la mafia calabrese perde il cervello

Reggio, era nascosto in una cassapanca. E' accusato di guidare i clan della 'ndrangheta Reggio, era nascosto in una cassapanca. E' accusato di guidare i clan della 'ndrangheta lu mafia calabrese perde il cervello Preso l'avvocato delle cosche, latitante da un anno REGGIO CALABRIA dal nostro corrispondente Per tutti è «l'avvocato» e non è certo un soprannome perché Giorgio De Stefano, 48 anni, avvocato lo è veramente, o forse è meglio dire lo era. Ma anche «consigliori» del clan di 'ndrangheta che era guidato dai cugini, tutti - ad eccezione del più giovane, Orazio - falciati dai colpi dei sicari delle cosche rivali. Giorgio De Stefano, dopo oltre un anno di latitanza, è stato arrestato dalla polizia alle 5,30 di ieri, nascosto in una cassapanca, seppellito da coperte che gli lasciavano appena un filo d'aria per respirare. Lo hanno preso a casa di uno zio acquisito, insospettabile dipendente delle Ferrovie, Giuseppe Roetto, finito in galera pure lui con l'accusa di favoreggiamento. Con la sua cattura il clan dei De Stefano, che ha dettato legge a Reggio Calabria ben oltre la metà degli Anni Ottanta, è di fatto decapitato. Anche se, dietro di lui, che figurava nell'elenco dei trenta più pericolosi latitanti del crimine italiano, altri «cavalli di razza» della feroce consorteria di mafia cercano di affermarsi. De Stefano è un personaggio anomalo nel panorama della 'ndrangheta: per primo ha rivestito il ruolo di «colletto bianco» della «famiglia», guidata con ferocia e determinazione dai tre cugini, Giorgio, Giovanni e Paolo, tutti assassinati in agguati che furono spettacolari per dimostrare agli altri la forza di chi li aveva commissionati. Giorgio, in particolare, era ritenuto vicinissimo a Paolo De Stefano che dei tre fratelli era quello che riusciva a «vedere» più lontano degli altri. Fu lui a capire che il vero business era quello della droga; a capire che la 'ndrangheta necessitava di un salto di qualità; a capire infine che la sua cosca doveva cercare referenti anche lontano da Reggio Calabria: a Palermo (con i corleonesi), a Catania (con Nitto Santapaola), a Roma (con la banda della Magliana) e dovunque trovasse chi potesse fornirgli droga in quantità tali da invadere il mercato, calabrese, ma soprattutto del Nord. Ma Giorgio De Stefano era «colletto bianco» anche perché, essendo pulito, poteva mostrarsi all'esterno. Quindi: lo studio a Roma, oltre che a Reggio Calabria; anche una carriera politica non molto lunga, ma determinante, in Consiglio comunale, eletto per la de. Ma non solo professione forense e politica. Anche contatti con il mondo sommerso del deviato, dalle logge massoniche irregolari (che a Reggio sono molte e potenti come conferma la Dia) a segmenti deviati dei servizi segreti. Sospetti, tutti questi, confermati dalle dichiarazioni di più pentiti di 'ndrangheta. Il momento in cui, stando agli investigatori, Giorgio De Stefano saltò definitivamente il guado fu quando, nel quartiere reggino di Archi, falciato insieme ad un suo guardaspalle, morì nell'ottobre del 1985 il cugino Paolo, dando il via ad un bagno di sangue che fece centinaia di morti tra Reggio ed i paesi dell'hinterland. Quando gli ammazzati furono troppi, De Stefano intervenne facendo capire agli altri che una guerra di sterminio avrebbe avuto certo un vincitore, ma che sarebbe rimasto troppo debole per poter affermare il suo dominio. E così fu la «pax» tra le cosche, una situazione di guerra non belligerata che dura ancora oggi, a dispetto delle forze centrifughe che pure si manifestano e che vorrebbero rigiocarsi la leadership mafiosa sulla punta dei kalashnikov. Diego Minuti Giorgio De Stefano, 48 anni, avvocato e boss della 'ndrangheta Michelangelo La Barbera nell'aula bunker