Toscani a Corleone caccia alla Piovra di Massimo Gramellini

I NUOVI COLORI DI OLIVIERO Toscani a Corleone, caccia alla Piovra «Farò cancellare il marchio più famoso nel mondo» 3 li ♦! • ' I NUOVI COLORI DI OLIVIERO CORLEONE DAL NOSTRO INVIATO United Colors of Corleon. Il giallo cupo dei campi, l'azzurro del cielo, il bianco scrostato di casa Riina e il rosso del pulmino di Oliviero Toscani, primo leader della sinistra a sbarcare finalmente da queste parti, in nome del progresso e dei maglioni. Dopo bosnie, razzismi e aidiesse, il fotografo delle budella lancia la sfida estrema: benettonizzare la Betlemme della mafia, con una campagna pubblicitaria che ne modifichi l'immagine internazionale, seriamente compromessa da padrini cinematografici e reali. «Finora la comunicazione è stata la rovina di questo paese. Coppola e Marion Brando vi hanno sfruttati!», si infiamma il liberador, un autentico retore aziendale: «Non sono qui per far vendere un prodotto, ma per non farne più comprare un altro: Cosa Nostra, il marchio italiano più conosciuto nel mondo». Un suo collaboratore francese con la faccia da Belmondo giovane, Brice Compagnon, ha setacciato i vicoli di Corleone alla ricerca di facce colorabili per il catalogo Benetton del 1997. Si è avvicinato a una ragazza bruna: «Permette una foto per il provino?». «Noo!». Solo dopo gli hanno spiegato che era Maria Concetta Riina, figlia di Totò. «La vorrei come testimonial con tutta la famiglia», annuncia Toscani, scendendo dal pulmino equipaggiato come un esploratore: occhiali viola, cinturone texano con mucche tatuate sopra, stivaletto in tinta, macchina fotografica a tracolla e accentino milanese da Italia-che-lavora: «Va' che bellezza quella chiesa!», si entusiasma indicando un rudere incassato fra due case abusive. «Certo, avrebbe bisogno di una sistematina». E' simpatico. Nessuno, a sinistra di Berlusconi, sorride bene come lui. A guance spiegate e in ogni circostanza: aggrappato a una croce, a un bimbo, al sindaco, a un frate, a un'albicocca: «Va' che bontà! Ro¬ ba biologica, eh?». Sarà anche un furbacchione, Toscani, uno che gira con un codazzo di fotografi che lo fotografano mentre lui finge di fotografare un francescano corleonese nato a Mantova, ma merita egualmente il tifo che accompagna le imprese impossibili. Si aggira per il paese guardato con diffidenza dagli anziani fuoritempo-massimo rintanati dentro i bar, che a Corleone non hanno tavolini all'aperto, solo anfratti scuri. I giovani, miss Riina a parte, accettano di offrire la faccia all'obiettivo. Sono i primi approcci: a settembre Toscani tornerà qui con magliette e pantaloni multicolor per scattare le foto del catalogo. I ragazzi hanno gli occhi orgogliosi di chi, sentendosi normale, non ne può più di passare per fenomeno da baraccone, di vedere Corleone ritratta in tv con immagini di coppole e muli, di rispondere anche ieri alle domande-tipo degli inviati stranieri: «Ma vi lasciano uscire la sera?». Rispondono sbandierando le loro origini e Toscani, uomo spiccio, li provoca: «Perché siete così fieri di essere corleonesi? Io non sono fiero di essere milanese. Dovete andar fieri solo di voi stessi, non di chi è venuto prima. Mi rendo conto che non è facile essere di Corleone. Non è come dire "sono di Venezia", anche se ci sono ladri anche lì. Sapeste quanti gondolieri rubano sul tassametro». Il clima è un po' surreale, quasi non lo fosse abbastanza il fatto che, prima e al posto dello Stato, a Corleone sia arrivato il creativo di un'azienda privata del mitico Nord-Est, e su invito di un sindaco trentaquattrenne e pidiessino, Pippo Cipriani, un timidone di ferro che sbatte le ginocchia quando parla ma non piega la schiena davanti a niente. «Scusate l'atmosfera latinoamericana», ridacchia Pippo in municipio, percuotendosi nevroticamente le gambe mentre nella sua stanza entrano senza bussare bambini, assessori, commessi, giornaliste francesi adoranti e pure un gatto omertoso che non miagola mai. «Va bene cosi. Una volta, l'unico che entrava qui dentro senza bussare era Ciancimino. Arrivando in ufficio, un sindaco democristiano se lo trovò seduto proprio su questa sedia, la faccia rivolta verso la parete: "Ti devi dimettere", mormorò la schiena di Ciancimino. "Non ci piaci più"». Il sindaco Pippo non lo sa, ma Toscani ha grandi progetti su di lui. Il mondo vive di simboli che spesso sopravvivono agli eventi che li hanno generati. Predappio, anche senza fascisti, resterà il paese di Mussolini finche non vi nascerà un divo della tv o almeno un centravanti del Cesena. Corleone è bella, povera e triste, per nulla diversa da tanti altri paesi dell'entroterra siciliano che la Cini o il New York Times non si sono mai sentiti in dovere di visitare. Paga il fatto di aver dato i natali a Liggio invece che a Sciascia, a Toto Riina invece che a Totò Schillaci. Per questo Toscani si è messo alla ricerca di una star locale da lanciare in positivo e l'unica che finora gli è venuta in mente è Pippo, il sindaco magrolino e sbatti-ginocchia: «Giovane, normale e di sinistra. E' lui l'immagine più forte del paese». Pippo, arrossendo, ricambia: «Ho chiamato Toscani perché solo la cultura della parola e dell'immagine può battere quella dell'omertà». «Quando mi hanno telefonato pensavo fosse uno scherzo. Chiedere aiuto per Corleone a uno che fa foto per una ditta di magliette. Poi ho capito che proprio questa era la rivoluzione». Il compagno Toscani si illumina. E si allarga: «Ci vuole una grande campagna sui quotidiani che Benetton non può pagarsi da solo. Le grandi aziende la smettano di rincoglionirci con immagini di consumo e mulini bianchi». E pensino anche loro un po' a Pippo, che diamine. Massimo Gramellini Con le sue fotografìe cambierà l'immagine del paese Ma la figlia di Riina rifiuta di posare davanti all'obiettivo A sinistra un'immagine di Toscani a Corleone. In basso una scena del film «Il Padrino»