«Rai 5 nomi a prova di bomba»

Mancino e Violante «scelgano persone svincolate dai partiti». Polemica sulla rete federale Mancino e Violante «scelgano persone svincolate dai partiti». Polemica sulla rete federale «Rai, 5 nomi a prova di bomba» Veltroni: voglio un cda come Bankitalia ROMA. Cinque nomi a prova di bomba, sui quali nessuno, dentro e fuori l'Ulivo, possa avere niente da ridire. Cinque professionisti, manager, giuristi, competenti, esponenti di aree culturali diverse, ma non riferibili ai partiti o agli schieramenti. Sembrerebbe facile, per due presidenti delle Camere della stessa maggioranza, arrivare a sciogliere così il rebus della Rai. Invece oggi, a meno di improbabili colpi di scena, al Senato dovrebbe consumarsi il definitivo fallimento del tentativo delle forze contrapposte di accordarsi su una nuova legge di nomina del cda. Così Violante e Mancino avrebbero il via libera per procedere. E, in dirittura d'arrivo, le cose sembrano farsi più complicate. Al punto che dal cappello dei presidenti potrebbe alla fine uscire, invece dei cinque consiglieri, quello di un solo commissario. Sul metodo e sulla composizione del consiglio, infatti, l'accordo pare esserci. Fatte tutte le premesse, tre consiglieri farebbero riferimento all'Ulivo e due al Polo. Ma nel colloquio fra Mancino e Violante di ieri, i presidenti delle Camere, al momento di mettere nero su bianco i nomi, si sarebbero trovati in difficoltà. Tutto per aria, allora. Mentre il fantasma del commissario aleggia. In fondo, la proposta di legge del pds non prevedeva un amministratore unico? E c'è da considerare che la legge di riassetto della comunicazione a cui sta lavorando il ministro Maccanico potrebbe arrivare davvero entro sei mesi, sconvolgendo il paesaggio mediale e quello della Rai in particolare, con le ipotesi di holding e subholding illustrate proprio ieri da Maccanico. Che fanno paventare riduzioni del canone e alleggerimenti del servizio pubblico in una Rai semi-privatizzata. Uno scenario dove un commissario si muoverebbe assai più agevolmente. E ì nomi che al momento continuano a girare per il presidente, da Fabiano Fabiani a Lorenzo Necci in discesa - al consigliere Stet Alessandro Ovi e all'ex ministro della Pubblica Istruzione (nonché nipote di don Federico Lombardi, gesuita direttore dei programmi di Radio Vaticana) - entrambi amicissimi di Prodi, in salita - andrebbero bene anche per l'incarico di commissario. Nulla di ciò trapela durante il convegno iper-ulivista voluto dalla rivista Micromega per discutere di «Quale Rai nella stagione dell'Ulivo». Sorta di pendent, o di risposta veltroniana in chiave Rai all'iniziativa di D'Alema di andare a far visita a Mediaset poco prima delle elezioni. Ma anche, inevitabilmente, passerella di candidati a poltrone e poltroncine, di dirigenti Rai vecchi e nuovi, che dibattono del ruolo del servizio pubblico come vent'anni fa. Ci sono persino Ugo Zatterin, primo mezzobusto Rai della storia e Emilio Rossi, mitico direttore cattolico del primo Tgl, e il «professor» Rossini. «Ma la novità di oggi è l'aria più liberista», spiega Zavoli. Sul palco, nella sala verde dell'hotel Majestic, l'ex portavoce dell'Ulivo Roberto Morrione fa da moderatore. Alessandro Ovi parla degli scenari internazionali in cui andrà a collocarsi la Rai «che in quanto pubblico dovrà parlare comunque un linguaggio diverso». Stefano Balassone, oggi direttore dei programmi di Tmc, dalemiano e dato «in rientro» alla Rai, insiste sul fatto che il problema dell'antitrust non è più il numero delle reti. Furio Colombo racconta del ruolo insostituibile della tv pubblica americana, la piccolissima Pbs, miracolo di qualità e equilibrio. Ma le stelle della giornata sono Maccanico e soprattutto Veltroni. Peraltro in disaccordo, pare a tutti, sulla rete federale «macroregionale». Che Maccanico considera «un'occasione straordinaria, che piace a tutti». Mentre Veltroni paventa una ritorno alla vecchia rete 3 ante-Guglielmi «vero flagello di Dio» con i suoi programmi localistici ammazza spettatori. E, quanto al cda della Rai, il vicepremier dice: «Il governo non ha nulla da chiedere ai Presidenti delle Camere che, in caso di mancato raggiungimento di un accordo, dovranno nominare il cda. Il governo può solo auspicare che le nomine siano ispirate ai criteri usati in Banca d'Italia, cioè svincolate da ogni logica di appartenenza ad uno schieramento». Maccanico, intanto, propone scenari multimediali, operatori che possono fare sia telefonia che tv, privatizzazioni. Veltroni rassicura la Rai parlando di «leggerezza della legislazione», della politica che «deve fissare la missione» del servizio pubblico ma poi lasciare a cda e dirigenti il compito di realizzarlo. E difende Morrione, Veltroni, «altro che novello epurator, piuttosto epurato». Mentre Gad Lerner, più tardi, finisce per attaccarlo, sostenendo che «chi fa una scelta politica, poi non può tornare indietro tornando alla professione in Rai». (Al che Corrado Augias replicherà stizzito). Il cuore di tanta Rai batte per Veltroni. Eppure tanti dirigenti ex socialisti paiono dalemiani. «Si è parlato poco dell'amministatore unico, che era una grande idea» insiste per esempio Stefano Munafò. «Niente di strano, i veri avversari dei de in Rai sono stati i socialisti», scherza l'ex vicedirettore generale epurato dai morattiani, Gigi Mattucci. Maria Grazia B ruzzo ne A sinistra: il vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni Qui sopra dall'alto: Antonio Maccanico e Roberto Morrione

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