Dini resta solo, in disarmo il partito dei cento giorni

Dini resta solo, in disarmo il partito dei cento giorni Dini resta solo, in disarmo il partito dei cento giorni LA STORIA FINITA SROMA UL partito dei cento giorni è già scesa la notte, innovamento Italiano - con quella sigla RI che sembrava una targa si sdoppia, si dilata, si squaglia. I socialisti da una parte, gli ex democristiani dall'altra, ma tutti per ora sotto l'Ulivo, in questo gioco di matrioske bipolari cui si sta riducendo la politica italiana. Mettendo insieme tutte le dichiarazioni rilasciate ieri dai protagonisti della vicenda se ne deduce che Boselli lascia Dini perché vuole allearsi con Spini per fare una Cosa socialista che si alleerà con D'Alema per formare una Cosa un po' più grossa e un po' meno rossa che potrà allearsi con il Centro, dove nel frattempo Dini si sarà alleato con i popolari per formare una Balenottera bianca che alleandosi con Casini potrà dare vita a una Balena più grande, la quale a sua volta... Questa è la storia di un partito-lego, tanti pezzetti ad incastro che alla fine del gioco (le elezioni) tornano nella scatola, e il bambino che ha fatto e disfatto la costruzione ha tutta l'aria di essere D'Alema. Fu lui, quattro mesi fa, a battezzare come un padrino buono la nascita di RI, «il partner moderato che ci mancava»; sempre lui, due mesi dopo, a versare sangue pidiessino nelle urne un po' anemiche dell'alleato, ordinando alle sezioni della Quercia di spostare migliaia di voti sul partito dei cento giorni per fargli superare il quattro per cento, la soglia fatidica della sopravvivenza. Il che pun- tualmente avvenne, perché D'Alema - è noto - non ne sbaglia mai una, permettendo all'Ulivo di vincere le elezioni e al pds di rimetterci almeno un deputato sicuro in Umbria. Ma D'Alema si è già stufato: ha deciso di giocare un altro gioco. E anche se smentisce, probabilmente a ragione, di avere avuto una parte diretta nello sfaldamento del «partner che ci mancava», è stato proprio lui, con le sue serenate all'area socialista, a rimescolare daccapo le pedine. Questa è la sostanza, o almeno così la percepisce un Dini pragmatico e deluso, attento a distillare il suo veleno in fondo a frasi complesse ma puntute, da democristiano che sciacqua da sempre i suoi panni in Arno. Ha ancora la stessa faccia del giorno in cui aveva cominciato, quando entrò nel palazzo nobiliare affittato dall'amico Mario d'Urso come per un matrimonio, sottobraccio alla moglie Donatella e con il codazzo urlante dei fotografi, quello più discreto dei figli Cesare, Zingonia e Paola, e quello titubante-allegro dei parenti: Boselli, Del Turco, Sergio Berlinguer e il pattista Diego Masi in rappresentanza di Segni, il grande assente. «Comincia una bella avventura», disse il festeggiato. Era ancora presidente del Consiglio e aveva un'aria così felice che a tutti per un momento sembrò persino bello. Cento giorni dopo in una stanza di Montecitorio, il palazzo comunque conquistato, Dini è costretto a riconoscere che l'avventura è già finita. «Non possiamo rimanere indifferenti...», esordisce, e pare l'inizio del famoso proclama di Vittorio Emanuele II. Poi, però, invece del «grido del dolore», arriva il suo cantilenante ronzio: «Gli amici socialisti non possono rimanere indifferenti all'ipotesi di ricomposizione di una forza socialista. Ipotesi che io ritengo teorica...». E questa è la prima stilettata: agli «amici socialisti» e a D'Alema. «Così come non possono rimanere indifferenti neppure coloro», cioè lui, «che vedono la possibilità di costituire un grande centro». Non c'è nessuna riconoscenza per il donatore di sangue pidiessino. Semmai un malcelato fastidio per la sua intempestività. «Il dibattito sul quadro politico forse è stato aperto troppo presto. Era meglio che prima di pensare a scenari diversi venisse consolidata l'azione di governo. Non credo che D'Alema avesse l'intendimento di mettere in difficoltà Prodi, ma quando ci si mette in movimento...». L'aspetto più divertente e più italiano di questo matrimonio che all'Italia si rifaceva fin dal nome è che pur sciogliendosi rimane insieme come i separati in casa; pur dichiarandosi estinto continua a vivere come un'anima morta, per pure ragioni pratiche. Da soli, infatti, gli sposi non avrebbero i numeri per formare un gruppo parlamentare autonomo. Non c'è problema, basta un po' di fantasia. Dice Boselli: «Rinnovamento rimane, ma non è un partito né una federazione. E' un forum...». Sì, uno di quei convegni in posti bellissimi che durano un week-end. Massimo Gramellini Berlusconi ai suoi «Ma quale inciucio con D'Alema? Qui siamo tutti democristiani» gel centro delull'argomento erà presto la e» garantisce Bressa, stretore del capo idea è quella erazione, ma da Prodi, per ulla linea del del sinii non pmo in considerazione. Ma penso che potremo ragionarci su quando arriverà la Finanziaria». Dopo l'estate: è un chiaro avvertimento Lamberto Dini ministro degli Esteri e leader di Rinnovamento italiano

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