«lo manager azzoppato»

I giudici indagano sulla fuga di notizie. Presto convocati anche Miccichè e Berlusconi «lo, manager azzoppato» Sono innocente, il carcere non mi fa paura» IL BRACCI® DESTRO DEL CAVALIERE ■J MILANO I NTORNO solo pioggia e trafm fico. Marcello Dell'Utri - fabbricatore di uomini e cose, principe degli imperi berlusconiani, braccio destro di Silvio, neodeputato di Forza Italia - arriva all'appuntamento con il solito passo lento, impermeabile sulle spalle, mano in tasca, lieve sorriso. «Eccomi qua, scusi per il ritardo». L'altro ieri era a Palermo e soprattutto dentro a tutti i tg, sul set del Tribunale più blindato d'Italia, allagato di sole, scorte armate e telecamere: 12 ore di interrogatori mercoledì 26 giugno, e poi altre 10, appena due giorni fa. Tutte passate dentro agli uffici della Procura, indagato per «concorso esterno in associazione mafiosa», cinque magistrati schierati a semicerchio con il procuratore aggiunto Guido Lo Forte («intelligentissimo, lucido, mi ha fatto un'ottima impressione») e i videoterminali che pulsano informazioni, domande, stralci di verbali di pentiti, mappe di date e fatti, elenchi di nomi. «Nomi, nomi, nomi... Conosce questo, conosce quello, ha mai incontrato, ha mai frequentato... Una città intera di nomi, un labirinto di specchi dove loro, i magistrati, si orientano con una velocità spettacolare che ti annichilisce, ti confonde e anche ti rassicura... Sa che impressione ho avuto? Che la mafia è davvero una pestilenza, che Palermo è una città infettata, che la Sicilia intera è vittima di un contagio capace di renderla invivibile...». Marcello Dell'Utri dice (adesso) di sentirsi bene, «a posto», «rilassato», anche «tranquillo». Dice: «Per quel che ne so, dovrei aver finito con i magistrati. Non so se mi richiameranno, ma come lei immagina non dipende da me...». Fino a ieri ha evitato i giornalisti concedendosi solo all'uscita del Tribunale. Adesso ha voglia di parlare. Sorride, si guarda intorno, fa: «Se le offro un caffè lei poi si imbarazza perché ho dichiarato che lo avrei bevuto anche con Vittorio Mangano?». Perciò caffè. E taccuino. Hanno scritto che quella sua frase poteva essere un messaggio per rassicurare Mangano, l'ex fattore di Arcore, detenuto alla Pianosa. «Lei pensa che i detenuti di quel carcere possano leggere i giornali? Io non credo. E poi rassicurarlo per cosa? Ho già detto che lo conoscevo...». Lo sa che è stato interrogato per sei ore? «L'ho letto, sì». Probabilmente sui vostri rapporti. «Ma ormai i miei rapporti con Mangano li conoscono a memoria. Comunque sa cosa le dico: spero che Mangano si penta e che finalmente sia creduto». Perché lei... » '<Perché io con la mafia non c'entro proprio niente, né come interno, né come esterno, né come contiguo, né come amico, né come amico di amici. C'era quella famosa telefonata del cavallo...». Lui le offriva l'acquisto di un cavallo che secondo gli inquirenti poteva essere una partita di eroina. «Quella. Ora io posso accettare tutto, ma essere sospettato di trafficare in droga è una cosa che mi offende, ho lavorato tutta la vita, ho creato aziende, ricchezze, manager, e se adesso vogliono accusarmi di essere un trafficante, be', mi diano pure l'ergastolo e finiamola qua». La spaventa l'idea del carcere? «Campanella ha passato 27 anni chiuso dentro a una segreta e ha scritto "La città del sole", un li- bro fatto di pura libertà. Nel mio piccolo ho passato 20 giorni nel carcere di Ivrea e non ho sofferto. Se sei a posto con la tua coscienza, puoi sopportare qualunque cosa. No, il carcere non mi spaventa». Quanti sono i pentiti che parlano di lei, due, tre, quattro? «Due! Ma no, sono tantissimi, non lo so più, i magistrati conti¬ nuavano a tirare fuori nomi...». Elei? «Cercavo di ricordare i nomi, le circostanze... Ma non è facile». Pentiti a parte mi diceva che è rimasto impressionato dalla quantità di nomi... «Vede, in 22 ore di interrogatori abbiamo parlato di moltissime cose e di moltissime persone». Anche di Forza italia? «Certo. Da quello che ho capito mezza mafia non si è occupata d'altro che di infiltrarsi in Forza Italia, giù in Sicilia, ma immagino che i magistrati abbiano altrettanti nomi di sospetti finiti dentro ad altri partiti...». Una specie di contagio universale. «E i magistrati mi hanno fatto l'impressione di essere dei medici in un lazzaretto». Il lazzaretto è Palermo? «Palermo sì. La malattia c'è, si vede. Attraversando la città trovi a ogni angolo soldati e poliziotti, ci sono questi convogli di auto blindate che passano a tutta velocità, poi entri in Procura e i magistrati ti chiedono se conosci persone proprio insospettabili, personaggi noti in città per essere persone rispettabilissime e la cosa ti lascia sgomento, perché se chiedono vuol dire che sospettano...». Lo dice con ironia? «Nessunissima ironia, mi creda. Penso che i magistrati stiano facendo un lavoro enorme di pulizia, il lavoro che i politici e la politica non sono riusciti o non hanno voluto fare». Perciò nessun complotto. «Mai parlato di complotti». Gianfranco Micicchè, che ò pure stato interrogato, non sarà più il coordinatore di Forza Italia in Sicilia? «Guardi che Micicchè è al vento come tutti in Sicilia, se è vero che la mafia ha impregnato uomini e cose...». E' vero che domenica scorsa era con Berlusconi in Sardegna? «Vero. Abbiamo guardato la finale degli Europei insieme». Verrà interrogato? «Berlusconi? Non credo. Al massimo...». Al massimo? «Potrebbero chiedergli notizie dei suoi rapporti con Mangano. Ma è proprio l'unica cosa che sfiori Silvio. Tutta questa vicenda riguarda la mia storia e solo la mia storia». Compreso Pino Mandatari, il commercialista di Riina? «Grazie a Dio ho una segretaria, la signora Lattuada, che annota puntigliosamente tutte le telefonate che ricevo. Probabilmente è vero che Mandalari mi ha telefonato in ufficio, ma io escludo di averlo mai richiamato. Non lo conosco proprio». E il boss Nino Calderone? «Ho già detto che quel pranzo con Mangano e Calderone ci fu, ma stiamo parlando di vent'anni fa... Mi è capitato in quegli anni di incontrare a pranzo Mangano e ogni tanto lui si portava dietro dei tipi piuttosto strani, magari quella fu una mia leggerezza...». E Gaetano Cina? «Che c'entra lui? E' incensurato, no?». Senta lei andrà sotto processo per Publitalia. Ora c'è l'inchiesta di Palermo. Pensa che... «Penso che professionalmente pago un prezzo altissimo. Sono azzoppato, anzi non posso proprio muovermi». Addio Mondadori. «Questo è sicuro, anche se Berlusconi mi ha detto, non ti preoccupare, io ti faccio lo stesso amministratore delegato...». Elei? «Non posso accettare, anche per un fatto estetico...». Quindi sarà Paolo Forlin a sostituire Tato? «Sì, sarà Forlin...». Che passa per essere un suo uomo. «Forlin è prima di tutto un ottimo manager». Con Franco Tato non vi siete proprio intesi. «Era lui stesso a dirlo: dentro la Fininvest sono un coqDO estraneo. Noi la buona volontà ce l'abbiamo messa, ma non ci siamo riusciti a amalgamarlo...». Motivo? «Gli mancava... Gli manca la fiducia negli uomini... E' un freddo e il freddo non attrae, respinge. Spero che all'Enel, occupandosi di energia, finisca per riscaldarsi». Mediaset è un'operazione ormai riuscita? «Abbiamo una domanda di azioni otto volte superiore all'offerta, lei che dice?». Merito di? «Prima di tutto di Berlusconi e di Fedele Confalonieri...». E poi? «Anche di Massimo D'Alema, gli va riconosciuto. Quando venne in Fininvest, lo scorso marzo, a dire che Mediaset era una risorsa per il Paese». Berlusconi ha detto: così come Mediaset ora cammina con le sue gambe, un giorno il partito potrà fare a meno di me. E' l'annuncio di un ritiro? «Berlusconi è fatto così. Quando le cose funzionano, lui smette di occuparsene. E' successo con l'edilizia, con la tv commerciale. Succederà anche con il partito». Per occuparsi di cosa? «Di solito lui sale un gradino in più». Sopra la politica cosa c'è? «In effetti la politica informa tutto di sé». Forse cerca la santità? «Magari si farà diacono». Le ha chiesto di diventare il coordinatore del partito? «C'è del vero, sì». Elei? «E' prematuro parlarne adesso». Cosa si aspetta dalla procura di Palermo? «Di aver passato gli esami». Pino Corrias «I magistrati sono come medici nel lazzaretto della Sicilia» Caselli, attualmente in viaggio in Inghilterra. Le convocazioni dei tre, tuttavia, sem¬ rallela - è stato ite reso pubblicdurante un incolisti. L'impressiche il magistracontatti con la sluto sottolinear«I magistrati sono comnel lazzaretto della Si«lo,Sono«FaiROMA. Il presidzioni a procedereha inviato al prelante, una letteprocedure da segfòniche che riguaha spiegato La Rvolta che trattiaun parlamentaredi un'altra persoAll'ordine del