LE CRITICHE SBAGLIATE di Sergio Romano

Le nomine stavano LE CRITICHE SBAGLIATE loro». Temo che queste parole descrivano D'Alema e i tic mentali della sua famiglia politica piuttosto che la natura del «grande capitale». Non esiste e non è mai esistita - spiace ripeterlo per l'ennesima volta - una strategia politica della grande industria. Non esiste un capitalismo italiano capace di concepire un progetto unitario e di contrapporlo a quello delle forze politiche. Vi sono stati industriali crispini, giòlittiani, nazionalisti, fascisti, cattolici, progressisti, ma soprattutto "fiancheggiatori», quasi tutti pronti a saltare sul carro del vincitore per lavorare d'accordo con il potere. Una strategia del capitalismo in Italia non c'è mai stata. Il suo vizio storico, se mai, fu quello d'essere debole, diviso, rissoso e fondamentalmente opportunista. Persino il Mercato Comune, nel 1957, fu fatto contro la sua volontà. Oggi la situazione e cambiata. Oggi quasi tutti gli industriali italiani sanno che la loro sopravvivenza dipende dal mercato unico e dalla capacità dell'Italia di stare al passo con i maggiori Paesi europei. Pensare, in queste circostanze, che essi vogliano un governo debole mi sembra francamente assurdo. Lo stesso D'Alema, del resto, si contraddice più in là quando osserva che molti industriali vogliono una seria riforma istituzionale. E perché la vorrebbero se non per essere governati da un esecutivo efficiente e autorevole? La ragione delle sviste è probabilmente nelle difficoltà che D'Alema sta trovando sulla sua strada. Il leader del pds ha avuto in questi ultimi mesi alcune felici intuizioni. Ha capito che il Paese ha bisogno di un nuovo si- stema politico. Ha capito che l'alternanza richiede un forte partito socialdemocratico di cui il pds può diventare il nucleo centrale. Ha capito che l'Italia ha bisogno di stare in Europa e che il Paese, se perderemo l'appuntamento con l'Unione monetaria, rischia di spaccarsi in due. Queste intuizioni rendono D'Alema il più promettente leader politico italiano. Ma il segretario del pds non è padrone della propria strategia ed è generalmente mal servito dalle forze di cui lui, segretario del maggiore partito italiano, rappresenta la chiave di volta. Il governo è debole, contraddittorio, guidato da un uomo apparentemente energico, ma probabilmente incapace d'imporsi ai propri alleati. I popolari, rifondazione comunista e altri gruppi della maggioranza non vogliono le riforme costituzionali e sono decisi a mettergli i bastoni fra le ruote. La sinistra democristiana, la Chiesa e il Capo dello Stato non perdono occasione per ricordare a Prodi gli imperativi del solidarismo. I sindacati non intendo¬ no rinunciare al loro ruolo e rappresentano un ostacolo, forse il maggiore, sulla strada della modernizzazione del Paese. E' difficile riformare la Costituzione contro la volontà dei propri alleati. E' difficile portare l'Italia in Europa se i sindacati si preoccupano dei pensionati e dei loro soci più di quanto non pensino alle future scadenze del Paese. Se fosse contemporaneamente leader del partito di maggioranza e capo del governo, D'Alema potrebbe scavalcare gli alleati e i sindacati per dire con chiarezza al Paese che il futuro dell'Italia merita qualche sacrificio e che l'«Osservatore Romano» non è un quotidiano nazionale. Ma il sistema politico lo condanna ad avere la responsabilità della maggioranza senza poterne esercitare le prerogative. Che il leader del pds, in queste circostanze, sia preoccupato e irritato è perfettamente comprensibile. Che se la prenda con i giornali e il «grande capitale» anziché con i suoi compagni di viaggio, no. Sergio Romano

Persone citate: D'alema

Luoghi citati: Europa, Italia