E il «partito» si prende la rivincita di Filippo Ceccarelli

E il «parlilo» si prende la rivincita E il «parlilo» si prende la rivincita Dal Cavaliere a Dini e Miglio, la grande riscoperta RINASCITA DI UNA PAROLA CROMA IAO, cosa fai di bello?». «Faccio un partito. Un altro partito, o magari due: perché no?». «Buona idea. Io però mi rifondo il mio, di partito. E me lo radico perbenino sul territorio...». E pensare che un tempo, mica un secolo fa, sembrava abrogata addirittura la parola, «partito»; e chi avesse voluto fondare, o aderire, o anche solo nominare quella cosa lì doveva sbrigarsela con un'mterminabile filastrocca di movimenti, unioni, federazioni, aree, forum e poi cartelli, comitati, poh, liste, gruppi, rassemblements, e quindi ancora patti, alleanze e leghe di tutti i generi. Tutto, insomma, meno che partiti. Quel dannatissimo termine era significativamente precipitato nel gorgo dimenticatorio insieme al suo perfido composto «partitocrazia». Con tutta certezza, anzi, ce l'avevano spinto i «partitanti», come li aveva sprezzantemente battezzati il professor Miglio. Quindi il vittorioso Berlusconi, che con un colpo di vero genio s'era inven- tato «Forza Italia», aveva chiuso la botola. E ora? Ora, per farla breve, pure Miglio s'è fatto il suo partito. Si chiama partito federalista cisalpino, o qualcosa del genere. Allo stesso modo, se in questi giorni si chiede di Berlusconi, la risposta è che sta «rintanato a organizzare il partito». Per Forza Italia non è dunque più solo questione di club, coccarcune, promoters e cene ((all'americana». Lo statuto ancora non s'è visto - sembra sia ancora depositato presso un notaio - ma intanto la «par condicio» ha praticamente ucciso il potere della persuasione televisiva. E come dopo ogni sconfitta, si ritorna a parlare di strutture, interessi, finanziamenti, insediamenti, radicamenti e perfino di Zweckfahigkeil, o conformità alle scopo. Che però, hi tutta onestà, ancora sembra tutt'altro che chiaro, ncn nascendo di solito i partiti per uno scherzo della storia. Con qualche notevole anticipo, nove mesi, è stato finalmente convocato il congresso, detto «assise nazionale», con un numero spropositato di delegati (pare 3500). Ma la svolta organizzativista berlusconiana, oltre all'inesorabile tesseramento, o suppergiù, e alla conscguente nascita di correnti (è già pronto, dal nome vagamente sudamericano, il gruppo «Riforme e libertà»), ecco, questo sforzo di ancorare le masse berlusconiane a un modello un po' vecchio, un po' nuovo e comunque pensato a tavolmo già si tira appresso, nella pratica, qualcosa che non torna: dalla barocca pletoricità degli organi dirigenti alle dispute fra segreteria tecnica e politica; dal più pleonastico movimento giovanile al più vano collegio dei probiviri, senza dùnenticaro i revisori. Come tutto questo possa far nascere «un partito che funzioni anche senza il suo fondatore», secondo i desiderata del Cavaliere, resta al momento un mistero. Ma tant'è: dopotutto Forza Italia esiste; ha eletti un po' dappertutto;, e anche qualche reticolato sociale, come dimostra se non altro la curiosa storia di im club di Curtatone che aveva organizzato una grande cena a base di stracotto d'asino (fatto proparare, però, nelle cucine dell'ospedale Oglio Po di Casalmaggiore). Per molti altri «partiti» il modello organizzativo è quello, senza tempo e al Lùnite anche un po' truffaldino, detto «scrivania più telefono». Ma qui siamo in una logica, più che virtuale (va molto la schermata su Internet), surreale, o maniacale, comunque ai conlini della realtà. In casi del genere è probabile che dalla partitocrazia si sia passati, piuttosto, ad una ùinocua partitolatria. Nel frattempo, con la lista che portava il suo nome contornato dalle stelle europee, Dmi ha tentato la strada del partito «personale» (come gli ha subito rimproverato l'ambasciatore Berlinguer, capocespuglio del Mid) e al tempo stesso familiare. Ma non appena ha cercato di farsi aiutare da un tecnico, l'ex de Pino Pisicchio, che si definisce «esperto di diritto inter¬ no dei partiti», l'ibrido «Rinnovamento» è imploso. E oggi non sa tanto bene cosa deve fare. Né e probabile che lo sappia quando con i pattisti di Segni e i socialisti del Si aprirà l'inesorabile contenzioso sul finanziamento. Gli ex democristiani, invece, hanno almeno ima memoria del partito. Così, per non sbagliare, anche quest'anno i popolari offrono una bella festa dell'Amicizia, a Scandiano, paese di Prodi (e di Matteo Maria Boiardo). Mentre i ecd di Buttiglione, prossimi al congresso (chi fosse mteressato a «vivere con partecipazione diretta e in amicizia» all'evento può chiamare la sig.na Emma) producono addirittura un quotidiano, La Discussione, straordinaria testimonianza di underground politico, partitico e lessicale post-democristiano. Mentre per quello che riguarda i laici e più specificamente il pri, vale forse la pena di segnalare un qualche tratto auto-celebrativo, come dimostra la reclame di un videodocumentario di più di un'ora sulla storia dell'edera, «ag¬ giornato fino al Congresso - maiuscolo - di Roma del 1995, con il dibattito, le decisioni politiche che ne sono scaturite, e la conferma di La Malia alla segreteria». Un po' famelici, i verdi hanno definitivamente optato per il «partitino». Delle altre tradizioni partitiche, sono sopravvissute, ma davvero in parte, quella comunista, nel pds e più ancora in Rifondazione, e quella neofascista in an. La Lega coltiva senz'altro la retorica della militanza (gli «attacchini» bossiani, i deputati mandati dal Capo a fare i centralinisti), ma è soprattutto un partito ad altissima intensità simbolica e carismatica. Ritornati o meno, è probabile che i partiti, questi partiti, organizzino quella parte di società che ha più bisogno di protezione. Forse solo per questo, oggi, li si riesce a sopportare. Ma i poli, di certo, non hanno funzionato. E qualche altro sistema, prima o poi, verrà fuori. Filippo Ceccarelli A sinistra: Lamberto Dini Qui sopra: Gianfranco Miglio

Luoghi citati: Casalmaggiore, Curtatone, Roma, Scandiano