Un rischio Seveso in Lomellina di Claudio Bressani
Un rischio Seveso in lomeliina Lo stabilimento è chiuso da cinque anni, il titolare è stato denunciato Un rischio Seveso in lomeliina Sotterrati duemila fusti tossici, molti sono rotti VIGEVANO. La fabbrica di furfurolo nascondeva in realtà un cimitero di veleni. Quello che gli uomini della Finanza avevano ipotizzato nel maggio '95, dopo i primi sondaggi con il metal-detector e il rinvenimento di 353 fusti nel sottosuolo della «Sif» (Società Italiana Furfurolo) di Valle Lomeliina, ora è stato confermato in tutti i suoi inquietanti contorni. Nei pressi dello stabilimento, inattivo da cinque anni, sono stati portati alla luce altri 1584 bidoni da duecento litri l'uno, in gran parte corrosi e rotti, contenenti «teste» e «code» di lavorazione. Le analisi condotte dai tecnici del presidio multizonale di igiene e prevenzione di Pavia hanno confermato la natura tossico-nociva dei rifiuti. Durante gli scavi sono emersi anche 63 mila litri di liquami classificati sempre come tossico-nocivi e 600 metri cubi di fanghi classificati come rifiuti speciali. Le operazioni di recupero, eseguite da una ditta specializzata di Sannazzaro, sono durate parecchi mesi e si sono concluse nell'autunno scorso. Ora gli uomini della tenenza di Vigevano hanno ultimato le indagini, risalendo ai responsabili della discarica abusiva e denunciandoli a piede libero per violazione di una legge del 1982 in materia di tutela dell'ambiente. Si tratta dell'amministratore unico della «Sif srl», Luigi Guidi, 79 anni, di Milano, e di un ex direttore dello stabilimento di Valle Lomeliina, del quale non è stato reso noto il nome. Secondo l'accusa la ditta, che produceva furfurolo trattando con un acido la lolla di riso, anziché smaltire gli scarti di lavorazione attraverso imprese specializzate si sarebbe limitata a sotterrarli sul retro della fabbrica, a diversi metri di profondità. Un sistema decisamente meno costoso, che sarebbe andato avanti per anni: i fusti rinvenuti sono quasi 2 mila, mentre gli inquirenti calcolano che lo stabilimento producesse scarti al ritmo di uno-due bidoni al giorno. Per nascondere una gran parte dei veleni era stata anche realizzata una piattaforma di cemento armato, che apparentemente era un parcheggio per gli automezzi dei dipendenti. In realtà era un «sarcofago» sotto il quale erano nascoste centinaia di tonnellate di rifiuti tossico-nocivi. Secondo i finanzieri quel manufatto è la prova che i responsabili hanno agito con dolo. Lo stabilimento della Sif, che occupa un'area di 40 mila metri quadri, ora è sotto sequestro. Due anni fa quella fabbrica dismessa era stata individuata dall'amministrazione comunale per la realizzazione di un impianto di cogenerazione dell'energia elettrica dalla lolla di riso. L'idea era stata abbandonata anche per le forti perplessità suscitate dal progetto, che non teneva conto della necessità di bonificare l'area. Claudio Bressani
Persone citate: Sannazzaro
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