L'ex Br: uno strumento che fermò il terrorismo

L'ex Br: uno che fermò il L'ex Br: uno che fermò il strumento terrorismo PRO E CONTRO LA PROPOSTA AROMA LBERTO Franceschini, uno dei fondatori delle Br, fu tra i primi terroristi a prendere la strada della dissociazione. E sull'ipotesi di ripetere quell'esperienza anche con i mafiosi dice: «Dal punto vista giuridico lo spazio c'è, ma poi c'è l'aspetto sociale, che è tutto diverso. Noi, una volta abbandonata la scelta della violenza, dovevamo semplicemente rientrare nel mondo da cui venivamo. Per i mafiosi, invece, si tratta di abbandonare uno stile di vita, uno status quasi generazionale. E dunque il problema è molto più complesso». Come nacque il fenomeno della dissociazione fra i terroristi? «I primi a parlare di dissociazione, in verità, furono gli autonomi "7 aprile". Loro, accusati di terrorismo, si dissociavano dai terrorismo. Un paio di anni dopo, arrivammo noi, i dissociati del terrorismo. La prima azione pubblica lo sciopero della fame, mio e di altri quattro compagni, nel carcere di Nuoro». Qual era il punto centrale del vostro discorso? «Dichiarare sbagliata la scelta della lotta armata, della violenza. E infatti ricorremmo ad uno strumento di lotta tipicamente nonviolento». E le vostre rivendicazioni? «Non erano soltanto per noi, ma per tutti i detenuti. Chiedevamo un carcere più umano, perché noi stavamo ancora nei circuiti delle carceri speciali. Ci battemmo per migliorare la vita di tutti, ma nonostante questo, con quelli che ormai erano i nostri ex compagni, ci furono molti problemi. La nostra critica politica alla lotta annata dava fastidio e io, ad esempio, fui anche picchiato nel carcere di Palmi». Nonostante questo, però, il discorso della dissociazione andò avanti, e non si fermò più fino all'approvazione della legge. «Sì. Nel 1984, sempre a Nuoro, organizzam- ino un altro sciopero della fame che durò, come il primo, circa un mese. Ma stavolta l'iniziativa si diffuse anche nelle altre prigioni, e alla fine aderirono circa trecento detenuti in tutta Italia. A quel punto l'allora direttore degli istituti di pena, Nicolò Amato, ci propose il raggruppamento nelle "aree omogenee", sezioni di carceri dove raccogliere i detenuti che condividevano il discorso della dissociazione. La prima fu quella di Rebibbia, da dove uscirono molti documenti di critica al terrorismo». E come si arrivò alla legge? «Nelle aree omogenee organizzammo dibattili e visite di molti politici, che si resero conto dell'importanza del nostro messaggio. La legge andò avanti parallelamente alla Gozzini, e fu approvata subito dopo, nel 19B7. A parte le riduzioni di pena c'era la dichiarazione pubblica di dissociazione dalla lotta armata che si doveva fare singolarmente, e che alla fine sottoscrissero più di 20(10 persone. Fu uno degli strumenti più importanti per la fine del terrorismo». E i detenuti della criminalità organizzata come reagivano? «All'epoca io vedevo soprattutto i camorristi, perché di mafiosi in carcere ce n'erano pochi. E anche tra loro c'era chi, pur rifiutando la logica lacerante del pentitismo, era interessato a fare un disorso personale di abbandono, di rifiuto della violenza. Per questo penso che coi mafiosi la cosa si potrebbe riproporre. Molti di loro hanno capito che quello per cui vivono è una schifezza. Però...». Però? «Però c'è il problema del recupero sociale, che nel loro caso è molto più complesso. Noi, superato il problema politico, tornavamo ai nostri lavori, alle famiglie. Loro a che cosa possono tornare? Basta pensare al problema del denaro, che per noi non esisteva e per loro è fondamentale. Non e solo un problema giuridico, ma una sfida molto più alta, anche per lo Stato». [gio. bia.) Franceschini «Resta il problema del difficile reinserimento nella vita sociale» Teresa Principato «Offre una visione solo religiosa alla lotta a Cosa Nostra»

Persone citate: Franceschini, Gozzini, Nicolò Amato, Teresa Principato

Luoghi citati: Italia, Nuoro, Palmi