Il cuore rosso di «Casablanca» di Bruno Ventavoli

Curtiz, ritrovato film «bolscevico» Curtiz, ritrovato film «bolscevico» Il cuore rosso di «Casablanca» BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Un reduce dalla Siberia, lacero e trasfigurato in volto, s'arrampica su una roccia. Come se fosse Iwo Jima, mentre è solo uno scoglio della pianura danubiana. Sventola mio straccio rosso issato su un bastone. Inneggia alla rivoluzione comunista, trascinando con sé contadini e paesani. Abbraccia in mi delirio estatico la didascalia «Proletari del mondo unitevi». 11 breve filmato del 1919 si intitola Viene mio fratello ed è mi inno all'utopia bolscevica, accompagnato dalle didascalie altisonanti del poeta Antal Farkas. La regia è di Mihaly Kertesz. Che in capo a pochi aimi, emigrando in America, assumerà il nome di Michael Curtiz e passerà alla storia per aver diretto Casablanca. Il cortometraggio, ritrovato e restaurato, è stato presentato ieri alla XXV mostra internazionale del Cinema Libero di Bologna. Prima di entrare nel fumoso Rick's Bar, di catturare lo sguardo petroso e romantico di Bogart, Kertesz-Curtiz confezionò un curioso, inedito, omaggio alla causa bolscevica, che sbocciò nella fugace rivoluzione rossa del 1919. Entro pochi mesi la Repubblica dei consigli ungherese crollò e il suo ideatore Bela Kuhn fuggì pallido in Unione Sovietica. Kertesz, con altri cineasti e attori (tra cui Lugosi-Dracula), andò prima a Viemia e poi a Hollywood. Il soggiorno austriaco per il futuro Curtiz non fu inoperoso. Incontrò Sascha, campione di motociclismo, pilota d'aerei e di palloni frenati. Suo padre, nobile, era padrone di mezza Boemia; sua madre possedeva un'enorme manifattura americana di tabacchi. Orfano a soli 21 anni si trovò per le mani mi'immensa fortuna e investì tutto nel cinema, inventando un modo di produzione sontuoso, colossale, che nulla aveva da invidiare alle gigantesche operazioni di GriffiUi. Per il giovane produttore, Kertesz diresse, tra l'altro, Sodoma e Gomorra (anch'esso presentato a Bologna), mi visionario peplum che parte come mi melodramma da mia tragedia di Borsa, e si conclude bene con una fanciulla che ritrova l'amore e l'onestà. Tra i gioielli recuperati dalla Cineteca di Bologna e dal Nederlands Filmmuseum, anche una curiosità italiana. L'unico, abortito, tentativo di regia di Leo Longanesi. Il film viene iniziato a Roma nel luglio '43, prodotto da Romolo Marcellini per la Aci. Si ispira a un racconto di Longanesi, surreal-comico, con un pazzo anarchico fuggito da un manicomio che sostiene di aver piazzato una bomba nella cantina di un palazzo e sconquassa la vita di normali famiglie pronte a festeggiare il Natale; Gino Cervi, per esempio, scopre in una divertentissima scena la moglie a letto con l'amante. Alla sceneggiatura partecipano anche Flaiano e Steno, che si è fatto le ossa con le vignette del Marc'Aurelio e aiutando le regie di Mattoli. Per il debutto come regista Longanesi ha a disposizione un buon cast, Clara Calamai, Assia Noris, Umberto Melnati (le cui parti sono andate perdute). Ma le riprese vengono interrotte dall'8 settembre. Longanesi fugge al Sud, verso gli alleati. La celluloide, invece, verso il Nord della Repubblica Sociale. Il film viene ripreso in mano. Si intitolava in origine Dieci minuti di vita, viene ribattezzato nello speranzoso Vivere ancora. La nuova casa di produzione è la Norditalia, creata senza successo da mia famiglia di lanieri biellesi sedotti dal cinema. Le scene già girate a Roma sono in gran parte smarrite. Alla regia subentra Nino Giannini che ha fatto mi po' di tutto nel mondo del cinema. Nel suo curriculum c'è anche l'Invasore con Myriam di San Servolo (la sorella di Claretta Petacci) e lo jellato Si chiude all'alba la cui prima è annunciata al cinema Corso di Torino proprio per il 25 aprile '45. Il film di Longanesi viene raffazzonatamente ultimato negli studi Fert, con altri attori, altro direttore della fotografia. La fatica di Giannini viene terminata, esce all'inizio d'aprile a Torino e come molti film della Rsi scompare quasi nel nulla. Durava poco più di un'ora, ne sono stati salvati 33 minuti, recuperando rulli alla Cineteca di Roma e al Museo del cinema di Torino. Bruno Ventavoli