La Maturità dimentica il funambolo Bufalino; anoressia, fame di valori

La Maturità dimentica il funambolo Bufalino; anoressia, fame di valori LETTERE AL GIORNALE La Maturità dimentica il funambolo Bufalino; anoressia, fame di valori «Menzogne della notte» e i giovani riflettono Fatta giusta premessa che non sono un tecnico dei maneggi dei dicasteri ma, attenendosi alle dichiarazioni del ministro Berlinguer che attribuisce al suo predecessore Lombardi la scelta dei temi per la maturità, mi viene di supporre che i temi stessi fossero in cantiere già da tempo. Soltanto questa probabilità potrebbe in parte giustificare il silenzio, la sorta di indifferenza di costoro, di fronte agli eventi che scuotono il nostro panorama culturale, etico ed umano. La mia contestazione muove dalla scelta caduta sul passo sottoposto ai maturandi, tratto da Cesare Pavese, scrittore e poeta giustamente da non dimenticare nel panorama del dopoguerra italiano. Purtuttavia è stato davvero un atto di inciviltà, o perlomeno una mancanza di cultura evolutiva, in progress, non profittare dell'occasione importante degli esami per onorare la memoria di Gesualdo Bufalino, proprio di questi giorni mancatoci. Bufalino, appartato funambolo e giocoliere della parola che dedicò parte della sua vita anche all'insegnamento, nella sua lontana e muta Sicilia. «Che io mi sia tutto sognato? Che stia ancora sognando? Come se avessi nel pugno il cordone di un grande sipario di pezza, sento il cuore battermi in gola, gremirsi d'una furiosa, irragionevole felicità... 0 se nell'occulto d'un sovrumano alfabeto l'Omega di tenebre in cui precipito fosse l'Alfa d'una eterna luce?». (Da «Le menzogne della notte»). Con questo passo, i nostri ministri (ex et praesens) avrebbero regalato ai giovani la possibilità di riflettere su di un tema fondamentale di tutte le letterature, da quando l'uomo ha avuto mano per disegnare o scrivere: l'orfico conflitto tra vita e morte, con quel positivo messaggio finale di ri¬ viviscenza universale, argomenti così cari all'amico Bufalino che, sempre, seppe affrontarli con la dolce ironia della condanna del vivere. Valerio Peracchi Ventimiglia (Imperia) Amici degli animali raccogliete pane secco Vorrei proporre agli amici degli animali (o presunti tali) di creare un centro di raccolta del pane secco. Il centro di raccolta vorrebbe dire che io, i miei amici, i parenti e i conoscenti, anziché buttare via il pane secco nel cassonetto di città, lo porteremmo appunto al centro di raccolta dove l'addetto di turno potrebbe darlo al canile comunale (o privato), al pollivendolo, all'allevatore di maiali e perché no portarlo personalmenta in aperta compagna e lasciarlo in prossimità degli specchi d'acqua o dei laghi, dove di solito si radunano gli uccelli... Fatto questo, qualcuno ne trarrà senz'altro del beneficio gratuito. Meglio questo che il «delitto» di buttare il pane secco nella spazzatura. A tal proposito Dio ha detto: «Raccogliete gli avanzi perché non vadano perduti». Giacomo Giglio Castelvetrano (Tp) Una malattia mortale Un padre uccide una figlia. Poi, si uccide a sua volta. Una tragedia familiare densa di dolore, ma che forse, visto che al dolore il mondo si è assuefatto, sarebbe rimasta sepolta dalla banalità della cronaca se non fosse accaduto che lo stupore - questa volta - si è immediatamente insinuato tra le emozioni della gente. Quel padre ha ammazzato quella figlia perché da anni la ragazza non mangiava. Rifiutava il cibo. Era anoressica. «E' pazze- sco morire per una dieta», avranno detto in molti. Forse, la maggior parte. E ancora, c'è Lady Diana Spencer: lei si ingolfava con alimenti di ogni tipo, che subito dopo vomitava. Per colpa di Carlo, per colpa di Camilla. Per colpa della regina, probabilmente. Un gossip succulento da prima pagi¬ na. E nel sentire comune, aleggia un sentimento: «E' una malattia da ricchi. Diciamola francamente: potrà mai essere un dramma la ricerca ossessiva della linea perfetta?». Milioni di lettori e telespettatori, si trasformano in altrettanti specialisti, opinionisti, grilli parlanti e l'anoressia si trasforma in argomento di facile conversazione. Ma l'anoressia ha fame d'altro. Fame di qualcosa che questa società, lanciata a velocità libera sulla china di un solipsismo tecnologico e umano del genere appari-arraffa-usa e getta, non riesce più ad offrirle. Esiste la denutrizione per mancanza di cibo, e ne esiste un'altra per mancan¬ za di valori, di punti di riferimento, di motivazioni. Unite le due cose, si è di fronte a una malattia terribile, pericolosa per il suo portatore e deleteria per chi gli vive accanto: l'anoressia. Malattia che non può essere considerata solo come un problema medico, che porta con sé, come in un gioco di scatole cinesi, implicazioni socio-culturali, relazionali, etiche. Di anoressia, si muore. Solo nel 30% dei casi si riscontra - e con molta fortuna - qualche miglioramento. Su 100 ammalate, almeno 70, sempre ammesso che sopravvivranno, porteranno per tutta la vita il fardello del male. In breve: si cronicizzano. Ma non c'è l'antidoto, perché l'abbiamo detto - l'anoressia non si è ancora conquistata il rango di malattia. Non ci sono strutture e comunque, se ci si ammala in Sicilia, il posto più vicino dove ci si può curare è a Roma. L'assistenza, poi, è affidata quasi totalmente al volontariato dei buoni di cuore o dei tirocinanti. Lo stesso vale per la ricerca. La prevenzione non è nemmeno presa in considerazione. E' mutile e superficiale puntare l'indice solo su mode e modelle. O almeno, così la pensa un gruppo di donne che, per motivi biografici, professionali o emotivi, si è scontrata con il muro di sofferenza che questa «piaga», con il tempo, ha innalzato. Sollecitate dal professor Mario Mazzetti, che di questo problema ha fatto una delle più importanti ragioni della sua ricerca scientifica (e, aggiungiamo, umana), si sono riunite a Roma per costituire un Comitato in seno alla neonata Pradap (Associazione Promozione Ricerca e Assistenza Disturbi Aumentali Psicogeni) che tra l'altro organizzi manifestazioni artistiche, culturali e altre iniziative, per raccogliere fondi da destinare esclusivamente alla costituzione di borse di studio da assegnare a giovani studiosi dell'argomento e creare, presso le strutture ospedaliere pubbliche, centri specialistici, nonché al potenziamento quelle già esistenti di Annalisa Angelucci Scrittrice Seguono 9 firme Premio «povero» per gli eroi cechi Ho letto su La Stampa che i giocatori di calcio della Repubblica Ceca avevano avuto come premio per aver battuto l'Italia un giorno in più di riposo vacanza. Se un premio così «povero» fosse stato eventualmente proposto ai nostri eroi del pallone, pagati migliaia di milioni netti l'anno, avrebbe provocato sicuramente un ammutinamento ed un netto rifiuto a scendere in campo. Lo stesso allenatore della nostra nazionale, con il suo scandaloso appannaggio di 1800 milioni l'anno, si rifiuterebbe di mettere a disposizione il suo inimitabile ingegno di stratega del foot-ball. Angelo Ligato, Torino Venezia, un evasore che danneggia Baratomi Il procuratore Mary Cagle aveva garantito che Pietro Venezia, evasore fiscale che ha ucciso il funzionario del fisco americano che lo aveva scoperto, non sarebbe stato giustiziato se riconosciuto colpevole. Una buona parte dell'opinione pubblica italiana non solo si è schierata a favore dell'assurda sentenza della Consulta che dichiara giusto non concedere l'estradizione del presunto omicida negli Stati Uniti, ma ha esaltato il Venezia come vittima della giustizia americana. Con che faccia l'Italia in futuro potrà ancora insistere con gli americani per ottenere l'estradizione in Italia della Baraldini, presunta terrorista? Elvio Soleri Torino