Il giardino delle «lolite» in fiore

Il giardino delle «lolite» in Bore Il giardino delle «lolite» in Bore Così Gianni aveva coltivato la sua tribù GENESI DI UN MITO Cm ROMA ™ E' una data esatta in cui il vestituccio a guaina traversò il confine, e da elemento di coattismo divenne fenomeno di massa. Era il 5 luglio del '94 ed in un tripudio di seni e sederi Cinecittà accoglieva le selezioni per la nuova serie di «Non è la Rai». Un trionfo. C'era stato bisogno degli studi cinematografici sulla Tuscolana, tante erano le aspiranti: seimila per centotrenta posti, la polizia bloccava il traffico. Dai manifesti, un'Ambra in versione zio Sam intimava: «Voglio te!». Il lolitismo della trasmissione si riproduceva in natura, conquistava spazi, invadeva il territorio. Vinceva. Ne sono successe di cose, da allora. Quello stesso giorno per esempio il gruppo Boncompagni decise, anche per questioni di rimborsi spese, che tranne casi eccezionali le candidate avrebbero dovuto essere di Roma. Rimbalzando dallo schermo alla vita il microabito smetteva di essere indumento di frange capitoline (dunque non buzzurro né truzzo, non tascio o tamarro ma proprio coatto) per irrompere nel costume. La regola aurea, enunciata dal guru, era semplicissima: «Scarto quelle che l'anno pensare che vanno a letto con tutti e quelle che fanno pensare che non lo farebbero con nessuno». Nasceva una tribù. Una categoria di ragazze in prevalenza metropolitane su cui di lì a poco Boncompagni si sarebbe esercitato. Tutte eguali, confezionate nel medesimo astuccio eppure distinguibili, classificabili per sottocategorie: finte disinibite, ignare, sbroccate, rolexare, harmony. Sono specificazioni che in veste di «antropologo urbano» il regista aveva proposto un anno fa alla Longanesi, per un libro che avrebbe dovuto intitolarsi «Guida delle ragazze». Alla casa editrice oggi nessuno sa dire che fine abbia fatto quel progetto. Le distinzioni comunque dovrebbero essere sempre valide. Finta disinibita, dice il regista, è la ragazzina «che finge di essere tanto moderna, si dà un gran tono, dice di aver già fatto tutto e invece appena parla si capisce che non ha fatto un bel niente. Di questo gruppo fanno parte quelle che si vergognano di di- re che sono ancora vergini. Se glielo chiedi rispondono : per amor di Dio, certo che no. Nella loro testa l'equazione è: se sono ancora vergine vuol dire che nessuno mi ha voluta, quindi meglio dire una bugia». Ignare si definiscono quante «oltre a non sapere di essere belle non sanno neanche cos'è il Vesuvio». Sulle «sbroccate» c'è poco da dire: frequentatrici fisse di discoteche, non vanno mai a letto prima delle Ile nei casi peggiori possono definirsi anche «terremotate». «Rolexara» è invece colei che subisce il fascino dell'omonimo orologio, naturalmente quando è al polso di un uomo. «Dicono: quello ha il Daytona acciaio e oro e non aggiungono altro, perché per loro un ragazzo con questa caratteristica è come un accademico, un plurilaureato». Infine la «Harmony», che non richiede sottotitolazione. Eppure, a pensarci, dietro le battute e il gioco dei paradossi il regista che amava le bambine aveva pilotato un'altra piccola rivoluzione. Pensi a pochi anni prima: al momento in cui con «Domenica In» e «Non è la Rai» quel genio televisivo di Boncompagni aveva rovesciato il modello di femminilità. Dalle maggiorate del «Drive In» a ragazzine che portavano la prima, la seconda misura... Si possono valutare in molti modi, le oscillazioni del costone. Paolo Vasile, direttore del centro di produzione della Mediaset, oggi nell'ambiente è una delle pochissime persone che si prestino ad analizzare quanto sta accadendo. Che succeda qualcosa di importante, è chiaro: qualcosa che sposta i piani, sospinge una storia marginale a un livello diverso. E non solo perché Boncompagni sia più famoso, più o meno sospettabile dei vari Merola o Sabani. Il fatto è che delle ragazze in fiore il regista aveva fatto una tendenza, una voga mentre riusciva a trasformare in spettacolo una parte della sua vita. «Sa perché io non credo alle accuse che leggo sui giornali? Perché rappresentano l'esatto contrario del modo in cui Gianni vive le cose. Lui non direbbe mai ad una ragazza "vieni a letto con me e farai televisione". Lui s'innamora della ragazza che "vede" televisiva¬ mente, della sua immagine. Capisce la differenza?». Forse a non capirla erano le altre. Le altre ragazze, intendo. «Una volta selezionate per la trasmissione, tutte le adolescenti stavano nei nostri studi come in una specie di collegio. Lezione di danza, sosta, corsi di dizione... Per sorvegliarle avevamo scelto il più anziano dei producers, lo chiamavano "nonnino". I genitori dicevano di sentirsi più tranquilli a saperle lì piuttosto che per strada o in palestra. Poi visto che nessimo di noi è sordo ci arrivavano anche voci su altri impieghi delle ragazze, chessò, serate in locali notturni, esibizioni. Per questo facevamo firmare a tutte un impegno a mostrarsi in pubblico solo per la nostra trasmissione evitando discoteche, soldi in nero, giri strani». In effetti, nella storiaccia che continua a coinvolgere grandi e piccoli uomini di spettacolo, un elemento mette curiosità. Le denunce, le confessioni, giungono quasi sempre da ragazze che avevano tentato il grande salto dalla provincia, da lontano. Ormai tutte a Roma, anche le più «coatte», sembrano aver capito che dalla gioventù (atta spettacolo c'è poco da ottenere. Sono state cinque, forse sei le ragazze che sono riuscite a farsi un nome, centinaia di altro sono tornate a casa. Non tutte. Povero Boncompagni, i notiziari della sua rete non gli rendono un buon servizio quando adesso raccontano che «fruga nella memoria» per cercare di controbattere all'accusa. Il grande danno è già fatto. Ma non è che intanto questo scandalo stia uccidendo la teen-ager, chiudendo un'epoca, cancellando le acerbe bellezze dallo schermo? Paolo Vasile ha una spiegazione diversa:«Lo spettacolo vive di momenti, come la storia: e questo è un momento in cui il filone giovanilista è già esaurito. Alla tv dell'allegria si è sostituita quella della consapevolezza. I giovani attori oggi interpretano 0 conflitto coi genitori piuttosto che la difficoltà di trovale lavoro. Ecco, quella dei programmi di prima era una giovinezza sfacciata. Oggi non va più». Giuseppe Zaccaria Il sostituto procuratore di Biella Alessandro Chionna conduce l'inchiesta sulle «vallette a luci rosse» Regole fìsse per reclutare le ragazze di «Non è la Rai» Il direttore del centro di produzione: «Lui non direbbe mai: vieni a letto con me e farai televisione»

Luoghi citati: Biella, Roma