E la Beretta calibro 22 si trasformò in romanzo
E la Beretta calibro 22 si trasformò in romanzo E la Beretta calibro 22 si trasformò in romanzo ^lllllll I BESTSELLER SU UN INCUBO u FIRENZE N fascino forte e perverso. Ecco, i misfatti dell'uomo della Beretta calibro 22 hanno sempre esercitato questo fascino. E in molti hanno cercato di spiegarlo con articoli, con saggi eppoi con libri, perché a un certo punto soltanto con un libro sembrò possibile raccontare l'intera storia del «mostro di Firenze». Quando Mario Spezi, allora cronista giudiziario de «La Nazione» di Firenze, decise di raccontare quella che già era una delle più difficili indagini poliziesche e non soltanto nel nostro paese, era il 1983. Il maniaco aveva già teso cinque agguati, ucciso dieci persone e già aveva preso a far scempio delle ragazze. Chissà, forse era appagato. Spezi scrisse «Il mostro eh Firenze» e a lungo quel libro fu il «Bignami» per chi doveva orientarsi lungo le piste battute dagli inquirenti che cercavano l'assassino. E non erano strade diritte, naturalmente, ma tratturi tormentati che portavano l'indagine in direzioni diverse: una pista sarda seguita al principio sembrò essere molto prometten¬ te, tanto che si concretizzò con una condanna per omicidio. Per il primo omicidio, quello di Lastra a Signa, il 21 agosto 1968, vittime Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. La condanna, passata in giudicato, colpì Stefano Mele, che poi era il marito tradito della giovane. Ma forse la storia non cominciò con una banale storia di corna. Appariva così diversa, anni dopo, cosi ermetica, così gotica. Riccardo Catola, lui pure cronista de cLa Nazione», cercò di gettar luce sul mistero nel suo «Identikit di un mostro». Quando concluse il lavoro era la fine del 1985 e le vittime erano diventate sedici. Da allora, ufficialmente il «mostro» non ha più ammazzato. Ma il fascino della storia è aumentato. Perché, a un certo punto, l'inchiesta ha imboccato una pista precisa, quella che ha portato a Pietro Pacciani eppoi agli «amici di merende». Se sia quella giusta lo sapremo in futuro. Forse. Nell'attesa, altri lavori: quello di tale «Mister Kappa», intitolato «Il mostro di Firenze - La teoria finale», una teoria che nessuno raccolse. Poi un affascinante romanzo dell'avvocato Nino Filastò, «Incubo di signora», tradotto in francese e pubblicato da Gallimard. Il penalista si è poi lanciato in un lavoro più specifico e, dopo la sentenza di primo grado che volle il Pietro condannato all'ergastolo, pubblicò «Pacciani innocente». E su Pacciani colpevole aveva scritto Ruggero Perugini, allora capo della Sam, la squadra anti-mostro: il suo «Un uomo abbastanza normale» uscì durante il processo di primo grado, e lui aveva appena deposto. E della responsabilità del contadino di Mercatale si dice certo pure Giuseppe Alessandri ne «La leggenda del Vampa». Ma la vicenda ha coinvolto non soltanto gli «amici di merende». Gabriella Pasquali Cnrlizzi ha scritto ad Alberto Bevilacq\iu una «Lettera aperta», che ha posto in vendita a lire 18.500, Bevilacqua si è rivolto alla legge. Chissà quando arriverà il volume definitivo: anche il Pietro si è esibito stendendo memoriali di decina di pagine. E forse lui pure troverà un editore. Business is business, che diamine! [v. tess.j Già otto volumi sono stati dedicati a una delle indagini poliziesche più difficili dei Vampa. Due libri sul caso del «mostro di Firenze»
Luoghi citati: Bevilacqua, Firenze, Lastra A Signa
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