«Ci criticate, ma voi che fate?» di Pierangelo Sapegno

«Ci criticate, ma vai che fate?» «Ci criticate, ma vai che fate?» E Tonino striglia ipolitici del Veneto ? r t VIABILITÀ' NEL MIRINO LVENEZIA O annunciano da lontano. E questo dev'essere un buon segno. Arriva alle 15,40, sullo scafo che sballotta un po', e anche i carabinieri di servizio si sporgono al portone per guardarlo meglio. E' un ministro, ma sembra un Presidente. Lui è seduto in fondo, cellulare all'orecchio. Completo grigio scuro, la mano destra fasciata e uno strano sorriso, come chi è abituato all'applauso. Ci son solo cronisti, un po' sbracati, nei rettangoli di luce tagliati dal portone e dalle vetrate. Niente applausi. Se ne va, dopo 5 ore, e la scena è uguale a quella di prima. Stesso scafo, stesso posto, ancora il cellulare. Antonio Di Pietro, ministro dei Lavori Pubblici, è venuto nella fossa dei leoni, e alla fine quando se ne va, gli altri ripetono le stesse cose, come fa Giancarlo Galan, presidente della Regione: «E' quello che sembra in televisione. Uno deciso, che segna la via da prendere e te la indica con le date, i paletti, tutto». Palazzo Balbi, Regione Veneto. E' venuto, per decidere di strade, bretelle, autostrade. Proprio qui, dove sono nati e cresciuti i grandi scandali sull'asse Bernini-De Michelis, o se preferite, sull'asse della Serenissima. Proprio qui, dove prosperava il grande sistema di pagamento dei partiti, il patto di spartizione fra dorotei e socialisti, sessanta a me e quaranta a te, per un finanziamento che non trascurava niente, neppure la pubblicità sui ticket dell'autostrada. Così può succedere che Roberto Buttura, all'ultima riunione, quella con i politici, prenda parola un po' timidamente: «Io sono il capogruppo dei socialisti, quindi spero che Di Pietro...» Un altro, da dietro: «... Non ti mandi l'avviso di garanzia». E Di Pietro: «Io ne ho avute nove di contestazioni». «E io nessuna», gli dice Buttura, e finisce lì. Può succedere, qui come altrove. Ma qui, la grande stagione è ormai passata, e sono spariti tutti, dalle autostrade ai posti di potere, alle poltrone delle casseforti, e tutti i vertici sono stati decapitati, tanto che il direttore della Serenissima oggi è un colonnello dei carabinieri arrivato da Torino, piglio militare, ordine e fedeltà. In fondo, è rimasto solo lui. Perché Antonio Di Pietro bene o male viene da quell'epoca, è come se avesse finito per incarnarla nella sua distrazione. Se qualcuno lo contesta, perché i parlamentari non sono stati invitati, lui prima spiega di aver fatto richiesta alla presidenza della Camera e del Senato affinché le commissioni Trasporti e Lavori Pubblici nominassero due deputati da inviare a Venezia, poi aggiunge: «E comunque possono pure venire, senza tante storie. Tanto i parlamentari hanno accesso dappertutto, anche nelle carceri...» Due secondi di gelo. Poi tutti a ridere. E' una battuta, ma l'ha detto Di Pietro, forse è per questo che gela. O forse è per questo che ridono tutti. E alla conferenza stampa, ci sono Claudio Burlando, ministro dei Trasporti, e Tiziano Treu, ministro del Lavoro, e poi tutti i cronisti che guardano alla porta, perché lui, Di Pietro, deve ancora entrare. Vorrebbero farlo parlare delle ultime polemiche romane, dei «diktat» di Rifondazione. E magari lui cose da dire ne ha, ma non ai giornalisti. Un cronista gli s'avvicina, con un lancio di agenzia in mano: «Signor ministro, Bertinotti la attacca». Gli porge l'Ansa. «Leggerò dopo», dice lui. La domanda gliela rifa un altro. E questa volta la risposta è più secca: «Di questo non parlo». Parla, invece, dei problemi della viabilità in Veneto. E' venuto qui per questo, no? E allora spiega che «il governo ha deciso di realizzare in forma autostradale il passante di Mestre e la Romea commerciale». Anche la Pedemontana, una strada nuova che collega le province di Vicenza e Treviso, sarà fatta in forma autostradale, ma solo dopo che sarà presentato un progetto. E Di Pietro alza la voce: «Perché qui se la sono presa tanto con Roma centrale, ma poi siamo venuti qui e non abbiamo visto neanche un progetto». Quando finisce la conferenza stampa, fa giusto un salto al buffet di due minuti per illudere i cronisti, poi via di corsa, per l'ultima riunione. «E' un uomo concreto», dicono gli industriali. I metodi? «Beh, un po' spicci». Ma va bene, va bene, dicono. Nessuno banfa. Solo Paolo Cacciari, fratello di Massimo, consigliere regionale di Rifondazione. Lui banfa, accusa, e se ne va: «Siamo in pieno regime craxiano. Viene qui un ministro e decide le infrastrutture in barba alle competenze di legge, il piano nazionale e regionale di trasporto. E per l'unica cosa che ci chiede l'Unione Europea, il raddoppio del traforo del Brennero, lui dice che non ci sono soldi». Anzi, dice così Di Pietro, muovendo le mani come fa lui con quel sorriso un po' così: «In cassa non ce n'è. Pacifico pacifico». Che poi Rifondazione s'arrabbi pure. Di questo non parla. «Quello che ho detto, è stato deciso all'unanimità. Smentitemi se non è vero. Hanno un po' bisticciato, ma poi hanno detto tutti di sì. Siete tutti testimoni». Così è l'uomo. Deciso, concreto. E' un ministro, ma sembra un Presidente. «Oh. Alche i giornalisti. Testimoni». 'Gnorsì. Pierangelo Sapegno

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