Bunuel, lo sguardo del sadico

21 Bunuel, lo sguardo del sadico Madrid celebra il regista con una colossale mostra al Centro Reina Sofia, ed è già polemica Incarnò le contraddizioni del '900 MADRID OME accade alla maggior parte dei sordi, i ciechi non mi piacciono un granché. Fra tutti i ciechi del mondo, ce n'è uno che tollero poco, Jorge Luis Borges, con il quale mi trovai due o tre volte sessant'anni fa: mi sembra abbastanza presuntuoso e adoratore di se stesso. E' un bravo scrittore, ma il mondo è pieno di bravi scrittori... Mi piacciono Sentieri di gloria di Kubrick, Roma di Fellini, La corazzata Potèmkin di Eisenstein... Ho detestato Roma città aperta di Rossellini... Detesto mortalmente i banchetti e le consegne dei premi... Mi piacciono le manie. Ne coltivo alcune. Le manie possono aiutare a vivere. Compatisco quelli che non ce l'hanno». Lui, il grande regista aragonese, Luis Bunuel, di manie ne aveva tante, e anche una buona dose di cattiveria, e i suoi giudizi sono quello che sono: assurdi, meschini, poco generosi, spesso dettati, come nel caso di Borges, dall'astio, sempre proclamato, del sordo (quale egli era) verso il cieco e, in generale, da quel sadismo che non aveva mai pensato di nascondere. Ma sono anche giudizi che si adattano alla crudeltà, alla denuncia, a tutti i drammatici interrogativi del nostro secolo. Bunuel! La Mirada del siglo, questo il titolo della mostra grandiosa - «una cattedrale per Bunuel», come è stata definita - che si apre ora a Madrid: tutti i film restaurati del maestro, oltre a tutte le opere più importanti di cent'anni di cinema. Il tutto nel Centro Reina Sofia fino al 14 ottobre. Poi si trasferirà (forse senza grande gioia dell'interessato, che fu sempre molto critico verso le autorità messi- cane) al Museo del Palazzo delle Belle Arti del Messico. Il titolo è in qualche modo e forse deliberatamente, intraducibile: perché, nell'originale spagnolo, c'è un interrogativo che precede Bunuel, oltre all'esclamativo che lo segue, e il regista, nel suo sguardo gettato al secolo, rimane ancora un enigma. E, da subito, la mostra ha suscitato, com'era inevitabile, polemiche: Bunuel tecnico e superpartes, anzi campione di hispanidad, come vuole la destra, oppure simbolo degli anni difficili che gli toccarono in sorte: la dittatura di Primo de Rivera, la Repubblica spagnola, la Guerra Civile, e poi l'esilio e, al suo ritorno dal Messico, nel 1960, un franchismo strisciante che l'accompagnò fino a pochi anni prima della morte, nel 1983? Contraddittorio Bunuel fu sempre, fin dalla sua nascita, nel 1900, a Calanda, vicino a Temei, cittadina del tutto anacronistica, celebre soltanto per i tamburi fragorosissimi che sono suonati durante la Settimana Santa e che si faranno sentire anche durante la mostra. Destinato a fare l'agronomo, fu inviato a Madrid a 17 anni e finì, invece, alla Residencia de Estudiantes. In quella Residencia, ormai assurta a dimensioni mitiche, primo centro educativo di Spagna totalmente indipendente dallo Stato e dalla Chiesa, avvengono, subito, alcune delle fondamentali scoperte di Bunuel. Non soltanto la scoperta della poesia spagnola ma, attraverso la frequentazione con Federico Garcia Lorca, al cui «magnetismo e attrazione non resisteva nessuno», Bunuel trova quella figura di San Simone Stilita che in seguito sarebbe diventato il film Simone del deserto. Nei vagabondaggi notturni a Toledo, in qualità di membri del fittizio ordine di cavalleria, che prescriveva l'ubriacarsi per lo meno una notte, c'è anche il raccogliersi dei cavalieri davanti alla tomba del cardinale Tavera che diventerà poi una scena in Tristana. E, fondamentale, sempre alla Residencia, la conoscenza con Dali che porterà al surrealismo dello Chien andalou e àeWAge d'or. Ma il lato più oscuro di Bunuel ateo, brutale, iconoclasta, ma anche dotato di quella pietà sottile che muove i personaggi di Ims Hurdes, di Nazarin, è altrove: nella sua fedeltà sotterranea a mi grande scrittore spagnolo dell'Ottocento, Benito Perez GaJdós, che un poco gli rassomigliava, ma soprattutto, palesemente o clandestinamente, rimase l'ispiratore di tanta opera sua. Galdós e Bunuel coesistono non soltanto nella trascrizione dei terni di Nazarin e di Tristana ma, fondamentale, nella famosa scena del lavaggio dei piedi dei poveri di Viridiana, il film che, per mi articolo ostile apparso sull'Osservatore Romano, fu proibito in Spagna (e fu destituito allora il direttore generale della Cinematografia che aveva presenziato a Cannes alla consegna della Palma d'oro), nei tratti sottilmente surrealisti di tanti film (per esempio il feticcio delle scarpe e dei piedi) e, soprattutto, ni quello spaziare sulla terra di nessuno di sogno-realtà, di erotismo-religione, di Spagna del passato, Spagna del presente che nessun incasellamento di generi riesce ad annullare o spiegare. Perché, diciamolo pure, in questa estate spagnola, carica di anniversari davvero scottanti (fra im mese quello dell'assassinio di Garcia Lorca a Granada), La Mirada del siglo significa anche lo sguardo sulla tragica contraddittorietà della Guerra Civile. Basti pensare che in mezzo all'enorme rassegna messa msieme dalla Filmoteca Nacional, tra i film degli anni della Repubblica, ci saranno anche le pellicole del falangista Sàenz de Heredia al quale Bunuel salvò la vita durante la guerra. Angela Bianchini Amava Kubrick e detestava Borges: «Mi piacciono le manie, possono aiutare a vivere» La destra lo vuole campione della hispanidad, molti invece lo considerano simbolo degli anni difficili della dittatura Un'immagine da «L'angelo sterminatore»; in alto Luis Bunuel; accanto, Catherine Deneuve e Pierre Clementi in «Bella di giorno» La Vitti nel «Fantasma della libertà La Vitti nel «Fantasma della libertà