«Retata» del pool nel tribunale di Roma di Susanna Marzolla

Tangenti miliardarie per «aggiustare» una serie di processi contro il costruttore Armellini Tangenti miliardarie per «aggiustare» una serie di processi contro il costruttore Armellini «Retata» del pool nel tribunale di Roma In cella un giudice, un perito e 2 avvocati MILANO. Giovanni Acampora, avvocato romano, da oltre un mese nel carcere di Opera, aveva appena l'atto rientrare dalla Svizzera tredici miliardi per consegnarli (dopo aver pagato le relative tasse) alla procura di Milano. Sperava cosi di accelerare la sua scarcerazione: invece il gip Alessandro Rossato, su richiesta di quella stessa procura (i pm Davigo, Boccassini, Greco e Colombo), ha firmato contro di lui un nuovo ordine di custodia cautelare. E non è il solo. Ad Opera Acampora è stato infatti raggiunto da Antonio Pelaggi, magistrato romano (era presidente dell'ottava sezione penalo), da Antonio Staffa, docente alla Sapienza nonché noto e stimato perito del tribunale di Roma, e da Sergio Melpignano, avvocato commercialista. Contemporaneamente ha nuovamente varcato il portone del carcere militare eli Peschiera del Garda Carlo Capitanucci, ex ispettore del Secit di cui non si contano più i processi e i mandati di cattura. Le accuse sono collusione (reato militare) per Capitanucci; corruzione per lo stesso assieme a Melpignano; falsa perizia per Acampora e Staffa; corruzione in atti giudiziari per loro due e Pelaggi. La storia sembra il ricalco di quella Imi-Sir: le tangenti pagate dal petroliere Rovelli per vincere la causa e tornare in possesso di centinaia di miliardi. Anche qui c'è un imprenditore morto, il costruttore romano Renato Armellini; anche qui sono in gioco centinaia di miliardi; anche qui si sono ben oliate le rotelle di un ingranaggio che ha permesso allo stesso Armellini e alla sua famiglia di evitare grane giudiziarie e fiscali. A raccontare la vicenda è un membro della famiglia, Alessandro Mei, che di Armellini era genero (nell'88 ne sposò la figlia Angela) interrogato a partire dal 27 maggio scorso (nell'ordine di custodia non si precisa se fu una deposizione spontanea o se Mei è stato individuato dalle indagini, visto che gli vengono contestati anche alcuni appunti trovati nel suo studio). Spontaneo o no che sia il racconto di Mei è comunque det¬ tagliato e parte dal 1989 quando «il gruppo di mio suocero fu oggetto di una verifica fiscale che portò a evidenziare un'evasione di rilievo, circa 500 miliardi, con risvolti penali». Mei suggerisce allora di rivolgersi ad Acampora «che organizzò la difesa sia penale che amministrativa»; restando però nell'ombra: ufficialmente i difensori di Armellini erano Pettinari e Vilfredo Vitalone. Armellini, informato dell'indagine a suo carico «prima ancora che la notizia fosse ufficiale», realizza con Acampora «un accordo di risultato, nel senso che l'avvocato sarebbe stato pagato se si fossero ottenuti due risultati: evitare il rinvio a giudizio e ottenere la nomina a custode giudiziario di persona che stesse dalla nostra parte». Pagato quanto? «Mio suocero fissò una cifra intorno ai 5 o 6 miliardi che venne versata non completamente». Infatti, se custode fu nominata una delle figlie, Francesca Armellini, il costruttore finì lo stesso a giudizio «e ciò - racconta Mei - consenti a mio suocero di evitare il versamento di circa un paio di miliardi». Si «risparmia» da una parto ma si spende dall'altra: «Successivamente al rinvio a giudizio - prosegue il racconto qualcuno disse a mio suocero che era importante riuscire ad individuare una sezione adatta al tribunale di Roma, contattando il giudice Pelaggi». Così avviene e così cominciano le frequenti visite a casa del magistrato (che alla fine assolse Armellini): «Una volta io accompagnai mio suocero con una busta di plastica che conteneva 400 milioni». Arriva poi un'altra «complicazione»: il Secit aveva scoperto la retrodatazione di una fusione delle società di Armellini. Per evitare ciò il costruttore aveva addirittura fatto sottrarre (pagando «sicuramente miliardi») i documenti alla cancelleria e al ministero: ma il lavoro era stato fatto male, «erano state lasciate tracce grossolane, perché i bilanci erano stati microfilmati». Come evitare allora che la cosa emerga al processo? Con una perizia «addomesticata»; quesiti che non toccano gli argomenti «compromettenti» e risposte firmate da Staffa ma redatte, dice Mei, «da Acampora con la mia supervisione». Tutto questo ha ovviamente un costo: due miliardi. In quanto poi a Malpignani e Capitanucci l'ispettore del Secit informava - in cambio di lauti compensi, secondo l'accusa - Armellini sull'andamento dell'ispezione, e il commercialista era il tramite. Il racconto di Mei ha, per il gip, numerosi riscontri. Tali da convincerlo a emettere i mandati che consiglia di eseguire «con la più rigorosa riservatezza, a tutela principalmente delle stesse persone interessate al provvedimento». Susanna Marzolla Il pm llda Boccassini giunto ieri negli uffici giudiziari di Piazzale Clodio

Luoghi citati: Melpignano, Milano, Peschiera Del Garda, Roma, Svizzera