Il riscatto di Valenciennes pittore dei muri proustiani di Marco Vallora

Il Festival di Spoleto riscopre un paesaggista colpevolmente dimenticato Il Festival di Spoleto riscopre un paesaggista colpevolmente dimenticato Il riscatto di Valenciennes pittore dei muri proustiani PSPOLETO RAUCAMENTE dimenticato, e anche con fastidio. Insieme a tutti quegli epi I goni noiosi dell'Ecole Imperiale du Paysage, dal tocco troppo glacée, pedante, che si fingevano devoti di Lorrain e in verità con la loro pittura «convenzionale, razionale e morta» non amavano nemmeno la natura, che tanto omaggiavano: «Non la interrogavano». Ne sembrava coinvolto anche il geniale ma sconosciuto Pierre-Henri de Valenciennes, al quale dedica una emozionante mostra il Festival di Spoleto {a Palazzo Racani Arreni, curata da Bruno Mantura e Geneviève Lacambre). Lo stesso Focillon che apparentemante voleva risparmiarlo finiva per dire: «Ed è contro quell'Italia leccata, contro i "graziosi" vagabondaggi romani, contro quei Ruysdael e Hobbema da periferia che sorse il paesaggio davidien di Valenciennes, che riprende Poussin ma in modo povero, scolastico». Chi ha avuto la ventura un paio di anni fa di assistere alla riapertura delle Sale alte del Louvre, non avrà dimenticato lo shock febee dello svelamento di quelle impagabili tele, ariosamente schizzate e modernamente informali (magari un racconto di sole nubi o il diario incantato d'uno svariare libero di cielo, con l'incattivirsi improvviso delle ombre), che portavano la firma di Valenciennes. Poi a rivoluzionare ogni pregiudizio, sopraggiunse il bellissimo e sovversivo saggio di Anna Ottani Cavina, I Paesaggi della Ragione, dedicato proprio al «fantastico» neoclassico degli allievi di David. Con i saggi di Galassi su Corot, di Pomarede e di John Gerc, la luce su un periodo storico è radicalmente cambiata. Ma soprattutto la figura di Valenciennes (il «de» questo figlio di un parruccaio e di una pasticciera di Tolosa se lo tolse precauzionalmente durante la Rivoluzione) assunse un altro valore: non il rigoroso didatta dell'epocale trattato Eléments de perspective, ma nem¬ meno il magniloquente retore di tanti agghindati paesaggi neopoussinesques, che mandavano in deliquio i Salons, ma che non gli valsero mai l'agognata accettazione all'Accademia. Pure, scriveva Pissarro ci tiglio Lucien, «nella cassa tre". "?ai un libro smembrato. E' opers del famoso Valenciennes, è antico ma è ancora il migliore e il più pratico, cerca di coglierne i principi di base». Dunque i rivoltosi impressionisti non disprezzavano Valenciennes, anche se non potevano conoscere i suoi magnifici schizzi ad olio, che arri¬ varono in dono al Louvre nel 1930. E che ora «passano» per Spoleto, riproponendo lo shock del Louvre, proprio come per Spoleto Valenciennes era passato nel suo lungo viaggio in Italia: almeno sette anni di soggiorno romano, quasi in contemporanea con David che frequenta e con cui si scambia doni; mentre incrocia ma senza incontri in Sicilia la spedizione dell'Abate di Saint-Non, che conta Robert, Fragonard, Desprez. Attento a tutto, stenografo appassionato e nervoso di alberi, fenomeni atmosferici, giochi di lu- ce. Come scrive ad un'allieva immobilizzata dalla malattia: «Ma questo non vi impedirà di dipingere dal vero dopo un acquazzone, perché dalla vostra finestra dovrete pur vedere qualcosa, quand'anche non fossero che muri». E sono splendidi proprio i «pan» proustiani di muri intrisi di melanconie crepuscolari, cieli sbrigativamente lavati da un ceffone di pioggia. Nel catalogo Electa Napoli, Luigi Gallo ricorda l'Hegel del viaggio nelle Alpi Bernesi, perché Valenciennes è poeta proprio nel saper cantare «quel perenne dissolversi di ogni onda, di ogni bolla di schiuma». Mentre ci è più difficile concordare con l'ecumenismo di Pomarede e Mantura che sostiene che «Valenciennes pittore di paesaggi storici non è da meno di quello dei bozzetti». No, il grande Valenciennes, che piaceva anche a Lionello Venturi, è proprio quello modernissùno, sommario e sprezzante, dall'elementarità sognante degli schizzi almanaccati con urgenza: come se in Vincenzo Monti trovassimo già Sandro Penna. E in cui si annuncia tutta la pittura a venire: dai macchiaioli a Corot, da Morandi a Licini, da Bartoli a Scipione a de Staél. Marco Vallora Nella «Veduta dell'antica città di Agrigento» tutto lo stile di Valenciennes (nel riquadro)