Anche il voto divide Mostar

LE SPINE DELLA PACE Le elezioni volute dall'Occidente ribadiscono il destino della città Anche il voto divide Mostar Metà suffragi ai musulmani, metà ai croati LE SPINE DELLA PACE MOSTAR DAL NOSTRO INVIATO Giovedì prossimo dalle due parti di Mostar partiranno in corteo gruppi di bambini travestiti da topi, con tanto di code in corda di cotone e lunghe orecchie di cartapesta grigia. Dovrebbero incontrarsi tra le macerie del centro per rappresentare all'aperto un «Pifferaio Magico» rivisitato da Arcangelo Menafra. Qui s'immagina che una città distrutta dai grandi venga ricostruita dalla buona volontà dei topolini, sennonché la polizia ha già fatto sapere ai topolini che non garantisce la sicurezza. Soprattutto oggi, quando dopo le prime, celebratissime elezioni nella Bosnia pacificata, i pifferai d'Occidente si scoprono più nudi del re di un'altra famosa fiaba. Milioni di dollari, migliaia di poliziotti, centinaia di telecamere, decine di ministri e plenipotenziari per approdare al più ovvio dei risultati: da oggi Mostar è divisa a metà anche in termini elettorali. Un equilibrio pressoché perfetto: 28 mila voti alla coalizione guidata dall'Sda, il partito di Izetbegovic, e 26 mila all'Hdz di Tudjman. Che risultato straordinario, i musulmani a votare per sé ed i cattolici pure. Quelli dell'Est, («mujaheddin», secondo gli avversari) si stringono intorno all'idea di una città riunificata ma nello stesso tempo guidata da un partito confessionale. Quelli dell'Ovest («ustascia» se non altro per reciprocità) approvano il progetto di una Mostar divisa nelle scuole, negli ospedali, nelle istituzioni e nella vita, autentica linea di frontiera fra civiltà contrapposte. Chissà se chi ha voluto a tutti i costi queste elezioni (cioè il resto del mondo) oggi può essere soddisfatto. Fiero del fatto che, con un poliziotto armato ogni setteotto elettori, non ci siano stati incidenti. Se però alla logica dei solchi etnico-religiosi mancava una conferma elettorale, questa è arrivata ieri. Adesso sappiamo che la cittàchiave di un Paese in teoria federato ha democraticamente respinto la logica pacificatoria di Dayton. Mostar, la cerniera di Bosnia-Erzegovina, manda a dire al resto del mondo: forse non ci spareremo più addosso, ma nessuno creda che si possa riprendere a lavorare insieme. Almeno per questo scorcio di secolo. C'era una persona, un movimento su cui l'Europa ed i suoi alti rappresentanti avevano puntato molto, qui. Si tratta del signor Jole Musa, quel pletorico uomo d'apparato che in quanto ex presidente della squadra di calcio (e laico come ogni uomo d'affari) avrebbe potuto rappresentare la novità, il cuscinetto. Ebbene, con la sua lista di «cittadini per Mostar» il grosso Jole dovrebbe aver raccolto più o meno 1520 voti. Quelli dei profughi serbi rientrati in bus, probabilmente, nonché di alcuni nostalgici ex funzionari di imprese statali. «Non vogliamo che l'idea jugoslava torni a farsi spazio», era stato il ritornello dell'Hdz e degli altri partiti croati di ultradestra. Adesso potrà anche accadere che nonostante la sconfitta Musa resti in corsa. Per questioni di bilanciamento etnico il sindaco della nuova Mostar - quella democraticamente divisa - dev'essere croato, e lui croato è senz'altro. Ma l'aspetto più inquietante della cosa, la conseguenza che si potrà valutare solo più avanti consiste nel fatto che il vecchio «metodo jugoslavo» ha ripreso comunque a farsi spazio. Attenzione, però: con fini rovesciati. Ci sono croati eletti nelle liste musulmane e musulmani proposti dall'Hdz, serbi sparsi nei due schieramenti: ciascun gruppo arruola infiltrati nella rigida lo- gica proporzionale. Questo criterio decretò la fine della Jugoslavia come mosaico di popoli, adesso agisce nel senso contrario: fa in modo cioè che il quadro delle etnìe resti fermo. Rigida- rnente, democraticamente immutabile. Chissà se la lungimiranza europea aveva previsto una sùnile variante. Non solo. La stessa Mostar che in questi giorni aveva fornito a noi, tetragoni coltivatori di speranza, così tanti spezzoni di vita vissuta oggi dimostra una cosa ancora. Dice che al rigido incrocio degli schieramenti d'ora in poi bisognerà aggiungere quello degli interessi consolidati. Due mondi contrapposti, due Mostar divise significano anche due ospedali, due uffici postali, due aziende elettriche, due organizzazioni comunali per acquedotti, gas e quant'altro. •Significano che il posto di dogana di Rodoc (a pochi chilometri da qui: un insulto al mondo) resterà in piedi in eterno. Esiste già una dogana a Metkovic, confine fra Croazia e Bosnia-Erzegovina. Ma al suo interno, la federazione ne ha inventata un'altra, del tutto illogica se non dal punto di vista del profitto. Si calcola che ogni giorno la banda di taglieggiatori in divisa di questo confine fantasma ricavi dal miliardo al miliardo e mezzo di lire (beninteso, in marchi, autentica valuta della federazione che non c'è). Si calcola che sulla divisione (e conseguenti aiuti internazionali) qui viva il dieci per cento della popolazione. Ecco perché giovedì prossimo «Il pifferaio magico» di Mostar non avrà nulla a che vedere con quello che ogni anno si rappresenta in Germania, ad Hamel, nella patria dei fratelli Grimm. Giuseppe Zaccaria La lista civica che avrebbe potuto far saltare la logica etnica è scomparsa La spartizione rende miliardi alle bande di taglieggiatori Sfo¬ Donne di Mostar vicino a un blindato francese che pattuglia la città. Le elezioni si sono svolte senza incidenti. Nella foto piccola il sindaco di Mostar Ovest Brajkovic

Persone citate: Arcangelo Menafra, Brajkovic, Giuseppe Zaccaria, Grimm, Hamel, Izetbegovic, Jole Musa, Tudjman

Luoghi citati: Bosnia-erzegovina, Croazia, Dayton, Europa, Germania, Jugoslavia