OSSERVATORIO di Aldo Rizzo
F F OSSERVATORI® =1 Check-up americano per lo zar malato L vicepresidente degli Stati Uniti, Al Gore, sarà a Mosca fra tre giorni, non tanto per le congratulazioni di rito (che Clinton ha già fatto telefonicamente all'eternamente redivivo Eltsin) quanto per una verifica, una prima verifica, delle prospettive che si aprono tra l'Occidente e la Russia che ha detto no al neocomunismo. Le attese dell'Occidente, ma anche i suoi problemi, in quell'asse cruciale, oggi e sempre, degli equilibri mondiali, che va dalla Casa Bianca al Cremlino. Le attese sono ovvie. Washington spera che ora riprenda con più decisione la marcia della Russia post-sovietica verso la normalità democratica (di cui le elezioni del 16 giugno e del 3 luglio hanno già segnato una tappa essenziale) e che riprenda anche, in forme irreversibili, la transizione verso l'economia di mercato. La proiezione di questa speranza sul piano internazionale è che Mosca sempre più collabori alla soluzione delle questioni della sicurezza, soprattutto ma non solo in Europa. Però le attese, le speranze, sono una cosa e la realtà, i problemi, sono un'altra. Un problema, per cominciare, è la forza personale di Eltsin: la sua salute, ovviamente, ma anche il prezzo politico che egli ha dovuto pagare per ottenere una vittoria che, ancora mesi fa, sembrava in grave pericolo. Dunque il caso Lebed (il generale dalle ombrose ambizioni, e chi gli sta dietro nel complesso militare-industriale); l'influenza di una coalizione nazionalista-comunista, concentrato delle più oscure tradizioni storiche, politiche e persino religiose della Russia profonda, che ha comunque ottenuto il 40 per cento dei voti, e alla quale Eltsin ha già dovuto fare qualche apertura. Passando da questo sfondo generale alle questioni specifiche, si tratta di sapere, o di cercare di capire, due o tre cose. Primo: se, dopo aver dispensato promesse elettorali a tutto campo, Eltsin, e la squadra che riuscirà a mettere insieme, potranno riprendere in mano i processi economici, conciliando per quel che è possibile i contraccolpi sociali della riconversione con la necessità assoluta che la riI conversione stessa continui. I Una transizione come quella russsioneperdfinalaiutili e gnel cSeester3 lugporrEltsicua) munropeguatalla clearè andevenuovme dtemire (Mcare1993dellaogniRusassuDovvlievodentsconbrunsperconcstemriforawilariscontco-estatnonil ceTdavdi srelacuorgliazionte?) del densimvigisuo da m russa merita ogni comprensione, ma non fino al punto di perdere di vista il traguardo finale, vanificando gli ingenti aiuti economici internazionali e gettando la stessa Russia nel caos. Secondo: il tipo di politica estera che la Russia del dopo3 luglio sarà in grado di proporre e di gestire. Che essa, da Eltsin a Lebed e alla (cospicua) minoranza nazionalcomunista, aspiri a un ruolo europeo e anche mondiale adeguato alle sue risorse di base e alla sua forza militare-nucleare, è fuori discussione ed è anche giusto. L'Occidente deve tenerne conto. Ma, di nuovo, non fino al punto, come dire, di autocensurarsi, su temi come il disarmo nucleare (Mosca deve ancora ratificare l'accordo Start-2 del 1993) o come l'allargamento della Nato (che deve includere ogni possibile garanzia alla Russia, ma non può subire un assurdo diritto di veto). Detto tutto questo, resta, è ovvio, l'enorme sospiro di sollievo che l'America e l'Occidente hanno tirato per la sconfitta dell'alleanza «rossobruna», e persino qualche speranza che il sistema russo, concentrando e poi anche stemperando forze similari, riformatrici o conservatrici, si awii verso una forma di bipolarismo democratico, in un contesto istituzionale e politico-economico non più contestato nelle grandi linee. Ma non è certo il caso di suonare il cessato allarme. Tra la salute di Eltsin (che davvero lo «zar bianco» tema di sottoporsi a un intervento, relativamente semplice, al cuore, per paura di non svegliarsi, secondo nefaste tradizioni sovietiche, a lui ben note?) e l'oggettiva complessità del quadro politico, all'Occidente non resta che un ennesimo esercizio di dialogo e di vigilanza insieme. Com'è nel suo ruolo, per ora vincente, da mezzo secolo. Aldo Rizzo
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