Abatantuono :Son qui per farvi ridere di Simonetta Robiony
Incontro con l'attore protagonista del «Barbiere di Rio» di Giovanni Veronesi Incontro con l'attore protagonista del «Barbiere di Rio» di Giovanni Veronesi Abatqntuono; Son qui per farvi ridere «Sana comicità» ROMA. Nuovo giro nuova corsa. Diego Abatantuono cambia pelle e ci riprova. Dopo aver lanciato la maschera farsesca del terrunciello mezzo meridionale e mezzo lombardo da «I fichissimi» a «Eccezzziunale... veramente», dopo esser diventato attore di «melancommedia» con Pupi Avati, Gabriele Salvatores, Luchetti, Mazzacurati, Pompucci, Abatantuono ricomincia da tre rilanciando la vecchia buona commedia all'italiana di una volta, quella dove si rideva dall'inizio alla fine, ma quando si usciva dal cinema non ci si vergognava d'aver riso. E ci riprova in coppia con Giovanni Veronesi, sceneggiatore-poeta, giovanotto poco propenso alla risata facile, stavolta in vena di divertire prima di tutto se stesso. Il titolo del film, attualmente all'opera perle strade di Roma, tra il Tevere e Campo de' Fiori, è «Il barbiere di Rio». IL barbiere di Rio», dunque: non si tratta di una citazione rossiniana bensì della vera storia del vero barbiere del vero Veronesi, un italiano di oggi, mollato dalla moglie senza una lira, che tenta di rifarsi una vita andandosene a Rio de Janeiro a trovare una sorella emigrata vent'anni prima. Nel cast, con Diego Abatantuono, protagonista e promotore dell'operazione «risata pulita», Margaret Mazzantini, Rocco Papaleo, Irene Grandi e la strepitosa, quanto ignota, mulatta che gli farà perdere la testa, Zuleika Dos Santos. Più alto, ma si può crescere ancora a quarantanni e passa?, più nero, sarà il sole del Brasile, più grosso, il suo piacere di mangiare è proverbiale, Diego Abatantuono si lancia in un lungo monologo in difesa della comicità che pare un pamphlet imparato a memoria. «La prima volta che Veronesi m'ha detto: "Di più", l'ho guardato come si guarda un pazzo. E ho fatto di più. Ho strabuzzato gli occhi, ho allargato il sorriso, ho allun- gato il collo. Eravamo in una discotecona di Rio e io dovevo mostrare il mio entusiasmo davanti a una bellissima carioca che m'invitava a ballare. Ma poi Veronesi ha detto: "Ancora di più", e io ho capito d'aver trovato il mio uomo. Lui al gioco del fare ridere ci stava. Potevo ricominciare a inventarmi le situazioni. Potevo lanciare una battuta che mi veniva in mente. Potevo tornare ad essere io, l'attore, il centro dell'opera. Potevo divertirmi lavorando che poi è quello che davvero mi sta a cuore. Finalmente. Dopo anni di registi che a ogni scena mi dicevano: "Di meno. Bene, bravo, bellissima, ci hai fatto ri¬ dere fino alle lacrime, ma adesso rifalla e fai di meno". Non volevo crederci. Forse anche in Italia è arrivato il momento di riproporre la commedia. Quella che faceva Gassman ne "Il gaucho" di Risi o Sordi in "Bello onesto emigrato Australia" di Zampa. Una sana commedia dove si trattano temi importanti come l'emigrazione, la povertà, l'arroganza, la stupidità umana ma lo si fa inanellando una risata dentro l'altra. Perché poi la vita è così. Se ti deve cadere un vaso in testa, quella mattina, mica lo sai prima? Quando esci di casa non hai la faccia triste che il giovane autore italiano di film firmati pre¬ tende che tu indossi. No. Hai la faccia allegra. Scherzi coi bambini, lanci battute al giornalaio. Poi arriva il vaso in testa e la tragedia suscita ilarità. Sono dieci anni che lo dico, ma nessuno ha voluto darmi retta. E allora è finita che il film comico, quello che fa sfracelli al botteghino a Natale, è stato lasciato in mano ai vari registi "vacanzieri", che fanno pellicole sceme e tirate via, ma che almeno, viva la faccia, fanno esplodere in boati la sala con le loro battute volgarotte. Gli altri, i registi più ambiziosi, è come si vergognassero di far ridere. Come se la risata fosse un difetto. Come se la critica li sbattesse poi in serie B. Come se, sui nostri vizi di italiani del Duemila, non fosse più possibile fare dell'ironia. Mi rendo conto che in Italia non c'è da stare allegri. Disoccupazione, crisi economica, tasse, intoppi burocratici, disgrazie. Appena parli con un italiano ti s'accappona la pelle. Il boom oggi non c'è più e non lo possiamo inventare. Ma possiamo andare all'estero, raccontarci altrove, fare un viaggio, fuggire. Sarà anche per questo che da "Mediterraneo" in poi giro i film altrove. E poi il mondo s'è ristretto. Quando andavo in vacanza a Vieste sul Gargano, il paese di mio padre, ci volevano due giorni. Si partiva con le bottiglie d'acqua, si programmavano le tappe, i bambini arrivavano molli di sudore, i vecchi commossi. Oggi come lo racconti al cinema un viaggio a Vieste? Ci fai al massimo un cortometraggio: cinque minuti ed è finito. Zac. Una risata senza storia. Una scenetta buona per la tv. Allora via, all'estero. All'estero ad inseguire l'arte di far ridere». Simonetta Robiony «Finalmente un regista che mi raccomanda di esagerare e di inventare» i i Nella foto grande Abatantuono è con Zuleika Dos Santos. Qui sopra Margaret Mazzantini
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