Pacciani un'ombra dietro il tesoro di Vincenzo Tessandori

Firenze, c'è il sospetto che il contadino di Mercatale sia stato pagato Firenze, c'è il sospetto che il contadino di Mercatale sia stato pagato Pogrom, un'ombra dietro il tesoro Centocinquanta milioni avuti in sei anni FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO L'impressione è che ci si trovi alla vigilia di un fatto nuovo, nella storia infinita del «mostro di Firenze». Perché qualcosa di inedito gli investigatori sembrano averlo letto nelle carte e forse ascoltato dai testimoni, che si moltiplicano e si danno un tono convincente, forse per far dimenticare il silenzio di tanti anni. Chissà! Ora si scopre l'oro di Pacciani e subito se ne parla come se fosse quello del Terzo Reich, con cifre che oscillano ma in ogni modo scatenano sospetti e magari qualche ragionamento logico. Il TESORO. Sarebbero all'incirca 150 milioni, raggranellati dal Pietro in sei anni, in quelli che vanno dall'80 all'85, cruciali per l'attività macabra dell'uomo con la Beretta: in quei 2124 giorni, infatti, uccise sei volte. E il sospetto che nessuno confessa, ma parecchi azzardano, è che alle spalle della brigata di guardoni e forasiepi che faceva capo, si dice, proprio al Pietro, ci sia stato un mandante. Difficile accettare un'ipotesi del genere, e del resto il sostituto procuratore Paolo Canessa, che fu pm nel processo concluso con l'ergastolo per Pacciani, ieri si affannava a negare certe idee. Ma è un fatto che nei libretti intestati al «Vampa» e conservati da suor Elisabetta il denaro risulta versato in quell'arco di tempo. Singolare pure il fatto che i certificati di risparmio siano stati spai-si un po' dappertutto negli uf- fici postali di mezza provincia, ma lontano da Mercatale. Secondo gli inquirenti, suor Elisabetta è stata un fedele esecutore. Era il 1993 e il Pietro già si trovava dietro le sbarre accusato di essere il mostro: con una delega, la suora si presentò ai carabinieri di San Casciano per ritirare i soldi sequestrati in una perquisizione avvenuta in casa Pacciani. Anche di questo la monaca dovrà render conto. SUOR ELISABETTA. Ha fatto l'impossibile per aiutare il Pietro, ma soltanto perché lo ritiene innocente, ha dichiarato. Lei pure, ora, si sente una perseguitata dopo la perquisizione e la giornata passata in que- stura a seguire il verbale di sequestro e a rispondere alle domande di Giuttari. Non parla, ma le fa da portavoce l'avvocato Nino Marazzita, quello che ha difeso Pacciani in appello. E il legale ha riferito che la monaca ha esclamato: «Sono allibita. Finalmente ho avuto l'opportunità di toccare con mano l'incapacità totale degli investigatori a seguire un filo logico nelle loro domande». Poi il legale ha aggiunto, ironico: «Immagino che le 13 ore in questura fossero per intimorirla. Forse si aspettavano che, alla fine, crollasse e dicesse: "Il mostro di Firenze sono io"». Eh sì, sarebbe stato inte- ressante ascoltare questa dichiarazione in stile Re Sole in chiave criminale. Ma nessuno, fra gli inquirenti, ci contava. Ha aggiunto Marazzita: «Suor Elisabetta è avvilita, per quello che le è successo, ferita per la pubblicità data alla perquisizione fatta al centro di accoglienza Il Samaritano. L'ho consigliata di presentare una denuncia por violazione del segreto istnittorio». Poi, tanto per gettare un sasso nello stagno: «Giorni fa degli sconosciuti in auto l'hanno avvicinata e le hanno portato via la borsetta dentro la quale c'ora la sua agenda. Con questo, ovviamente, non voglio dire che esistano legami fra l'episodio e la perquisizione». PIETRO PACCIANI. Vive i suoi giorni peggiori, dopo quelli dell'attesa della sentenza della corte d'assise d'appello. «Ma come? Hanno frugato anche la monaca? Dio lo bruci all'inferno a chi ci vòle male». Del suo tesoro dice: «Soldi 'un ne ho, quelli erano i miei risparmi». Poi, a Radio Dimensione Suono, ha fatto una dichiarazione, come un capo di Stato: «Si continua a buttarmi addosso carognate di ogni tipo. Infamità, tragedie ne inventano di tutte, ora la lettera... Ma quale lettera? Sono infamità». La lettera è quella che avrebbe scritto a Vanni dal carcere, per ordinargli di ammazzare qualcuno con la Beretta, in modo che lui venisse scagionato. «Sì, io una lettera l'ho scritta a mia moglie, nell'87, quando feci tre o quattro anni di carcere per aver picchiato le mie figlie. Erano sette mesi che non ricevevo posta. Allora scrissi a questo mio amico, Mario Vanni, che faceva il postino. Gli dissi: "Quando passi a distribuire la posta formati a rasa mia e leggi a mia moglie questa mia lettera". E vi giuro che se questo non fosse vero che Dio mi bruci all'inferno». Ma che cosa c'era in quella lettera: «Angiolina, scrissi, è vero che non sai scrivere, però sono sette mesi che non ti sento. Perché non rispondi? Tutto qui. Ora vengono a cercare una lettera brutta scritta a Mario Vanni, lo dimostrino. Chi dice queste falsità sono soltanto diavoli». Vincenzo Tessandori Suor Elisabetta: mi hanno perseguitato come se io fossi il mostro delle coppiette L'ex imputato: non ho mai scrìtto quella lettera di minacce a Vanni A destra, Pietro Pacciani Qui accanto, il pm Paolo Canessa A sinistra, suor Elisabetta

Luoghi citati: Firenze, San Casciano