Cancogni ottant'anni furiosi

POLEMICA. Lo scrittore festeggia il compleanno e spara su critici, premi, colleghi POLEMICA. Lo scrittore festeggia il compleanno e spara su critici, premi, colleghi Cancogni, ottant'anni furiosi «Da Moravia a oggi: letterati senza coraggio» FILMETTO (Lucca) 'li ANTI auguri per Manlio. A I Fiumetto, in Versilia, nella I villa che affaccia sul mare _JU e ha alle spalle le Apuane, Manlio Cancogni ha compiuto ottant'aimi. Li ha compiuti Ù 6 luglio e c'è stata una piccola festa molto appartata. Pochi parenti e nessun critico o scrittore o giornalista si è affacciato per celebrare una delle firme che hanno animato la letteratura italiana da quasi mezzo secolo. Si sente dimenticato? «Per carità - dice Cancogni, quasi scandalizzato della domanda -. Non ne vedo il motivo, lo mi sento gratificato per tutti i riconoscimenti che ho avuto nella mia vita. Posso dire la verità? 10 dalla critica a volte mi sono sentito addirittura sopravvalutato». Lavora ancora con entusiasmo il giornalista e scrittore che dirige mia collana per la casa editrice Pegaso e che tra gli ultimi libri ha pubblicato II genio e il niente, La sorpresa, L'ultimo ad andarsene. Cancogni, che s'impose nel '48 con 11 racconto Azorin e Mirò, ha da poco terminato una nuova fatica, Matelda (Azorin e Mirò e quest'ultimo libro saranno pubblicati entrambi da Fazi Editore nei prossimi mesi), intitolato al personaggio femminile che conduce Dante da Beatrice. Si tratta di un viaggio compiuto dal narratore («bolognese per caso», come dico »ui stesso, ma toscanaccio di pura razza) attraverso la poesia italiana. E' una lunga carrellata ricca di aneddoti e di ricordi su Montale, Ungaretti, Saba e tanti altri. «La poesia è stata la scoperta dei miei vent'anni. Il primo autore che fu per me una vera rivelazione fu Palazzeschi. Allora i lirici più in voga erano Carducci, Pascoli, D'Annunzio. Dopo l'approccio con l'autore de L'incendiario, scoprii gli scrittori contemporanei e successivamente mi appassionai ai versi di Alfonso Gatto. Tutto un tipo di letteratura che in parte oggi non mi soddisfa più. Le storie letterarie sono statiche, non registrano le evoluzioni del gusto. Metterei in un angolo i cosiddetti tre grandi del secolo: Montale, Ungaretti e Saba. Li sostituirei con Carlo Betocchi, Mario Luzi e Giorgio Caproni, molto più attuali, più proiettati verso il nostro presente». Cancogni non ha perso per nulla la sua verve polemica; abituato a colpire di sciabola sui giornali per cui ha scritto - da l'Europeo alla Fiera letteraria - non è stato tenero con i suoi antagonisti. Sulla Fiera, che diresse dal '67 al '69, aveva mia micidiale rubrica, «Carpen- dras», in cui dava mazzate alla destra e alla sinistra del bel mondo letterario («adesso mi pento di essere stato così intransigente», commenta). Giornalista de l'Espresso, battagliava tanto contro gli avanguardisti («i nuovi bigotti», h chiamava) che contro quelli che erano considerati i rappresentanti dell'establishment, come Alberto Moravia: «Eravamo molto amici, ma io non approvavo i suoi cedimenti sia in campo politico, troppo vicino ai comunisti, sia in ambito letterario, dove non gli dispiaceva un'intesa con gli esponenti del Gruppo 63. Moravia si faceva trascinare da quella che era la corrente più forte. Sospetto che fosse un timido e un insicuro - cosa questa che lo rendeva simpatico -. Non aveva nessuna fermezza nelle sue idee». Qual è la sua opinione delle più recenti generazioni letterarie? «Mi capita di leggere molta poesia. Ci sono poeti bravi nella confezione formale. Sono Valerio Magrelli, Maurizio Cucchi, Cesare Viviani, Roberto Mussapi, Milo De Angelis, Biancamaria Frabotta, Vivian Lamarque e altri. Però in tutti questi autori, che pure sono i migliori del nostro panorama, manca qualcosa. Sono asfittici, congelati, come pesci che boccheggiano. Solo Giuseppe Conte ha una forte ambizione ad andare oltre il quotidiano. Nei quarantenni-cinquantenni c'è mancanza di amore per il rischio. So bene da che cosa dipende. Hanno tutti un blocco, una specie di paralisi che li ha colpiti da piccoli». Una malattia infantile dei poeti? «Hanno esordito in un clima letterario terrorista, dominato dalla neoavanguardia Non hanno fatto in tempo a buttar giù le prime righe che erano spaventati a morte. Balestrini, Barilli, Sanguineti, Porta, Giuliani, cercavano di impartire i canoni della nuova poesia. Questi scrittori del Gruppo 63 non conseguivano che scarsi risultati con le loro opere. Ma per di più tagliavano le gambe ai giovani». La narrativa attuale ha subito le stesse nefaste influenze? «Io sono un votante allo Strega. Ho letto tutti i libri dei giovani della cinquina. Lo confesso. Non mi convincevano molto. Per esempio il vincitore, Alessandro Barbero, indubbiamente è un giovanotto in gamba, eccellente nel metter su un racconto settecentesco. Ma il rifugiarsi nel romanzo storico è un modo di menare il can per l'aia, di mascherare l'assenza di una filosofia della vita. Oggi ci sono tanti autori di successo, molto capaci, penso alla Tamaro, alla Capriolo, a Veronesi (a lui vorrei chiedere un libro per la mia collana), Lodoli, Baricco, Maggiani. Ma alcuni di loro sono stati colpiti dal morbo dell'avanguardia, osano poco». Lei ha ottenuto per i suoi libri i premi più famosi (Bagutta, Strega, Campiello) ed è stato membro di parecchie giurie importanti, come quella del Viareggio. E' convinto che sia vero, come ha dichiarato Roberto Cotroneo qualche giorno fa al Corriere della Sera, che esistono premi corrotti come lo Strega e premi «puri», immacolati, come il Campiello (a cui lo stesso critico concorre quest'anno)? «Ma no. Sono tutti manovrati ma non, come si ritiene comunemente, dalle raccomandazioni o dalla pressione delle case editrici. Il nostro è un Paese di famiglie. E le famiglie esistono anche in letteratura. Quelle di oggi non le frequento ma quelle dei miei tempi erano parecchie. Per esempio c'era il clan dei fiorentini (poeti ermetici), dei romani (Moravia e Nuovi Argomenti), dei salotti romani (Bellonci e Premio Strega), dei napoletani (Rea, Pomilio, Prisco, Ortese, Compagnone), e così via. Chi era fuori da mi gruppo, letterariamente non esisteva». Dei critici di oggi, cosa ne pensa? «Poveracci. Si trovano in difficoltà. La massa degli scritti è così abbondante! L'orecchio critico si ottunde quando le opere sono così numerose e va a finire che non si sente più il suono buono». Mirella Serri «Sui nostri autori pesa il morbo dell'avanguardia Se vuoi contare o vincere qualche premio devi appartenere a clan e famiglie» sono poeti bravi nella confezione formale. Sono Valerio Magrelli, Maurizio Cucchi, Cesare Viviani, Roberto Mussapi, Milo De Angelis, Biancamaria Frabotta, Vivian Lamarque e altri. Però in tutti questi Sono asfittici, congelati, come pesci che boccheggiano. Solo Giuseppe Conte ha una forte ambizione ad andare oltre il quotidiano. Nei quarantenni-cinquantenni c'è mancanza di amore per il rischio. OfJO «Sui nostri autori pesa il morbo dell'avanguardia Se vuoi contare o vincere qualche premio devi appartenere a clan e famiglie»

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