Firenze la rivincita di Fra Bartolomeo di Marco Vallora

Genio pittore tra Savonarola, roghi e pennelli Genio pittore tra Savonarola, roghi e pennelli Firenze, la rivincita di Fra Bartolomeo •j] FIRENZE \\ O, non è valutato appieno, \m il frate-pittore di San Mar1 co, il valoroso Fra Bartoloi " 1 meo, che nemmeno a Vasari doveva stare troppo simpatico, se lo elogia con l'ambigua medaglia di artista «mansueto». «Rare volte fa la natura nascere un buon ingegno et uno artefice mansueto; che di quiete e di bontà che in qualche tempo non lo provegga». Pacioso, pressoché santo e segnato dalle stimmate delle prediche austere del Savonarola, al punto che «prese strettissima pratica con lui e dimorava quasi continuamente in convento»: così da voler gettare i pennelli alle ortiche e entrare neh'«ordine» dei Piagnoni, devoti a un programma tanto rigoroso che la pittura stessa era ritenuta invero un pericoloso inganno mondano. Sta in convento quando il predicatore viene arrestato, i monaci hanno deciso di resistere con le armi e anche lui si unisce, ma «di poco animo, anzi, troppo timido e vile» si rende conto che non potrà levare nemmeno un pennello sugli aggressori: fa voto «se campava da quella furia, di vestirsi subito l'abito di quella religione», divenire frate e non toccare più pittura. E così il già rinomato Baccio della Porta, trentenne che era stato a bottega di Cosimo Rosselli, assieme al luminoso Piero di Cosimo, si muta in un penitenziale Fra Bartolomeo del convento di San Marco (dove pure respira ancora l'ombra stupefatta degli ori di Beato Angelico, scomparso una trentina d'anni addietro) e partecipa lui stesso ai roghi di piazza Signoria, col suo Savonarola tutto tonante fuochi apocalittici, e sacrifica d'entusiasmo la sua feconda produzione di disegni e dipinti ai «bruciamenti delle vanità». Ahimè, così nulla conosciamo della sua produzione giovanile e ci volle come sempre il rabdomante Longhi a restituirgli quell'incantato tondo della Galleria Borghese, una tenera Adorazione del Bambino, che da Morelli a Berenson a Venturi tutte le aveva provate: d'essere un Sodoma, un Raffaello, un Piero di Cosimo, un Cesare da Sesto, un Verrocchio, un Lorenzo di Credi e, poco ci mancava, perfino Leonardo. Ma eccole tutte un po' raccolte, e impressionanti, le sue coordinate. Eppure, Fra Bartolomeo non è abbastanza considerato. Ha ragione l'ex ministro Antonio Paulucci che, benedicendo la coraggiosa multipla mostra dedicata al maestro fiorentino, scrive: «Diciamoci la verità: non era facile fare una mostra su Fra Bartolomeo [...] perché non ha la "visibilità", il glamour di altri protagonisti del Rinascimento», e cita per esempio la popolarità di Botticelli, Rosso Fiorentino, Pontormo, che pure esce da quell'ambito. Così, dopo una decina d'anni di restauri e studi, nella stessa sala di Palazzo Pitti, dove già fu la mostra forse più spettacolare di Andrea del Sarto (ma anche nello stesso convento di San Marco dove il Maestro convive con i sodali migliori, il Sogliani frescatore del Refettorio e Mariotto Albertinelli che con lui tenne «chompagnia», cioè una bottega atipica, che i proventi del Frate andavano al convento, e suor Plautilla Nelli, che dopo la morte di Bac¬ cio e il riordino testamentario di Lorenzo di Credi ebbe la ventura di possedere il ricchissimo corpus di disegni del Frate, oggi divisi tra gli Uffizi e Rotterdam), insomma nelle due sedi si snoda questa dolcissima mostra coordinata da Serena Padovani, che sarebbe auspicabile leggere attraverso i ricchissimi contributi del catalogo Marsilio. Una mostra che avvicina capolavori fiorentini a opere che vengono da Bruxelles, Louisville, Cambridge, che tenta di ricostruire il periodo giovanile, ma soprattutto di districare la personalità non poi così pallida di Albertinelli, che a un tratto si stufa e decide di farsi oste, ('dicendo che aveva preso un'arte la quale era senza muscoli, scorti, prospettive e che quella che aveva lasciata era contraria a questa, perché imitava la carne e il sangue, e questa faceva il sangue e la carne, e che quivi ognora si sentiva, avendo buon vino lodare ed a quella ogni giorno biasimare». Bartolomeo invece è maestro nel simulare carni e affetti, portando dentro la tradizione peruginesca, di cui s'intride, una dolcezza più intensa e macchinosa. E certo, dopo quello veneziano, il viaggio a Roma molto lo segna, con le suggestioni del muscolarismo di Michelangelo e le gentilezze delle architetture anatomiche di Raffaello, suo paradossale maestro e allievo, che sarà felice di ultimare una tavola lasciata interrotta dal Frate, «stordito» dalla «maniera moderna». Una dolcezza come staccata, ritagliata per una sublime decalcomania, «fumeggiante», per dirla col Baldinucci. E a vedere come s'incancrenisce questa vibratile lezione, basta passare al Palazzo Comunale di Pistoia, dov'è allestita la rassegna dei suoi epigoni e di Fra Paolino, che laccano le carnagioni divenute vuote armature, senza la pasta dell'interiorità. Marco Vallora A sinistra, un particolare della «Madonna con Bambino fra i santi» di Fra Bartolomeo A Palazzo Pitti e nel convento di San Marco i capolavori restaurati

Luoghi citati: Bruxelles, Cambridge, Firenze, Pistoia, Roma, Sesto