SEPULVEDA Un guerrigliero nella Terra del Fuoco

SEPÙLVEDA oli avventurosi. Lo scrittore cileno fra rivoluzioni, galere e viaggi alla ricerca della libertà SEPÙLVEDA Un guerrigliero nella Terra del Fuoco EROMA RA un bimbetto dal faccino smunto, inagrissimo, gambe come stecchini e occhi immensi. Con una gran fame di gelati e pieno di curiosità. Se ne andava a passeggio tutto solo per Valparaiso, guardando l'oceano e sognando di tentare imprese mai compiute. Quando ebbe dieci anni, il nino cileno che sentiva vivissimo il richiamo del mare non ci pensò due volte, s'imbarcò come mozzo su una nave passeggeri e poi su una baleniera: «Vivere in un Paese come il Cile, con 5 mila chilometri di costa, essere circondati dal mare è un perenne invito al vagabondaggio, a cercare di scoprire terre e luoghi sconosciuti», dice lo scrittore Luis Sepùlveda. Oggi ha quasi cinquant'anni, una gran barba nera, la corporatura robusta e alle spalle una vita così ricca di avvenimenti da gareggiare con le esistenze dei letterati più avventurosi, da Byron a Hemingway, e in Cile è stato ribattezzato il «nipotino di Melville». «A spingermi verso la Terra del Fuoco non fu solo la passione per l'ignoto. Furono anche i libri di Francisco Coloane, figura di leggendario narratore, nato a Quemchi nel 1910, che interruppe giovanissimo gli studi per andare a esplorare le regioni meridionali del Cile con cercatori d'oro e cacciatori di foche, a bordo di una baleniera. Per me leggere quei romanzi e poi prendere la decisione di partire fu tutt'uno. Il mare ti segna irrimediabilmente e ti lascia i migliori ricordi. Sono tornato a casa con una gran voglia di ripartire», osserva il romanziere enfantprodige della letteratura latinoamericana, che ancora oggi continua a viaggiare molto dividendosi tra l'Europa e il suo continente. Lo abbiamo incontrato di passaggio a Roma, dove nei giorni scorsi ha presentato il suo nuovo libro La frontiera scomparsa. Ma a segnare indelebilmente la vita del futuro scrittore, figlio di un proprietario di ristorante militante comunista e di una infermiera, non sarà solo l'amore per il viaggio e per l'avventura. Sarà miche quello per la politica, e l'intolleranza per i soprusi, per l'ingiustizia e per ogni tipo di dittatura. Combattente nelle file dei guerriglieri in Bolivia e in Nicaragua, per anni, Sepùlveda avrà un'esistenza senza casa e senza legami familiari, viaggiando con il mitra in spalla e una vecchia tenda piegata in una bisaccia. Per un breve periodo sarà tra le guardie del corpo del presidente Allende e, con la dittatura di Pinochet, finirà in galera, subirà la tortura e l'esilio dal Cile, e si trasferirà ad Amburgo («dove comincia la mia avventura cosmopolita»). Da questa cate- na di eventi nascono i suoi romanzi ricchi di leggende, di incredibili cacce a tesori nascosti dai nazisti (come in Un nome da torero), di frammenti di autobiografia (La frontiera scomparsa), di viaggi favolosi in una natura ancora incontaminata, dalla Terra del Fuoco alla foresta abitata dagli indios Shuar. Per Sepùlveda la vita di adolescente finiva bruscamente dietro le sbarre a soli sedici anni. Ragazzino di aspetto ma quasi un adulto per le sue esperienze, metteva una bomba all'Istituto di Cultura per protestare contro l'invasione del Vietnam. «Non avevo paura, ma ero ben consapevole che non si trattava di un gioco. Qualche ora dopo la polizia era a casa mia». Il primo soggiorno in galera per l'attentato contro gli «yankees imperialisti» per l'autore di II vecchio che leggeva romanzi d'amore, non fu eccessivamente drammatico: era tra i prigionieri politici, c'erano dei ragazzi come lui e trovò amicizia e solidarietà. Il suo gesto era stato d'istintiva ribellione, successivamente arriveranno le letture dei «sacri» testi di allora, da Mao a Gramsci, da Rosa Luxemburg a Ho Chi Minh, da Leon Davidovich agli scritti di Che Guevara, che saranno la sua palestra ideologica. La prima pallottola (è stato ferito gravemente per ben tre volte) se la beccò in Bolivia, per un tradimento dei suoi stessi compagni. Un gruppo di guerriglieri, di cui faceva parte Sepùlveda, fu sorpreso dai militari boliviani nei pressi di una stazione ferroviaria. Di venti uomini ne morirono otto. Lo scrittore si nascose sotto un treno merci e mentre scappava fu ferito di striscio da un colpo di fucile nella schiena. A rivelare la loro presenza erano stati i membri del partito comunista internazionale. «Nel 1971 - racconta ancora Sepùlveda - il Mir, Movimiento de Izquierda Revolucionaria, designò il nucleo del Gap. Era la Guardia de Amigos Personales del presidente Allende, scelta tra i militanti socialisti che avevano una preparazione militare. Io ero tra questi. Stare a fianco del Presidente fu per me un'esperienza straordinaria: Allende era una persona eccezionale. Era un gran fumatore, un gran bevitore di whisky, molto sensuale, gran dongiovanni. Era pure un uomo dotato di un'enorme carica di umanità. Aveva una grande attenzione anche per noi, che eravamo le sue guardie del corpo. Non dimenticava mai di chiederci informazioni sulle nostre vite private, sulle nostre famiglie, sui nostri amori. Era molto generoso. Una volta mi ricordo che noi del Gap volevamo dargli delle istruzioni sul comportamento da tenere in caso di at¬ tentato. Lui doveva buttarsi al suolo menare noi lo avremmo protetto con i nostri corpi. La risposta fu: "Credete che il compagno Presidente possa andare a nascondersi come una gallina sotto i corpi dei suoi migliori uomini?". Quando ci fu il colpo di Stato lui aveva a disposizione sei caricatori per il Kalashnikov. Li usò tutti per difendersi. Tranne l'ultimo che adoperò per sé. Io seppi della sua morte cinque giorni dopo l'avvenimento. Ero responsabile della difesa della cisterna di acqua potabile di Santiago ed ero tagliato fuori da ogni contatto». Catturato dai militari del generale Pinochet, subì vessazioni terribili, gli vennero strappate le unghie dei piedi e delle mani, fu bersagliato di scariche elettriche. Alle sevizie fisiche si aggiunsero quelle psicologiche come l'isolamento, le menzogne sui presunti tradimenti di amici, parenti e compagni. Passò così due anni e mezzo in una delle pili terribili carceri cilene: quella di Temuco. «Non avevo nessun timore di morire - dice Sepùlveda -, ho sempre considerato la morte come una parte integrante della vita. L'esistenza quotidiana in prigione non era tremenda, si riusciva a leggere, si studiava economia (un professore tenne un seminario su Keynes), s'imparavano le lingue, la matematica, la fisica, la storia, la filosofia. Ma quando i militari ti portavano alla caserma di Tu capei per sottoporti ai loro sadici interrogatori era peggio che morire». Grazie alle pressioni di Amnesty International, con venti chili di meno, rapato a zero, con i segni delle torture ancora visibili su tutto il corpo, Sepùlveda fu liberato dai militari cileni, accompagnato al confine come ospite indesiderato. Ma decise che la guerriglia continuava a essere la strada tracciata per lui dal destino. Spostandosi con mezzi d'occasione, con automezzi militari disastrati, a bordo di sgangherate corriere, su treni sconquassati, dormendo in accampamenti improvvisati, tormentato per giorni dalla pioggia e dalla fatica, si spostava dalla Bolivia al Nicaragua. Il ricordo più tremendo della sua vita è legato alle atrocità compiute dal dittatore Somoza. «C'è una via nel piccolo paese di Bloofileds che ha un nome maledetto: è l'Avenida Morgan. E' una strada dell'orrore. Lì ci imbattemmo in immagini terrificanti: davanti a noi c'erano i corpi di venti persone, alcune delle quali respiravano ancora. A queste persone avevano strappato la pelle da vive. Era tremendo. Quelli che erano ancora in agonia dovemmo finirli a colpi di pistola per non farli ulteriormente soffrire». Ma, aggiunge lo scrittore-guerrigliero, «è un ricordo troppo intimo, troppo privato. Mi fa star molto male e su questo argomento credo che non scriverò mai nulla. Quando ho saputo che Somoza era stato assassinato in Paraguay non ho provato nessuna pietà. Ancora oggi, dopo che ho avuto molte soddisfazioni dalla vita, penso che non ve ne sia nessuna comparabile alla gioia che mi dà stappare una bottiglia di vino quando vengo a sapere che un criminale o un torturatore è stato giustiziato». Invece il ricordo più consolante di quei lunghi anni di guerra è legato a una data fatidica: il 19 luglio 1979, quando vi fu l'entrata a Managua dei sandinisti. «Fu uno splendido esempio di rivoluzione pacifica. Tutto quel che accadde in quel giorno a Managua ebbe per me un intenso significato. C'erano bandiere sventolanti, canti, balli per tutte le strade della città. Io preferii abbandonare la festa. Mi sentivo stordito, quasi ubriaco per l'ebbrezza della vittoria. M'inoltrai per un intrico di stradine deserte. Incontrai un anziano contadino. Io ero in uniforme ma lui aveva al collo un fazzoletto della milizia popolare anti-Somoza, che aveva avuto un gran numero di vittime. Cominciammo a parlare. Lui mi raccontò che aveva lottato per ben cinque mesi contro la dittatura. Quando io gli chiesi cosa ne pensava del futuro del Nicaragua mi rispose: "Compagno, non ci penso proprio al futuro, ma penso solo a godermi questo giorno in cui ho toccato il cielo con un dito". Aveva ragione lui e io condividevo il suo stato d'animo». Oggi io scrittore, che ha vissuto a lungo in Francia e abita in Germania, si considera un militante della causa del Chiapas. All'avventura non rinuncia: da poco è tornato dalla Patagonia, terra di spazi e di solitudini. Lì c'ò un forte spirito pionieristico di gruppi di ambientalisti e di ecologisti che vogliono salvare quelle terre dalla speculazione e dallo sfruttamento. E' la nuova frontiera che riempie i sogni di Sepùlveda: l'ultimo libro che sta scrivendo è dedicato ai primi coloni che penetrarono in quei luoghi desolati, dove lui era stato, costeggiando nella sua baleniera, da mozzo-bambino. Sulle orme di Coloane, autore tanto amato, i suoi racconti nascono tutti da avvenimenti di vita vissuta, pieni della sottile magia e della straordinaria ironia della scrittura. Sepùlveda, nella casa della Foresta Nera dove vive con tre figlie e la moglie («L'avvenimento più felice della mia vita è la loro nascita», dice), di storie ne ha ancora a bizzeffe da raccontare. Prossima puntata: la vita di combattente a fianco di Salvator Allende. Mirella Serri «Torturato nelle carceri di Pinochet, combattente in Bolivia e Nicaragua Il ricordo più bello è l'entrata dei sandinisti a Managua» «Nel 71 entrai nella Guardia degli amici personali di Allende: un uomo straordinario, gran bevitore di whisky e gran dongiovanni» Qui sopra Herman Melville, uno degli '«autori» di Sepùlveda. A destra Ernesto Che Guevara. In basso il presidente Allende, pistola in pugno, si prepara alla resistenza contro i golpisti A fianco Luis Sepùlveda, che ha presentato nei giorni scorsi in Italia il suo ultimo libro «La frontiera scomparsa». A destra un'immagine della Terra del Fuoco