Tra Pontefici e potenti dc uno partita interminabile di Giovanni Leone
E Tra Pontefici e potenti de uno partita interminabile E seppure troppa acqua è passata sotto i ponti del Tevere da quando, ricevuti con i loro frac indossati a disagio, i potenti democristiani facevano pubblico atto di sottomissione; seppure quel tempo sembra inesorabilmente sfumato nell'Italia della secolarizzazione e dei post-comunisti al governo, ecco, l'udienza di Prodi è apparsa meno fredda e scontata del previsto. Nulla di paragonabile, certo, alla lunga stagione di cui l'ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Gian Franco Pompei, ha lasciato nel suo diario una straordinaria testimonianza. Sul povero Rumor, ad esempio, che smaniava per le onorificenze vaticane e in pratica fu, più che convinto, costretto a dimettersi nel 1969 per rallentare la legge sul divorzio. Sull'Andreotti che nel 1975 voleva a tutti costi far bella figura regalando qualche pezzo d'arte al Tesoro di San Pietro (gli fu consigliata, invece, una somma, «ma non inferiore al miliardo»). E ancora, sui nervosismi di Moro, altro povero cristiano, che dei suoi alti interlocutori curiali ha lasciato questo gelido commento: «Non so come possano, dicendo tante bugie, dire ogni giorno la Messa!». O Leone, che infreddolito nella Sala della Pietà, suscitò quasi scandalo per aver chiesto a sorpresa due caffè caldi; e fu criticatissimo per un'intervista concessa ad Oriana Fallaci. Erano anni in cui, per i potenti democristiani, il Papa era tutto, era un'occhiutissima autorità spirituale e temporale, era l'unico potere più forte del loro. Il tempo in cui, tra divorzio e revisione del Concordato, e pressioni, intromissioni, debolezze, intrighi, traffici (pure di quadri) bastava anche solo un enigmatico trafiletto sull'Osservatore romano, un porta-parola sbagliato, un malevolo motto cardinalizio, una diceria papalina per compromettere la carriera di chiunque. Ma intanto, a loro modo, cioè in quel loro raffinatissimo simulare e dissimulare, anche i de provavano a difendersi; e talvolta quasi facevano pesare certi giochi di sponda internazionale (soprattutto con gli americani); oppure, sempre con delicatezza, si limitavano a instillare il dubbio che i laicisti, chissà cosa avrebbero detto, o fatto. Una partita per certi versi superba. Andreotti, Fanfani, Moro, Colombo e Paolo VI, soprattutto, che li conosceva da ragazzi: meglio di come erano, nel frattempo, diventati. Anni lontani, certo, e non solo per Romano Prodi. Anche il Papa, d'altra parte, questo Papa, deve essersi ormai abituato a governanti perlopiù laici. Dal 1978 in poi, con le dovute eccezioni (Andreotti, Goria, De Mita, Cossiga, Scalfaro) si è visto arrivare sindaci di Roma comunisti e verdi, nonché presidenti socialisti (antichi come Pertini e moderni come Craxi), poi repubblicani, tecnici, professori, venditori, alcuni magari pure massoni, altri - anche qui se la cosa ha una qualche rilevanza - in condizioni coniugali non esattamente a posto. Con qualche ragionevole approssimazione, si può addirittura dire che il pontificato di Giovanni Paolo II, il Papa polacco, è iniziato, nel 1978, proprio quando la de, insieme con Moro, stava perdendo anche la sua anima. E mirabilmente è proseguito, senza troppe lacrime, fino alla scomparsa dello stesso partito cattolico,pardon «d'ispirazione cristiana». La differenza, come Prodi sa benissimo, è tutt'altro che trascurabile: risultato di un sordo, misteriosissimo e anche la¬ cerante contenzioso che vide contrapporsi, proprio il primo capo democristiano e la Santa Sede. Qualcosa che ha segnato fin dall'inizio questa storia di relazioni così intrecciate, vi- scerali, spirituali, di coscienza e di interessi. Una storia, appunto, così indimenticabile. Tormentati - a dir poco - furono infatti i rapporti umani tra Pio XII e De Gasperi, che da sempre pati la diffidenza e la sfiducia del Pontefice, le sue tentazioni larvatamente salazariane, quel suo preferirgli apertanìente i Comitati civici di Gedda, quella sua estrema imposizione che prese il nome di «operazione Sturzo» (una lista di destra contro il pericolo che le sinistre conquistassero il Campidoglio). Un dissidio doloroso che anche La Pira provò a sanare: «Santità, vedrà che il nemico non prevarrà, pregheremo tutti, ci impegneremo e Roma sarà conservata». «Lasci stare, professore - gli rispose Papa Pacelli voltando le spalle - certi rifiuti e certe ostinazioni non ci dovevano essere». Perché questo prima di tutto il Pontefice chiese a De Gasperi: obbedienza. E quello non gliela negò, ma che sofferenza. Ad un amico che gli parlò di intromissioni, il leader rispose: «Se mi verrà imposto, spezzerò la mia vita e la mia opera politica, ma non potrò non chinare il capo». Ma Pio XII non dimenticò quell'obbedienza così poco pronta, e cieca, e assoluta. Rifiutò quindi un'udienza richiestagli per il trentesimo anniversario di matrimonio. «Come cristiano accetto l'umiliazione - rispose allora De Gasperi - come presidente del Consiglio, la dignità e l'autorità che rappresento e della quale non mi posso spogliare, mi impongono di esprimere lo stupore per un rifiuto così eccezionale». In quella doppia veste, di cattolico e di italiano, c'erano in realtà tutti i problemi di un Paese già da allora piuttosto complicato. Filippo Ceccarelli SONO ANDATI DA WOJTYLA VISITE UFFICIALI 3/6/1985 Bettino Craxi 19/1/1988 Ciriaco De Mita 21/1/1993 Giuliano Amato 4/7/1995 Romano Prodi VISITE NON UFFICIALI 26/11/1979 Francesco Cossiga 13/8/1981 Giovanni Spadolini 1/12/1983 Bettino Craxi 14/1/1988 Giovanni Goria 23/6/1993 Carlo Azeglio Ciampi 21/5/1994 Silvio Berlusconi 30/3/1995 Lamberto Dini Dalle onorificenze di Rumor ai regali di Andreotti fino ai caffè di Leone Dall'alto: Prodi e il Papa; Paolo VI con Aldo Moro e con Giovanni Leone; Giovanni Paolo II con Giulio Andreotti
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