Al «circo» Calder

Ritorna il mago del movimento Parigi, grande mostra a 20 anni dalla morte Al «circo» Calder Ritorna il mago del movimento cronologica. Con due assi per dominante: il passaggio dal micro al macro e dalla relativa staticità al movimento complici strutture iperleggere che il minimo refolo può «animare». Alexander Calder detto Sandy abbandonò la Pennsylvania natale nel '26, men che trentenne. In testa, una sola passione: il circo. Dopo il Barnum in terra americana, con il Medrano e «Les Fratellini», Parigi gli offriva un'arte circense meno spettacolare ma suggestiva e maliziosa come i cabaret di Pi- galle. L'ing. Calder monterà presto il suo. Bronzetti, legno scolpito, figure caricaturali come Lo Negra, semi-classiche (Il Cavallo) o puri abbozzi. In fil di ferro, ma non solo: tappi di sughero, fettucce, tessuti vari. A vederli, come non restarne affascinati? Ma era ancora la fase «immobile». Calder mirava a ben altro. E lo confidò a Mondrian, nel '30, visitando con la sua stazza già leggendaria - un quintale, dopo la magrezza giovanile - il suo atelier. «Sui muri aveva piazzato rettangoli di cartone dai colori vividi. Gli dissi che poteva essere divertente farli oscillare. Mi rispose, serio e imperturbabile: "No, la mia pittura corre da sola"». Non rimaneva che indirizzare al proprio talento quella felice intuizione. Calder inizierà a costruire macchine sospese. Nella bibliografia, gli untitled si sprecano. Senza titolo: palle, coni, schegge di vetro più o meno geometriche per contrastare e alleggerire gli altri elementi di legno. Affidandosi profeticamente all'energia eolica, sfrutta la brezza - ancorché infinitesima quale forza motrice. E JeanPaul Sartre, in una celebre recensione, potrà scrivere che «Calder non suggerisce il movimento: lo capta. I suoi "mobili", che non sono viventi né meccanici appieno, che sconcertano a ogni istante pur tornando sempre alla loro posizione d'origine, ricordano le erbe acquatiche carezzate dalla corrente, i petali della sensitiva, le zampe della rana decerebrata». Ma da bravo ingegnere - e l'exposition ne testimonia - la tentazione meccanica era troppo forte per non soccombervi. Calder «aziona» quindi con motori veri e propri o, talora, manuali, le sue creature. Per esempio il complesso Ballerini e sfera. Sarà, tuttavia, un'infatuazione solo episodica. L'artista ne esce iniziando a «radicare», nella seconda metà degli Anni 30, lo slancio creativo. Nascono gli «immobili». Ovvero figurazioni più statiche e massicce, opache, capaci infine, anziché librarsi, di trasmettere una solidità pressoché tellurica. Ecco La. Balena II, Cactus provvisorio o - ma siamo già nel '59 - uno stupendo L'Alverniate. Non scordiamo, tuttavia, che la produzione «eterea», tenera e cangiante, si prolunga inesauribile per decenni, contro^ anto vibratile al gigantismo senile. Francesizzato ma irriducibilmente «made in Usa», il pendolare Calder troverà nella Touraine un idillico buen retiro per affrontare le moli che ormai popolano il suo universo. Tra i classici, ritroviamo il Formichiere Gigante. Per contenitori non gli basteranno spazi e giardini museali. Entra nell'arredamento urbano. Torino gli apre, nell'83, il parco di Italia '61. E la Défense - scenario ideale per dare corpo ai sogni - le sue prospettive architettoniche ultramoderne. Come totem su una futuribile Isola di Pasqua, Calder vi schiera la sua armée di volumi curvi. Ma chi ammira, in primis, le gigantografie, non potrà che uscire deluso dal Musée d'Art Moderne. Lo spazio tiranno impedisce loro una presenza davvero significativa. Meglio rassegnarsi, e inseguire attraverso le invenzioni di piccola e media taglia lo stregone Calder. Magia bianca, la sua. Anche quando dipinge o disegna (22 le opere extrascultoree in catalogo), ammicca col falso candore dei poeti ilari, vecchi bambini cui nulla - se non il greve mestiere di vivere - incute paura. Enrico Benedetto orre litinerario del fanciulleco ingegnere americano che apeva giocare con le forme e nfondere loro (come solo ai demiurghi è concesso) il movimento. La retrospettiva, nel ventennale della morte, verrà inauguata stamane e dovrebbe chiudersi - salvo proroghe - il 6 otobre. Se attraverso l'expo Baon il Beaubourg bazzica «l'orido che piace», il museo dell'avenue Wilson gli replica on una «levitas» giocosa. Malgrado la coda a freccia, il piede biforcuto e i non trascurabili attributi virili, persino Diavolo, un grande Satana metallico osso vivo, finisce per essere impatico chez Calder. Le due mostre - clou estivo parigino iescono a integrarsi nella loro diversità. Tragico-grottesca la prima, dalla sbarazzina «vis ludica» quella calderiana. L'itinerario prescelto è a base cronologica. Con due assi per dominante: il passaggio dal micro al macro e dalla relativa staticità al movimento complici strutture iperleggere che il minimo refolo può «animare». Alexander Calder detto Sandy abbandonò la Pennsylvania natale nel '26, men che trentenne. In testa, una sola passione: il circo. Dopo il Barnum in terra americana, con il Medrano e «Les Fratellini», Parigi gli offriva un'arte circense meno spettacolare ma suggestiva e maliziosa come i cabaret di Pi- fase «immobile». Calder mirava a ben altro. E lo confidò a Mondrian, nel '30, visitando con la sua stazza già leggendaria - un quintale, dopo la magrezza giovanile - il suo atelier. «Sui muri aveva piazzato rettangoli di cartone dai colori vividi. Gli dissi che poteva essere divertente farli oscillare. Mi rispose, serio e imperturbabile: "No, la mia pittura corre da sola"». Non rimaneva che indirizzare al proprio talento quella felice intuizione. Calder inizierà a costruire macchine sospese. Nella bibliografia, gli untitled si sprecano. Senza titolo: palle, coni, schegge di vetro più o meno geometriche per contrastare e alleggerire gli altri elementi di legno. Affidandosi profeticamente all'energia eolica, sfrutta la Una scultura di Calder a Spoleto, di fronte alla stazione; a sinistra, la moglie accanto a un'altra opera; accanto, l'artista americano. Il Museo d'Arte Moderna di Parigi gli dedica un'ampia retrospettiva fino al 6 ottobre Una scultura di Calder a Spoleto, di fronte alla stazione; a sinistra, la moglie accanto a un'altra opera; accanto, l'artista americano. Il Museo d'Arte Moderna di Parigi gli dedica un'ampia retrospettiva fino al 6 ottobre