«Ma prima vengono i pentiti» di Giovanni Bianconi

«Ma prima vengono i pentiti» IL PROCURATORE DI PALERMO «Ma prima vengono i pentiti» Caselli: non bisogna bloccare il fenomeno LROMA UIGI Ciotti ci invita a riflettere sulle sue valutazioni, frutto di un'esperienza e di un impegno fuori dal comune. E' giusto farlo e aderire al suo invito: discutere, studiare e poi decidere. Due punti, in ogni caso, sono irrinunciabili: bisogna evitare di inceppare o rallentare il meccanismo delle collaborazioni; e di dissociazione si può parlare per livelli di militanza non certo di vertice. Dai capi della mafia, da chi ha in mano le leve della criminalità non solo militare, lo Stato deve avere collaborazioni utili a livello investigativo». Così parla Giancarlo Caselli, procuratore di Palermo e amico di lunga data di don Luigi Ciotti, sulla proposta del sacerdote di avviare un discorso di dissociazione dalla mafia. Proposta che ha già suscitato reazioni contrastanti. Pensa che quella indicata da don Ciotti sia una via praticabile? «Innanzitutto bisogna ricordare a noi stessi e ai pochi che non lo conoscono chi è Luigi Ciotti: un sacerdote e un operatore sociale con una grandissima sensibilità affinata da anni di lavoro sulla strada, capace di vedere e intuire anche laddove altri vedono o intuiscono ben poco. Lui, il suo giornale Narcomanie, l'associazione Libera, hanno acquisito meriti straordinari nel settore dell'antimafia. Non nel campo della repressione, che non è di un sacerdote, ma per il recupero della legalità e dei diritti dei cittadini nei territori occupati dalla mafia. Anche con iniziative molto concrete». Per esempio? «Per esempio la legge che consente di restituire alla società i beni sequestrati ai mafiosi. Un anno fa a Palermo, nel terzo anniversario della morte di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta, don Luigi consegnò in via D'Amelio centinaia di migliaia di firme raccolte da Libera per quella legge, che è stata approvata ad aprile, a Camere sciolte, quasi all'unanimità, anche grazie a don Luigi che bussò alle porte di ciascun capogruppo del Senato. Di tutto questo bisogna tenere conto quando si discute di un'iniziativa come la sua». Proviamo ad entrare nel merito, allora. Si può arrivare alla dissociazione per i mafiosi? «In questo momento è difficile dirlo. Bisogna discuterne sotto ogni aspetto, ed essere aperti a tutte le soluzioni. Fermi restando quei due punti che dicevo all'inizio». Vediamo il primo: c'è il rischio che la dissociazione possa frenare il pentitismo? «Se c'è, bisogna guardarsene bene. Le collaborazioni dall'interno delle organizzazioni mafiose sono tuttora uno strumento irrinunciabile per chi fa le indagini. Non solo per le notizie che ci arrivano, ma anche per la rottura della compattezza di strutture come Cosa Nostra. La dissociazione dev'essere quindi, semmai, uno strumento parallelo, e non alternativo al pentitismo». Ma la mafia, sostenete voi che ve ne occupate ogni giorno, è anche criminalità economica, finanziaria, condizionamento del potere politico. Come ci si può dissociare a quei livelli? «Certamente non sono questi i livelli ai quali si riferisce Ciotti; lui parla di militanza non di vortice. Per i capi delle organizzazioni, ed è l'altro punto irrinunciabile, ci vuole la collaborazione con la giustizia, perché Cosa Nostra è ancora molto forte, anche dal punto di vista del potere economico». La dissociazione può essere allora una strada per risolvere il problema dei figli e delle famiglie, sollevato dalla moglie di Totò Riina? «Di figli e famiglie si è già parlato fin troppo. E non vorrei parlarne ancora io, visto che il mio ufficio sta trattando questi aspetti a livello processuale». Lei si è occupato a lungo di terrorismo. E' possibile un paragone tra la dissociazione dalla lotta armata e quella dalla mafia? «Temo che un simile parallelismo possa causare qualche confusione. Col terrorismo si cominciò a parla¬ re di dissociazione quando ormai il fenomeno era quasi sconfitto. Oggi non si può parlare di mafia sconfitta, a cominciare da Cosa Nostra; al massimo c'ò una crisi del gruppo corleonese e della sua strategia terroristica. Ma la sua sconfitta è ancora lontana. Nello stesso tempo, però, ricordo che alla dissociazione dal terrorismo, all'inizio, molti magistrati fra cui il sottoscritto reagirono con diffidenza, proprio per il timore di indebolire il pentitismo. Cosa che invece non avvenne». C'è chi s'è detto contrario alla proposta di don Ciotti per rispetto alle vittime della mafia. Che cosa ne pensa? «Penso che questo problema non esiste. Il rispetto delle vittime è ben presente, e il primo a ricordarcelo in ogni occasione è proprio don Luigi Ciotti. Così come ci insegna, anche in questo caso, a discutere di un problema valutandone tutti i risvolti: è quello che dovremo fare». Giovanni Bianconi «La dissociazione è uno strumento parallelo ed è possibile solo per la base della mafia» «L'esperienza del terrorismo è diversa: allora era sconfitto, Cosa Nostra no» In alto, don Ciotti Accanto da sinistra, Giancarlo Caselli e Rita Borsellino

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