IL REGNO DEL TOPO di Oreste Del Buono

IL REGNO DEL TOPO IL REGNO DEL TOPO Per tutti il padre riconosciuto di Mickey Mouse è Walt Disney: quello reale fu invece Ub Iwerks Fu infatti Ub nel 1928 (ma su suggerimento di Walt) a farlo apparire in un cartone animato presentato al Colony Theater dì New York ECCATO che i lettori che scrivono per protestare non sempre dispongano di una calligrafia, ma appena di una grafia. Il che complica la comprensione di parti dei loro messaggi e mi rende impossibile replicare o rimediare a certe colpe che mi restano ignote. Però della cartolina proveniente da Asti sono riuscito a percepire almeno le prime quattro righe. «111. Sig. Del Buono, si prenda qualche vacanza: i lettori della Stampa si meritano qualcosa di più...». Il resto non l'ho decifrato, ma il significato è inequivocabile. Questa volta, però, mi dispiace ma non posso abbandonare tutto per compiacenza al lettore insoddisfatto di Asti, perché nella scorsa puntata avevo cominciato un discorso e non conviene lasciare a metà un discorso. Quello dell'incertezza sul vero padre di Mickey Mouse come sull'incertezza sul vero padre di Felix the Cai. Per Felix the Cat il padre riconosciuto era stato Pat Sullivan, mentre il padre reale era stato Otto Messmer, per Mickey Mouse il padre riconosciuto fu Walt Disney, mentre il padre reale fu Ub Iwerks (e tutti i disneyani che lo seguirono da Floyd Scott Fredson a Cari Baiks, eccetera), che su suggerimento di Walt Disney fece apparire il topolino in un cartone animato presentato il 18 novembre 1928 al Colony Theater di New York. Il cortometraggio era intitolato Steamboat Willie e ottenne un gran successo. Nel 1930 Mickey Mouse deflagrò dallo schermo nei fumetti. E' il primo eroe dell'avventura a fumetti. Dell'avventura, non della comica a fumetti. C'è una bella differenza. Le sue vicende sono divertenti, ma il filo che le unisce è la tensione, non l'ilarità. Mickey Mouse di suo sarebbe pacifico e inoffensivo, se non intervenissero fatti sconvolgenti da affrontare e cercare di ridurre in termini più accettabili. Mickey Mouse è costretto a buttarsi sempre allo sbaraglio, ovunque: non esistono latitudini o longitudini capaci di intimidirlo, di farlo rinunciare una volta che sia una volta. Mickey Mouse è tenacissimo e più che convinto di doverlo essere. Il sorriso delle sue vicende è un modo di pudore, la modestia gli impedisce di prendere troppo sul serio il suo successo. Eppure, quando arriva ai fumetti, dietro, ha la popolarità già conquistata dallo schermo. Un eroe del suo tempo: avventuroso, eppure positivo, in pratica, un cittadino medio promosso alla leggenda. Come topo predecessore, Mickey Mouse aveva, forse, Ignatz Mouse, un personaggio fondamentale di Krazy Kat, il fumetto di George Herrisman, ma quello era un topo di disordine, sposato con Mice e padre di Millon, Marshall e Irving, che aveva troncato con la famiglia per far vita randagia e colpir a puntuali mattonate Krazy Kat, il gatto gatta perdutamente innamorata di lui, nonché Offissa Bull Pup, il cane poliziotto perdutamente innamorato di Mickey Mouse: il padre riconosciuto fu Walt Disney (a sinistra, sopra Dashiell Hammett), mentre il padre reale fu Ub Iwerks e tutti i disneyani che lo seguirono, da Floyd Scott Fredson a Cari Barks Krazy Kat. Insomma Ignatz Mouse era un mascalzone. Tutto il contrario di Mickey Mouse che tendeva alla perfezione. Il grande scrittore inglese Edward Morgan Forster, l'autore di Passaggio in India, un autentico classico della narrativa contemporanea, per nulla sedotto dal cinema, che per lui non era arte e non era vita, ma semplicemente e brutalmente poltrona, ha scritto in uno Spectator del 1934 un focoso elogio di Mickey Mouse come riscatto dalla banalità cinematografica: «Nessuno si è mai intenerito dopo ver visto Mickey o ha desiderato regalare ai poveri un bicchiere d'acqua extra. Ma i grandi momenti di Mickey sono momenti d'eroismo...». L'eroe capace di generare una passione simile, sia pure condita di ironia, in uno scrittore come Forster, doveva evidentemente possedere qualcosa di universale. Nelle strisce aumentò il potere di seduzione. E, sempre pronto a battersi per cause giuste, fu spesso detective privato. I poliziotti privati erano alla moda nella letteratura e al cinema. E Mickey Mouse, in fin dei conti, è coetaneo del Sam Spade affermatosi nel Falcone Maltese di Dashiell Hammett, il poliziotto tutto muscoli, impulsi, prima di elucubrazioni cervellotiche. La glorificazione del detective privato è una singolarità di quei tempi. Nella realtà, la figura dell'investigatore privato non godeva di un'eccessiva considerazione. Il suo mestiere era visto con comprensibile diffidenza e con inevitabile riprovazione. Il detective privato era una persona sporca che si sporcava spiando i tradimenti dei coniugi inquieti, verificando gli ammanchi degli impiegati infedeli, procurando prove fasulle a carico o a discarico di innocenti, e spingendosi a ricattare i clienti più vulnerabili, e tutto questo, naturalmente, non per fare giustizia delle brutture del mondo, ma per racimolare qualcosa di più di trenta denari più le spese. Ma tra gli Anni Venti e Trenta una specie di congiura tra un editore intraprendente come il capitano Joseph Shaw direttore e proprietario della rivista di narrativa popolare Black Mask, un ex // cortometraggio era intitolato «Steamboat Willie»: due anni dopo deflagrò dallo schermo ai fumetti e divenne reme che conosciamo membro della Pinkerton National Detective Agency costretto da una grave malattia a rinunciare all'azione e a guadagnarsi il pane scrivendo come Dashiell Hammett e un gruppo di ex cronisti di nera in vena di letteratura come Richard Sale e Frederick Nebel, partorì, in una serie di racconti rapidi ed aggressivi, la trasformazione dello screditato detective privato in un eroe romantico e anche sociale. Il 1929 è anche l'anno in cui Dashiell Hammett, coagulando vari racconti in un romanzo solo, The Maltese Falcon, protagonista Sam Spade, inaugura la stagione del giallo all'americana destinato a imperversare non solo nei pulp magazines, ma in ogni settore della narrativa, fumetti compresi. E' curioso constatare che il dolce tondo segno disneyano che non ammette asprezze né contraddizioni sia arruolabile accanto al duro, feroce segno di un Chester Gould, creatore dello spietato sbirro Dick Tracy, detective nato nel 1931 su The Chicago Tribune del capitano Joseph Patterson, ma le cose stanno proprio in questo modo. La strada del crimine è senza uscita. Strada sbarrata. Il ciimine non paga. E' la morale affermata da ogni mezzo di comunicazione, ma il cinema, pur predicandola intemeratamente, in pratica si interessava più ai criminali che a chi li combatteva. Basta una scorsa ai titoli dei primi film, da Little Caesar di Marvin Le Roy (1930), protagonista Edward G. Robinson, a The Public Enemy di William Wellman (1931), James Cagney protagonista, a Scarface, Shame ofNation di Howard Hawks (1931, '32), Paul Muni protagonista, a G-Men di William Keighley (1935), James Cagney protagonista, a Angels wiih Dirty Faces di Michael Curtiz (1938), James Cagney e Humphrey Bogart protagonisti, a High Sierra di Raul Walsh ( 1941 ), protagonista Humphrey Bogart... Nei primi film le figure dei criminali, anche se alla fine vengono sbrigativamente gabellati per perdenti, si impongono in modo schiacciante. Sarà il versatile Humphrey Bogart, interpretando il Sam Spade di The Maltese Falcon, diretto nel 1941 da John Huston, ad appassionare i suoi spettatori alle sorti dell'improbabile figura del detective privato almeno mezzo santo, se non completo. E da allora Humphrey Bogart starà più dalla parte della legge che del crimine, sebbene così abile in tutte e due le parti. Mickey Mouse non ebbe bisogno di scegliere, era naturalmente nato dalla parte giusta, non poteva sbagliare. Ma poi arrivò la guerra. La seconda guerra mondiale, perché a chi di dovere era apparsa insufficiente la prima. Oreste del Buono BAKTMZAUHI

Luoghi citati: Asti, India, New York, Regno Del Topo