telnet://baker.dartmouth.edu OVERI noi, che colpo scoprire tutto d'un tratto che Robin Hood non era quel superbo arciere che rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma una mezza calzetta di burocrate senza titolo e senza castello. Che delusione veder dissolversi nella tristezza di una vita banale una delle più belle storie d'amore di tutti i tempi, con la fiammeggiante e romantica Lady Marian spodestata da una arcigna moglie di nome Matilda. Che angoscia venire a sapere che Riccardo Cuor di Leone, il suo bieco fratello Giovanni Senza Terra, le crociate, lo Sceriffo di Nottingham e gli allegri compari della foresta di Sherwood non c'entrano assolutamente niente con il Re dei Ladri. Ma com'è potuto accadere tutto ciò? Meglio - molto meglio - se Graham Phillips (professore di storia a Cambridge) e Martin Keatman (giornalista e scrittore), autori di una dettagliatissima ricerca, ci avessero svelato che Robin non era mai esistito, che la sua era solo una leggenda, uno di quei miti che attraversano i secoli per affascinare le genti, per rassicurarle che al mondo c'è ancora un po' di giustizia, che il buono finisce sempre per vincere, che Errol Flynn e Kevin Costner non possono mentire. Ma non è così. Robin Hood è esistito davvero e quella che è arrivata sino a noi, altro non è che la sintesi letteraria di tre vite distinte, reali. Ma inco¬ minciamo dall'inizio, con una prima premessa filologica: Robin è diminutivo-sinonimo di Robert; Hood è una degenerazione grafica dei vari Othe, Ode, Odo, Wood, Wode; Fitz significa «figlio illegittimo di» e, all'inizio dell'epoca normanna, molti nobili seguitarono ad aggiungere tale suffisso per evidenziare il loro cinquanta per cento di sangue blu, ancorché ottenuto con suore, cameriere, saltimbanche, al di fuori del castello e quindi del talamo nuziale. La seconda premessa è invece di carattere storico. Avendo scoperto dietro la saga arturiana un condottiero realmente esistito - Owain Ddantgwyn, detto «Arth», l'Orso, figlio di Uthr Pen Dragon, che in gallese significa il terribile capo Drago (l'Uther Pendragon della leggenda) - non era possibile ripercorrere la stessa strada con Robin? Consideriamo i fatti: durante il Medioevo Artù diventa l'eroe dell'aristocrazia normanna, mentre Robin si trasforma nel fulgido emblema degli agricoltori sassoni. Artù impugna Excalibur, il brando dei nobili e dei cavalieri; Robin usa l'arco, l'arma dei contadini e della fanteria. Artù incontra sir Lancillotto su un ponte e gli ordina di «cedere lo passo»: non è da lui permettere ad alcuno di attraversarlo a meno di non essere sconfitto in singoiar tenzone. Di ugual segno è l'incontro di Robin Hood con Little John. E identico è l'attimo che precede la loro morte: la spada di Artù viene scagliata nel lago, in mezzo al quale sorge Avalon, e sull'isolotto il vecchio condottiero sarà sepolto. Robin scocca invece la sua ultima freccia e la sua tomba verrà edificata nel punto in cui atterrerà. Le due storie hanno dunque un'evoluzione parallela e adottano motivi allegorici l'una dell'altra. La prima sopravvive nella letteratura perché letta e usata dall'aristocrazia erudita. La seconda si trasforma in ballata, e sarà cantata e tramandata a beneficio degli illetterati. Artù rappresenta il diritto divino della sovranità e del diritto feudale. Robin si erge a simbolo di chi si oppone alle ingiustizie della classe dominante. Ma proprio a causa dei continui aggiustamenti che ogni tradizione orale porta con sé - abbellimenti, sovrapposizioni di miti, confusione di fonti - risulta più complicato risalire al vero Robin che al vero Artù. Inutile ripercorre qui le mille strade fascinose che hanno seguito Phillips e Keatman - i versi del «Gest», le cronache del tempo, i documenti di corte, le bozze degli antiquari del re, gli annuari e i commentari dell'elite rina- Kevin Costner, l'ultimo Robin scimentale - per stabilire con certezza l'identità di Robin Hood. Quel che importa è lo stupefacente affresco finale di un uomo dotato di tre anime che si prolungano su più secoli. C'è il Robin originale: Robert Fitz Odo di Loxley nel Warwiskshire. C'è il Robin delle antiche ballate: Robert Hood di Wakefield. C'è infine il Robin rinascimentale: Fulk Fitz Warine dello Shropshire. Ma il più simpatico è certamente il Robin Hood delle ballate, un fuorilegge di Barnsdale, vicino a York e - attenzione lontano da Sherwood, che de- Eroe contadino, sulla sua identità si sovrapposero le antiche leggende sassoni in contrapposizione a quelle normanne che celebravano Artù ruba le sue vittime tendendo loro un agguato. Un contadino spietato, senza emozioni, ma disposto ad aiutare gli amici. Il suo nemico è lo sceriffo di Nottingham, il cattivo che viene sempre disonorato, ingannato e umiliato anche se la sua città è a più di un giorno di cavallo dai boschi del Re dei Ladri. Il re come detto - non è Riccardo, ma Edoardo e sarà da lui che il Bandito Contadino otterrà per sé e per i suoi compagni l'agognata amnistia. Quel che è incredibile è che nel rincorrersi delle identità e delle epoche finiscono per trovare cittadinanza storica anche gli altri eroi della foresta: da padre Tuck a Little John e i restanti compari dell'«allegra brigata». Sullo sfondo un'Inghilterra inattesa, quella della rivolta dei Lancaster, ben più seducente di quella dei biechi intrighi di famiglia - ottusamente quanto vanamente - perseguiti dal più perdente di tutti i re: Giovanni Senza Terra. Piero Soria , n a

Luoghi citati: Cambridge, Inghilterra