Il tenore col playback umano di Lorenzo Mondo
Il tenore col playback umano Il tenore col playback umano Prostituta per salvare il figlio La donna ricattata da tre albanesi: arrestati OGGI LVERONA A voce è come l'anima, vola via quando meno te l'aspetti. Risorge, qualche volta; oppure, imprevedibile, muore in gola e resta lì, muta e perduta. I tenori lo sanno e la venerano, la proteggono, la incensano come una tremenda divinità suscettibile. Adesso, hanno un episodio in più di cui nutrire le loro leggende professionali. L'altra sera, durante il terzo atto della Carmen di Bizet, l'eterna capricciosa si è vendicata dell'incolpevole Sergej Larin, in scena all'Arena nel ruolo di Don José. E' sparita, in un attimo, proprio mentre lui stava mirando al cuore del rivale Escamillo. Sciopero senza preavviso per i 16 mila melomani venuti a gustarsi la Spagna reinventata da Zeffirelli. Larin sforza, non crede alle sue orecchie: apre la bocca, gli risponde il silenzio. Avrà pensato con terrore all'ultima recita di Caruso al Metropolitan, ogni nota uno squarcio, e la voce sempre più fragile, lontana. Suda, gli sale la febbre, arriva il medico, impotente. Il complesso e costoso meccanismo del melodramma prevede il ruolo del doppio, il sostituto pronto per ogni emergenza. Ma, al terzo atto, il doppio, poco scaramantico, aveva già deciso che di lui non c'era bisogno ed era andato a godersi la notte veronese. Si alza un signore dalla platea, un americano in vacanza sul lago con la moglie e il fratello: «Sono John Horton Murray, conosco la parte, canto io». L'occasione della sua vita, o la va o la spacca: in ogni tenore sopravvive un guascone. La direzione dell'Arena non ha il tempo di verificare, poi l'invenzione geniale, il playback umano. Larin, paonazzo di febbre, furioso di gelosia, va in scena, immagine credibilissima del delirio finale di Don José. A quel corpo afono, la voce la presta John, dietro le quinte, invisibile, perfettamente in parte, senza uno straccio di prova. Il pubblico in delirio, un nuovo tenore da scritturare, un altro mito di cui nutrire la storia del melodramma. TORINO. Obbligata a prostituirsi sui marciapiedi di Rimini e Milano con un ricatto ignobile: il figlio più piccolo, Mattia di 9 anni, tenuto prigioniero dai suoi sfruttatori in un alloggio di Torino: «Vedi di guadagnare, altrimenti non lo rivedrai». Elena, vedova albanese di 33 anni, madre di altre tre bambine, ha sopportato violenze e umiliazioni perché, ogni tanto, i suoi aguzzini le permettevano di parlare al telefono con il bambino. Una sola volta ha potuto abbracciare Mattia. Poi Elena non ce l'ha più fatta e ha trovato il coraggio di raccontare ogni cosa ai carabinieri. Le sue indicazioni hanno permesso ai militari di risalire alla prigione del bambino. Tre albanesi, due uomini e una donna, sono stati arrestati. Ora Mattia e mamma Elena sono tornati in Albania, -là dove, tre mesi fa, il bambino fu rapito per «convincere» la donna a prostituirsi. Conti IN CRONACA PER FARE IL GOVERNO DELLE REGOLE, CI VOGLIONO LE REGOLE: ANCHE PER L'ERBORISTERIA. Lorenzo Mondo LA NATURA COME MATERIA PRIMA Sandro Cappelletto CONTINUA A RAG. 6 SECONDA COLONNA 4
Persone citate: Bizet, John Horton Murray, Larin, Sandro Cappelletto, Sergej Larin, Zeffirelli
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