Dùrer l'esatto stregone

Al Petit Palais tutte le incisioni, 122 su legno e 102 su rame Al Petit Palais tutte le incisioni, 122 su legno e 102 su rame Dùrer, l'esatto stregone Reinventò Magi, Madonne, Passioni coda. DPARIGI I code inesauribili alle porte delle grandi mostre ne abbiamo viste ormai a I migliaia. Ma di code nella all'interno della mostra stessa, piccoli drappelli in fila, educati e compresi nell'attesa di affrontare la cordata orizzontale, lungo i diversi pannelli che scandiscono questo gradus ad Parnassum di un'esperienza incomparabile, no, non c'eran mai capitate. E così ci mettiamo anche noi, impazienti e nervosi, in riga, in attesa di delibare quella che è forse una delle rassegne più complete, in assoluto, di tutte le incisioni di Dùrer, sino al 21 luglio, al Petit Palais (che ha la fortuna, segreta, non soltanto di possedere tutto questo corpus miracolato, 122 incisioni su legno e 102 su rame, quasi l'integrità del Norimberghese, ma oltre 10.000 fogli originali, grazie alla dedizione di un direttore-collezionista come Eugène Dutuit che integrò la passione da mecenate di Lugt e del barone Edmond de Rotschild). E' terribile dover dipendere dal tempo capriccioso e imprevedibile e ad libitum di chi ti precede nella coda, magari anche dallo snobismo retro del ragazzo nordico che vuole schizzare la fidanzata mentre scopre la Melancolia, quasi fosse Ingres nel Grand Tour, e rallenta insopportabile il passo: ma alla fine la forza medusea della grandezza incomparabile di questo stregone dell'esattezza fantasiosa, la luce tenebrosa e sirenante che vien da quelle minime finestrelle miracolate, ti rapisce a tal punto che che spegni l'impazienza, e non c'è che quell'immenso microbo formicolante di dettagli e di nativa genialità (o genitalità?) delle forme: tutto nasce, pullula per la prima volta. Ti chiedono: «Allora, com'è la mostra di Diirer?». Ma che cosa si può dire: è come dare un giudizio sulla Bibbia o sintetizzare la Nona di Beethoven. Un mondo. E sarà una banalità, o un'eresia, osservarlo: ma quando stai a contatto per lunghi minuti con quelle microscopiche tavole delle meraviglie, con quei frammentini di carte popolate e sublimi (una di queste lillipuziane Crocifissioni stampata su oro, non più grande d'una minima ostia, stava contenuta nel pomo della spada di Massimiliano I) hai davvero l'impressione di veder sorgere tutta la storia dell'iconografia, come fosse la prima volta. Oggi è facile pensare ai Re Magi in quella disposizione, vedere la Madonna scalpellata in quella posa: quasi un riflesso pavloviano «sentire» la scena di Pilato o dell'Ecce Homo o di Cristoforo-traghettatore in quella determinata, ormai convenzionale foggia. Eppure ci sarà ben stato chi, per la prima volta, ha ragionato, progettato quella scena. Certo, è un'eresia, pensando a quanta pittura gotica italiana l'abbia preceduto, a quanto miniaturare fiammingo (e Dùrer giovane ha filtrato attraverso il suo maestro Wolgemut la lezione di Van Eyck e Van de Weyden, oltre che di Schongauer e di Mantegna): eppure, talvolta, scrutando questa foresta intricata di segni perfetti, hai come la sensazione che sia lui il grande sistematore, il sommo retore della dispositio iconografi- ca. Il legislatore. E mediatore, tra l'altro, fra la scena gremita e vissuta di tradizione nordica e lo spazio astratto, lirico della partitura rinascimentale italiana, filtrata anche attraverso il chiaroscuro veneziano (che Dùrer apprende nel suo primo viaggio in Italia, stretto fra Jacopo de' Barbari e Giovanni Bellini: e non si limiterà al solo bulino, sperimentando anche la punta secca e l'acquaforte). A parlare di «foresta» di se- gni, in senso simbolico, già quasi baudeleriano, è stato Hugo, grande estimatore dell'«Oh, mio maestro Dùrer, vecchio pittore pensieroso». «Nelle vecchie foreste in cui la linfa scorre a gran flutti/ e corre dal fusto nero dell'ontano al bianco tronco delle betulle / tu ti sei affrettato, tremante, con passo convulso». «Orrendo è per te il mondo del bosco / il sogno e il reale vi si mescolano entrambi». Là dove «pendono da ogni ramo pensieri confusi». «Quelle tre¬ manti inagrezze, che provengono da un allucinato Medio Evo» come suggerì un altro poeta stralunato, il Laforgue. Eppure noi oggi sappiamo avvertire anche una pace sorda, angosciata, distillata. Ascoltare davvero la musica silenziosa, quasi le sfere iperuranie di Aristotele, del genius che sta versando la sua bollente immaginazione nella scatola esatta, millimetrica delle ferite, faticosamente inferte dal bulino. Ogni dettaglio si trasforma in un pun- ctum dolente, che si scuote e ci avvince: il martire nudo che si aggira come una fiera ridicola sullo sfondo, l'esubero di panneggi ghiacciati d'un baldacchino coi suoi pesi, la manica vuota e surreale che abbraccia una colonna nella Pi'esentazione al Tempio, i mostri popputi che fuoriescono come a scatto dal Limbo sventrato e le streghe che certo suggestioneranno Goya. La Nemesis che avanzando sul suo globo scuoia la pelle del paesaggio come se fosse una tavola anatomica di Vesalio, la dolcissima durezza di tante Madonne-pastora, cesellate come nel metallo della sollecitudine materna, mentre autoritario il guanciuto fanciullino fruga il seno a balconcino, alla ricerca del latte, com'è nella tradizione senese del Maestro del Bambino Vispo. Ed e meraviglioso vedere a confi'onto, come la fantasia germinale di Dùrer, a distanza di pochi anni, ripensi integralmente la «regia» delle sue Passioni a seconda che usi la tecnica inesorabile e d'acciaio del bulino, o quella più sommaria e ariosa della xilografia. Anche senza addentrarsi tra le perigliose ipotesi iconologiche di Woelflin o Panovsky (le sue connessioni col neoplatonismo fiorentino, la sua dedizione a Lutero, «che mi liberò dalle grandi angosce») è difficile non rimanere catturati entro le roti invischianti di questo lento poema del nitore visionario, di un grande veggente melanconico, afflitto da una moglie scontrosa, terrorizzata di perdere le proprie facoltà le racconta il suo dramma quando deve cedere ad un paio d'occhiali, nel suo viaggio ai Paesi Bassi), cosi taccagno - ricorda Goethe - e terrorizzato d'impoverirsi, da regalare capolavori di disegni ai suoi tavernieri, pur di risparmiare qualche ir ...icia. E preoccupato di perdere il sole della propria creatività. «Oh, quanto freddo avrò, dopo questo sole» scrive rientrando da Venezia a Norimberga. «Qui sono un signore, nel mio paese, un parassita». Marco Vailora Mediò fra la scena gremita e vissuta di tradizione nordica e lo spazio astratto della partitura rinascimentale italiana, filtrata anche dal chiaroscuro veneziano Omaggio al veggente della malinconia Due incisioni di Diirer esposte al Petit Palais: «Les quatre femmes nues» e, a sinistra, «Le Bain des hommes»

Luoghi citati: Italia, Norimberga, Paesi Bassi, Venezia