In pista ad Atlanta corre la paura di Gabriele Romagnoli

Gli organizzatori garantiscono la massima sicurezza ma la realtà è piena di incognite e rischi Gli organizzatori garantiscono la massima sicurezza ma la realtà è piena di incognite e rischi In pista ad Atlanta corre la paura / Giochi olimpici si scoprono vulnerabili ATLANTA DAL NOSTRO INVIATO E così anche questa volta dovremmo mettere da parte i Giochi, rifare la faccia seria e raccontare della morte che, forse, marcia su Atlanta e della paura, che, certamente, è già arrivata qui. E' precipitato un aereo a New York, può accadere che salti in aria un vagone del metrò o un corridoio dello shopping center nella città dell'Olimpiade? Certo che può accadere, qui come ovunque, nonostante le difese, proprio per sfida alle difese. E se accadrà, nulla si fermerà e sarà giusto così: che muoiano cento persone in Irlanda, mille in Birmania, diecimila in Liberia, non sarà più offensivo per l'umanità delle eventuali vittime in America. Non più offensivo di come già è il mondo che stanotte si siederà davanti alla televisione, facendo finta di essere un cortile dove tutti giocano felici. Può accadere, che la morte arrivi ad Atlanta. Non fidatevi della sicurezza della Security: è solo un gioco di parole e non uno stato delle cose. Ascoltate pure Michele Verdier, portavoce del Ciò quando dice: «Non ho alcun dubbio sul fatto che tutte le misure adeguate siano state prese, al giusto livello, per proteggere la tranquillità delle Olimpiadi», ma non credetele: qualche dubbio ce l'ha, eccome. Ce l'ha anche Bill Campbell, il sindaco di Atlanta, ma non può permetterselo. Il dovere e la carica gli impongono di dichiarare che «il lungo lavoro investito nella orga¬ nizzazione di questi Giochi non sarà tenuto in ostaggio dal terrorismo, le misure di sicurezza sono state rafforzate ovunque, dall'aeroporto ai trasporti, dagli impianti di gara al villaggio olimpico». Provare per credere. L'aeroporto è uguale agli altri giorni, l'unica modifica è l'innalzamento del livello di sensibilità dei rivelatori di metallo. L'addetto alla sicurezza è certo che d'ora in poi «anche un paio di forbici o un mazzo di chiavi faranno scattare l'allarme dei magnetometri». Ma l'impressione è che nessuno sia convinto che la minaccia pòssa atterrare a Hartsfield. Il nemico, se c'è, è vicino, viene dall'America, viaggia sulla strada attraversando le frontiere che portano alla Georgia. Lo intercetteranno? «Siamo passati dal livello di allarme C al livello B, il più alto in condizioni di non emergenza - dice Bill Wells, portavoce del comitato di sicurezza -. Solo l'imminenza sicura di un attentato farà scattare il livello A)). Che cosa potrà m. ' irgliela? Si possono prevedere bombe come temporali? Basta guardare in alto, vedere le nuvole addensarsi e sentire che ci siamo, il gioco è finito? Se sarà così, dove vanno messi gli avvisi di tempesta sulla cartina di Atlanta? Non certo sul villaggio olimpico. Lì splende, da sempre e per sempre, il sole artificiale noleggiato dal Ciò. Lì i controlli, già doppi rispetto al resto della città, sono stati ancora aumentati. Gli atleti vivono nel loro mondo di fatiche e sogni, protetti da angeli custodi incaricati di tenerli lontano dalla realtà, dai giornali, dalle notizie, dagli aerei che cadono e dalla morte che viaggia. Gente sincera, gli atleti. Come Albano Pera, un italiano che fa il tiratore. Se gli chiedi cosa cambierebbe una bomba durante le Olimpiadi risponde: «Siamo troppo concentrati sulle gare per pensarci». Quanto al sentirsi sicuri, è come ascoltare la bocca della verità: «Qui nel villaggio - dice - una bomba non può arrivare. Ma all'esterno ho la sensazione che ci siano dei buchi nella sicurezza, credo che si possa essere colpiti». Ci sono i buchi. Hanno aumentato i poliziotti a piedi e a cavallo. Hanno mandato perfino i «poliziotti sdraiati» (è il modo gergale di chiamare i dossi artificiali messi sulla strada per rallentare le auto). Hanno creato centinaia di posti di blocco. Hanno chiesto (e ottenuto) altri elicotteri per radiografare la città dall'alto. Hanno blindato i vetri degli edifìci a rischio, infilato un tesserino magnetico con foto segnaletica al collo di chiunque (visto anche a quello di un cane). Restano i buchi. Restano due milioni di persone in più che sono arrivate ad Atlanta per vedere Disneyland. Resta quella grande, incontrollabile caverna che è la metropolitana chiamata Marta (e un dio pietoso ci eviti di vedere i titoli su Marta dilaniata). Ci passerà ogni giorno un milione e mezzo di persone, già ora la portavoce dell'azienda che la gestisce la definisce «un pandemonio di massa». Pochi poliziotti, nessun controllo. L'inferno è sempre sottoterra. Sopra, si canta il blues e si tira avanti. Si cammina lungo Peachtree Street con le scarpone di panna ai piedi e si aspetta lo spettacolo. Se si va veloci e si ascolta la musica, non si vedono i buchi. Eppure ci sono. Anche quelli lasciati da duecento poliziotti volontari, assunti dal Ciò per fare la guardia ai Giochi, che ieri l'altro hanno fatto le valigie e sono tornati a casa dopo aver spiegato: «Qui non funziona niente, è tutto un gran casino». Rassicurante la replica del loro responsabile: «Non abbiamo fatto un buon lavoro, sono il primo a riconoscerlo». Trecentocinquanta miliardi spesi, trentamila divise in giro per Atlanta e adesso dicono che non basta perché un pazzo potrebbe infilarsi nei buchi e portarsi via qualche vita. Sono tutti lì ad aspettarlo: lo sguardo di sfida dei poliziotti, l'anima cinica dei giornalisti, la faccia trucida dell'America, la predestinazione della razza umana che non sa giocare, ma neppure ha la forza di distruggere il giocattolo e lasciare spazio alla cerimonia inaugurale del silenzio. Invece, siamo qui ad aspettare che arrivi la torcia. Gabriele Romagnoli A sinistra, alcuni poliziotti di Atlanta A destra, gli esperti della polizia scientifica esaminano i primi rottami raccolti in mare L'allarme è passato dal livello c al B Il Villaggio degli atleti sembra un fortino inespugnabile ma in città spuntano inquietanti «buchi»

Persone citate: Albano Pera, Bill Campbell, Bill Wells, Michele Verdier