E la bottiglia si mise a parlare

Una storia del gusto attraverso la pubblicità Alla Versiliana gli storici manifesti della Martini & Rossi E la bottiglia si mise a parlare Dalle donne di Dudovich alle invenzioni di Testa le immagini di un mito che ingannò 007 PPIETRASANTA APA» Hemingway lo usava per profumare il bicchiere, poi lo gettava prima di me 1 scere il gin, per non perdere nulla della gradazione alcolica. James Bond, invece, contravvenendo alle regole, lo pretendeva agitato: «Please, shake it» diceva al barman, e quello versava: ghiaccio, gin, Martini bianco e via a scuotere, memi unite, gesto sapiente. E', curiosamente, anche a questi impieghi eterodossi, e a questi involontari testimonial, che il nome Martini deve la propria fama nel mondo, cocktail per antonomasia, e la consacrazione nell'immaginario letterario-cinematografico. Ma fin dagli inizi del secolo l'immagine dell'azienda torinese del vermouth era entrata nel repertorio iconico collettivo, vellicando le fantasie attraverso i cartelloni pubblicitari che decoravano le città. Segni, colori, idee grafiche: una galleria di manifesti che hanno segnato la storia del gusto è in mostra da domani alla Versiliana, nella ex Fabbrica dei Pinoli, con il titolo «Da Dudovich a Testa: l'illustrazione pubblicitaria della Martini & Rossi» (catalogo Titania, Lucca). Si tratta di un centinaio di pezzi, fra affiche e bozzetti, scovati con impegno e passione da Florisa Gatti e Elvio Soleri nei depositi aziendali, e amorevolmente restaurati. Dopo l'esposizione di Pietrasanta, che si chiuderà il 25 agosto, il materiale tornerà nella casa madre di Pessione, dove troverà posto accanto al museo dell'enologia, come primo nucleo di una rassegna storica aziendale. Il manifesto più famoso è quello realizzato nel 1918 dal triestino Marcello Dudovich, sommo fra i grafici pubblicitari italiani, allievo di Metlicovitz e di Hohenstein. Maestro di comunicazione immediata e dilettevole, e geniale antesignano, Dudovich si serviva spesso della figura femminile come richiamo. Certo, non era ancora la bionda top model che nello spot Martini di un anno fa si allontana ancheggiando, inseguita dalla cinepresa mentre un lembo del vestito rimasto impigliato comincia a sfilarsi e a risalire, risalire sempre più. La donna rappresentata da Dudovich è elegante e sottile, quasi aerea e immateriale nella sua mise bianca, con un calice di rosso miracolosamente in equilibrio sulla punta delle mani inguantate. Un'altra damma, abito lungo e cappello piumato, appoggiata a un tavolo col bicchiere in mano, fa sinuosa mostra di sé in un bozzetto del 1910, il pezzo più antico fra quelli recuperati. Lo stesso modello, aggiornato secondo i gusti e l'abbigliamento di dieci anni più tardi, verrà riproposto in un manifesto anonimo (ancora, probabil¬ mente, di Dudovich) molto noto perché riprodotto e offerto come gadget in una campagna promozionale degli Anni 70. L'affiche segue le tendenze artistiche, innova, anticipa, rielabora. Già vicini alla sensibilità futurista un «solare» Cappiello del 1920 e uno «spaziale» Muggiani del 1921. Tra pieno futurismo e post-futurismo le due enormi bottiglie datate 1930 del bulgaro-torinese Diulgheroff, e i due bozzetti anonimi del '33 con le audaci stilizzazioni di un cameriere in corsa e di un altro visto dal basso mentre versa il vermouth. Subito dopo la guerra, nel '46, è per lo spumante Martini una delle prime prove cartellonistiche del grande Armando Testa: una bottiglia «vestita» da serata di gala, con camicia da smoking e papillon. Quindi molti altri Testa, e molti Mario Rossi, che si rifa a scoperti modelli americani e a cavallo fra '51 e '52 si adopera nell'effimero tentativo di ribattezzare la China Martini. Sui mercati di lingua inglese China si pronuncia «Ciaina», come la Cina, così per non confondere le idee si prova a imporre un nuovo nome, Lixy. Fiasco totale, tanto che l'unica via d'uscita appare la resa alla forza suggestiva dei suoni, e nel '55, in un bozzetto di Pallavicini, fa la sua comparsa un bel mandarinone multicolore. Nel frattempo l'advertising, che ancora si chiamava reclame, si era internazionalizzato. Il futurista Atanasio Soldati aveva patriotticamante disegnato nel '50, per il pubblico italo-argentino, tre grandi bottiglie, una verde, una bianca e mia rossa (seco, bianco, dulce). E fin dagli Anni 30 ogni filiale estera aveva promosso le proprie campagne. Uno dei pezzi più curiosi è del '25, mi cartello da vetrina per il mercato anglosassone, in cui compare un uomo-sandwich (figura sconosciuta in Italia), con una strizzata d'occhio al compagno ideale dell'Italian Vermouth, il London Dry Gin. Concetto ribadito nel '48 da «Zero», alias Hans Schleger, che per la consorella inglese della Martini, sotto la scritta «with Gin this is IT», con il gbi è davvero lui, disegnò una bottiglia il cui contorno di luce, sullo sfondo blu notte, si prolunga in un accenno di bicchiere stilizzato. Dentro il bicchiere, una sottile bacchetta: a sottolineare il modo corretto di unire, mescolando, i due liquidi. E a bacchettare, a futura memoria, quello zotico di James Bond, che sarebbe venuto di lì a qualche anno. Maurizio Assalto | Una storia del gusto attraverso la pubblicità Il celebre manifesto realizzato nel 1918 da Marcello Dudovich Damine quasi immateriali, camerieri stilizzati | dai futuristi, il patriottismo di Atanasio Soldati A destra un bozzetto anonimo del 1933 in stile futurista A sinistra raffiche di «Zero» per l'Inghilterra (1948), in basso la bottiglia «vestita» di Armando Testa ('46)

Luoghi citati: Cina, Italia, Lucca, Pietrasanta