PANE AL PANE di Lorenzo Mondo

F— PANEALPANE F— PANEALPANE Per una tangente da due milioni MMAZZARSI per .due milioni, per una tangente da due milioni? Sembra incredibile, ma è toccato a un ispettore dell'Usi che aveva preteso quella modica somma per chiudere gli occhi sulle irregolarità di una piccola azienda. Il ricattato ha sporto denuncia e il corruttore si è fatto beccare come un merlo, soldi in mano, dai poliziotti travestiti. Poi, giocando finalmente d'astuzia - ma contro se stesso -, mentre perquisivano la sua casa, è scattato verso il bagno, ha preso una delle quattro pistole che possedeva e si è sparato al petto. Si chiamava Roberto Rapone, e sulla sua tomba non c'è epigrafe alla maniera di Spoon River che possa spiegarci perché è morto. Dobbiamo provarci noi, con qualche disagio. Hanno detto: un altro suicida che si aggiunge ai cinque provocati dall'inchiesta Mani pulite. Ma, francamente, l'ispettore dell'Usi non appartiene alla famiglia di quelli che, da Raul Gardini in giù, si sono uccisi per fatti di corruzione. Erano imputati speciali, crema del management e della politica. Fatta salva per qualcuno la protesta di innocenza, c'erano motivazioni sufficienti per il loro gesto: un soprassalto estremo di «ubris» (l'orgoglio smisurato che prò* voca la collera degli dei) davanti alla fine dell'onnipotenza, l'amarezza per avere tradito o inquinato gli ideali politici della giovinezza, il tracollo di una carriera, lo sfiguramento di una forte immagine pubblica. Persone in ogni caso innalzate e travolte da un turbine di miliardi. Niente di tutto questo nella dolorosa storia del dottor Rapone. Ha il suo peso, è vero, la percezione e la stima che uno ha di sé, e allora le case di Formello, dove abitava a pochi chilometri Ja Roma, il modesto ufficio di pretura, potevano diventare il gran teatro del mondo. Così, ha preferito la morte a una pena che, dopo il patteggiamento giudiziario, avrebbe potuto risolversi in un trasloco e in una I sanzione disciplinare. La | sua colpa è di non avere letto i giornali, di non avere valutato a proprio beneficio l'allarme lanciato da Antonio Di Pietro. Che si è trovato tra i piedi come ministro vari funzionari che lui stesso, come magistrato, aveva perseguito e arrestato. Reintegrati in servizio, non soltanto quelli che sono in attesa di una sentenza definitiva, ma anche i rei confessi di avere venduto appalti e favori. E altri ministeri non ridono. Se è vero che alle Finanze, su 466 dipendenti che hanno avuto problemi con la legge, soltanto 11 sarebbero stati licenziati. Avrebbe anche giovato a Roberto Rapone sapere che, quasi in contemporanea con il suo arresto, nell'abitazione di un inquisito venivano scoperti, non due, ma cento milioni distribuiti tra le pagine dei suoi libri (sarebbe piccante conoscerne gli autori e i titoli). Ma forse avrebbe trovato in tutto questo un incentivo funesto. Forse è proprio l'inezia del suo caso, sentirsi trascurabile e non trascurata rotella di un colossale ingranaggio, esser marchiato dal piccolo vizio di chi non ha saputo praticare una piccola virtù, a far scattare l'idea del suicidio. Che debolezza, chiedere due milioni a chi doveva pagarne dieci allo Stato e che con poca spesa avrebbe potuto compiere, denunciandolo, un atto di onestà. Parliamo pure di vergogna, ma mettiamo nelle radici di questa vergogna la spregiudicatezza minata dall'ingenuità, il ribrezzo di un perbenista recidivo per l'abito stazzonato. Un perbenista che, secondo l'andazzo dei tempi, ha apprezzato più l'apparenza che l'essenza. Pietà alle sue ceneri, al suo gesto dettato da patetici malintesi. Lorenzo Mondo doj

Persone citate: Antonio Di Pietro, Fatta, Rapone, Raul Gardini, Roberto Rapone

Luoghi citati: Formello, Roma