Le spine del Colonnello di Igor Man

Le spine del Colonnello Contro di lui crisi economica, odi tribali e la pressione Usa Le spine del Colonnello CHE succede nella austera Libia di Gheddafi? Una cosa è certa: la grande disgrazia del Colonnello continua. Le agenzie di stampa ci informano che martedì scorso, a Tripoli, durante il derby tra le squadre «Al Alili» e «Al Ittihad», sono scoppiati tumulti, degenerati in scontri selvaggi: le guardie han sparato contro i tifosi provocando «almeno 20 morti». I tumulti sono continuati fuori dello stadio, Tripoli è stata a lungo turbata da «episodi di guerriglia urbana». E' stato proclamato il lutto nazionale. La notizia della tragedia allo stadio è stata subito ripresa dall'opposizione libica in esilio (al Cairo), secondo la quale i morti sarebbero addirittura cinquanta. Sono almeno vent'anni che, periodicamente, fonti dell'opposizione e le solite agenzie di stampa diramano notizie del genere a testimonianza d'un malessere popolare in progressiva crescita nonostante il welfare state gheddafiano. Indubbiamente l'embargo imposto dagli Stati Uniti ha dimezzato la già prospera (almeno per i parametri nordafricani) Jamahiria libica, ha soprattutto diffuso una sorta di inedita claustrofobia collettiva dal momento che non si può volare da e per la Libia, né fra Tripoli e Bengasi mentre l'Oasi di Cuira è più che mai lontana e sola, prigioniera del mitico deserto del Calanscio. I libici si sentono assediati, paventano un immenso disastro. Vale a dire un imminente inasprimento dell'embargo, seguito da un futuro (forse prossimo) bombardamento americano, una più dura replica di quello della notte del 14 di aprile del 1986 che fra l'altro semidistrusse la casa tripolina del Colonnello. Allora Reagan mancò per un capello Gheddafi, colpevole, ai suoi occhi, di un attentato a Berlino Est del quale fecero le spese non pochi G.I. (Poi si scoprì che fu un altro leader arabo a volere quell'ignobile colpo). Adesso Gheddafi dovrebbe subire una nuova «severa punizione» per essersi ancora e sempre rifiutato di consegnare «a chi di dovere» i (presunti) responsabili dell'attentato di Lockerbie: in quel cielo, il 21 di dicembre del 1988, un Boeing della Pan Am esplose facendo 270 vittime. Gli autori materiali del massacro vennero (e sono) indicati in due libici che Gheddafi si rifiuta, appunto, di estradare. Si sa come il Colonnello abbia, a suo tempo, definito i due: «iene puzzolenti», e che li avrebbe da tempo consegnati «a chi di dovere» se non fosse che uno dei due (presunti) attentatori apparten¬ ga a una delle più importanti tribù (o kabyle) della Libia. Poiché il suo potere si regge su di un sensibilissimo equilibrio clanico, lui, Gheddafi, ancorché protetto dal clan dei Senussi (cui appartiene la sua indomita moglie) deve poter contare sul consenso di tutte le tribù. L'opposizione vuole che la gente, allo stadio, abbia gridato «contro Gheddafi» tanto e con tale violenza da far paventare il peggio alle guardie che, infine, avrebbero sparato uccidendo 20 (o 50) tifosi. A noi risulta che una parte dei tifosi ce l'avesse con il figlio di Gheddafi, Al Saadi, quello fissato col football, patron della squadra Al Ahli, lo stesso che aveva organizzato una finale di Coppa fra Juventus e Parma a Tripoli, sfumata verosimilmente per il veto degli Stati Uniti. Non erano maledizioni politiche ma semplicemente «sportive» e tuttavia è arrivata la strage. (Come all'Heysel del resto). In Libia vige il caos organizzato, una sorta di rivoluzione culturale permanente accompagna la Jamahiria oramai da circa trent'anni, tuttavia da un anno a questa parte l'atmosfera s'è fatta invero pesante: tutti ma proprio tutti hanno i nervi a fior di pelle. Ammutinamenti in Cirenaica, conflitti a fuoco tra integralisti e servizi di sicurezza, sommosse nei campus universitari, rivolta nel carcere di Abu Solini, uccisione in circostanze non chiare di Mohammed el Hamil, leader del «Movimento islamico dei martiri», Jallud agli arresti domiciliari e infine la nuova campagna contro la corruzione lanciata da Gheddafi nel giugno scorso. Per reprimere manu militari il traffico di dollari, alcol e droga «strumentalizzato dagli integralisti», bestie nere del Colonnello ch'è a suo modo un islamico liberale, una sorta di beduino garantista. In Libia la gente vive nell'attesa angosciosa del peggio, vale a dire del «bombardamento di novembre», alla vigilia delle Presidenziali americane. Il Colonnello sta sulle scatole un po' a tutti, ma a nessuno passa per la mente che il dopoGheddafi potrebbe significare una Libia teocratica nel Maghreb già infettato dall'integralismo? Vale a dire una immensa carica di tritolo a un braccio di mare dalla Sicilia. Igor Man Il «welfare state» petrolifero è ormai solo un ricordo L'opposizione monta Ma l'unica alternativa è un regime islamico