Dal Chianti a Wall Street di Ugo Bertone

Viaggio nella «fabbrica rete», dove la fornitura è integrata Viaggio nella «fabbrica rete», dove la fornitura è integrata Dal Chianti a Wall Street // sistema Gucci cresce tra i vigneti LE ROCCAFORTI DELL'EXPORT FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO La fabbrica del lusso s'annida lassù, al primo piano di un capannone industriale come tanti in quel di Scandicci, a due passi da Firenze, confusa tra mobilifici, carpenteria meccanica, laboratori di plastica. Chi lo direbbe che i portafogli di Gucci, elegantissimi, perfetti (e così cari...) nascono proprio qui? Eppure da questo capannone escono ogni giorno 140-150 portafogli (ciascuno richiede poco meno di un'ora di lavoro), pronti, dopo il controllo degli ispettori, per esser impacchettati e spediti in tutto il mondo. Luca Polli e Emilio Giannelli, artigiani, ex operai («stavo alla Nuovo Pignone - confessa Luca, 37 anni ma siamo fatti per respirare cuoio, da queste parti...») titolari della «Newman», 21 dipendenti, seguono il lavoro con particolare attenzione. Per loro è tempo di esame: se tutto andrà bene loro, uno dei 70 fornitori di Gucci, potranno entrare entro l'anno nel «programma parTner»: assistenza tecnologica e supporto garantito dalla Gucci in cambio dell'esclusiva. I vantaggi? «Finora - spiega Luca Polli - una piccola impresa come la nostra ha lavorato più per la banca che per noi...». Eccolo qui, alla periferia di Firenze, uno di quegli esperimenti che fanno dell'Italia un caso industriale cosi atipico, così diverso: da una parte un marchio di alto prestigio, una «public company» quotata a Wall Street e che vanta tra i soci i maggiori fondi pensione Usa; dall'altra un pianeta di artigiani e piccole aziende, soprattutto nella Toscana del cuoio. E così oggi la Gucci può vantare oltre che su 70 fornitori, su un «nucleo duro» di 24 esclusivisti, certificati sul piano della qualità, satelliti di un gruppo che da due anni raddoppia le vendite ogni tre mesi e che oggi in un trimestre vende di più (193,5 milioni di dollari) dell'intero fatturato '94, al punto da poter celebrare, per la prima volta nella sua storia, il sorpasso di Hermes. «L'idea mi è venuta un paio d'anni fa, dopo aver superato il rischio del collasso dell'azienda». Domenico De Sole, 52 anni, avvocato romano con una carriera quasi solo negli Usa, venne catapultato a Firenze nel '93 dalla Investcorp, nuovo socio assieme a Maurizio Gucci della società dilaniata dallo scontro nella famiglia fondatrice. «Molti fornitori non vedevano una lira da mesi - racconta - qualcuno rischiava il fallimento. Eppure nessuno ci aveva lasciato. Una fedeltà del genere andava premiata e sfruttata...». «Noi ci occupiamo - continua De Sole della finanza, della pianificazione della produzione, della gestione del marchio e della pubblicità. La nostra squadra di creativi, guidata da un texano, Toni Ford, che ho trovato in Gucci, cura i prodotti. In fabbrica continuiamo a far una parte della produzione e a preparare i nostri ispettori, quelli che devono vigilare sulla qualità». Funziona? «Da noi funziona. Eccome», risponde Giuseppe Fossati della Deipel di Ruvina in Chianti, 7 mila borse di Gucci al mese, uno dei pianeti più importanti del sistema. «Un anno fa racconta - non riuscivo a superare i mille capi al mese. I motivi? Lavoravo per Ferrò, lui aveva in catalogo 75 modelli diversi. Non si pianificava e alla fine non si guadagnava, strozzati come si era tra tempi di pagamento, anticipi ai fornitori, straordinari eccetera». Adesso alla Deipel è stata decentrata anche la creazione dei modelli perché, come spiega Angelo Sarri, responsabile della produzione pel¬ letteria di Gucci, «ormai i tempi tra una collezione e l'altra si accorciano e o si raddoppia il lavoro in fabbrica o si coinvolgono i collaboratori esterni, quelli più capaci e fidati». Eccola l'azienda-rete, tipica del «made in Italy». Qui il problema vero è il controllo di qualità. «Per questo - chiude De Sole - non ha senso pensare a spostar la produzione. Un'organizzazione del genere ha senso solo in Italia, dove esiste una tradizione artigianale eccezionale e dove non manca di certo lo spirito di impresa». In Italia, in quasi tutta Italia a giudicare dalla mappa di Gucci: pelli e borse in Toscana, scarpe in Toscana e Veneto, foulard e cravatte a Como, abbigliamento (quello che indossa Meg Ryan nell'ultimo «Elle») in Piemonte, da Biella (Zegna) a Novara (Zana). Peccato che gli azionisti siano tutti americani o quasi, e con gran profitto visto che in 8 mesi l'azione è passata da 22 a 69 dollari. Ugo Bertone Per la prima volta nella sua storia il gruppo celebra il sorpasso deir«awersario» Hermes