Ore 13, signori si cambia tra ebbrezza e sgomento di Massimo Gramellini

Ore 13, sicjnori si conibiQ fra ebbrezza e sgomento Ore 13, sicjnori si conibiQ fra ebbrezza e sgomento VIAGGIO NEL SANTUARIO TELEVISIVO SROMA I cambia. «Signorina, può scendere a comprare Vita di Pasolini di Enzo Siciliano? Non lo trovo più». «Veramente, dottore, quel libro in ufficio io non l'ho visto mai». «Ma cosa dice? Me lo devono aver portato via stamattina e posso anche immaginare chi... Su, vada. E lo lasci sulla scrivania, mi raccomando: che si veda». La segretaria del potentino Rai, un dirigente di seconda fascia con ambizioni clamorose di ri-scatto, si accartoccia al telefono e informa la collega del piano inferiore: «Roba grossa. Mi sa che hanno fatto il presidente novo». «Cooosa?» «Sss, parla piano, che nun se deve sape» «E chi sarebbe?». «Boh. Uno che scrive. Un siciliano». Si cambia, davvero. «Pronto? Parla Mauro Miccio, consigliere uscente. Sì, sono nella mia stanza, finisco di riempire gli scatoloni. Certo, uno s'affeziona, specie se veniva qui dentro tutti i giorni, festivi compresi, non una volta ogni tanto come altri». Si cambia, anche se il presidente Beppe Morello ha sperato di restare fino all'ultimo momento, almeno come consigliere semplice d'amministrazione o garante, così non aveva neppure vuotato l'ufficio e adesso se ne sta chiuso lì dentro, deluso, senza parlare con nessuno. Si cambia e poco importa che a mezzogiorno l'Italia non lo sappia ancora: nei santuari di viale Mazzini e Saxa Rubra i cani da tartufo della nomenklatura hanno già fiutato i nuovi odori del potere e, con una prontezza di riflessi perfezionata dall'esercizio, impugnano le agendine telefoniche e lubrificano le lingue, pronti allo sparo. «Ciao, carissimo. Mi risulta che Ignazio La Russa conosce la Olivares. Come? L'ha solo vista una volta a teatro? Ma che cav...». E non c'è mai un amico abbastanza amico da dare garanzie Si cambia e con Siciliano presidente sarà un cattoli cone della Stet o della stes sa Rai, Alessandro Ovi o Franco Iseppi, ad aprire il frigorifero del direttore ge nerale nel quale don Raffaele Minicucci ha genero samente lasciato dieci bot tiglie del suo bianco preferito, un Greco di Tufo che il successore Aldo Materia astemio e pure ad interim, non ha avuto il tempo e l'ebbrezza di stappare. Si cambia e «non oseranno toccare Clemente Mi mun con gli ascolti che fa il Tiggi2!», bofonchia Silvio Berlusconi, pronto a invo care il fatturato quando gli conviene, ma Mimun e Piero Vigorelli (direttore della Testata giornalistica regionale) fanno colazione insie me senza illusioni e tutti direttori incoronati dal Po lo, compresi i sedici diri genti di prima fascia nomi nati da Letizia Moratti, si preparano all'unica forma di resistenza possibile: quella del portafoglio. Entro due settimane i nuovi padroni li inviteranno a pranzo nella saletta ovale di viale Mazzini «per conoscerci meglio», in realtà per chiedere dimissioni di cortesia che nessuno di loro sarà così ingenuo da dare, mettendo così a repentaglio una liquidazione in qualche caso miliardaria: i dirigenti Rai la chiamano con affetto «er liquidone». Si cambia e la delusione scontata degli sconfitti non è niente in confronto a quella dei vincitori mancati. Un tele-volto famoso, di sinistra e probabilmente già scaricato dall'imminente valzer delle direzioni, si maschera dietro l'anonimato per scaricare i nervi provatissimi: «Siamo all'omicidio della Rai, al cupio dissolvi, alla distruzione della memoria storica dell'azienda... Questi intellettuali degli Anni Sessanta non sanno neanche dov'è viale Mazzini. E' la terza volta, dico, la terza volta che ci mettono della gente che non sa un tubo di tv. Alla Rai comandano i burocrati invece degli uomini di prodotto. Alzeranno la qualità! Sì, con un programma in terza serata che non vede nessuno. La Rai ha due scopi: produrre e tenere unito il Paese. Qui invece non si fa che comprare all'estero e trastullarsi coi nomi dei consiglieri». Si cambia: all'una meno un quarto la notizia è ufficiale. Nelle redazioni Rai di Saxa Rubra parte il cronometro. Chi sarà il primo a congratularsi, lo sprinter della sviolinata, la Linguet ta di Stato? Giornalisti e impiegati si affollano davanti ai terminali per seguire la gara sulle agenzie. Passano appena sette minuti e va in fuga Sandro Curzi, uno specialista: «Finalmente!». Boato a Saxa Rubra. «Finalmente la politica ha saputo darci una giornata positiva!». Bravo, Sandrone: forse se l'era già addirittura scritto prima. Tocca al suo amico regista, il rifondarolo Citto Maselli: «Vedo una nuova luce nel futuro della Rai...». All'una e mezzo, con passo lento e sicuro, sale Nuccio Fava, il direttore del Tgl che sarà pure ad interim, ma è forse l'unico che resisterà alla purga delle prossime settimane: «Sono piacevolmente sorpreso...». Piacevolmente. E Gigi Locatelli, il pensionato che Silvio Berlusconi aveva mandato a conquistare la casamatta pidiessina di Raitre? Si felicita subito dopo pranzo, all'ora del caffè: «Nomi di spessore. Si passa alla fase del miglioramento qualitativo dei programmi». E a dirlo è uno di quelli che i programmi da migliorare li facevano. Gianni Riotta, Lucia Annunziata e Balassone si contendono la sua logora poltróna. Tocca a Gabriele La Porta, il leghista letterato di Raidue. Starà già sbaraccando dai muri l'opera omnia in francese di Saint-Exupéry e le video-interviste in lumbard al sindaco Marco Formentini? «Per fortuna vedo nell'elenco molti esponenti della cultura». In effetti lui non c'è. Si cambia: nei corridoi di viale Mazzini perfidi dirigenti antimorattiani fischiettano sulle note di Zazà «dove sta Sacca». Sta nella sua stanza, il potentissimo braccio destro di donna Letizia: «Amo la Rai e sono pronto a tutto. Anche a restare». Ripensa all'ufficio presidenziale, che la signora seppelliva in permanenza sotto grandi mazzi di fiori freschi. Chissà se a Siciliano piacciono i fiori. Massimo Gramellini A viale Mazzini i cani da tartufo hanno fiutato i nuovi odori del potere

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