La critica di Monti fa sperare la destra di Alfredo Recanatesi
La critica di Monti fa sperare la destra La critica di Monti fa sperare la destra A vastità e l'intensità delle polemiche che continuano a svilupparsi attorno alle critiche che Monti ha rivolto al documento di programmazione finanziaria del governo sono inconsuete. Esprimono e coinvolgono qualcosa di più dei temi che direttamente vi emergono e che, per altro, non sembrano presentare particolari doti di originalità e di spessore. Ciò induce a ritenere che, a differenza delle tante passate, questa polemica, pur dietro la sua forma tecnica fatta di numeri, di differenziali e di percentuali, ha una sostanza politica: politica nel senso più pieno del termine. Di più: questa polemica segna il ritorno della politica nel dibattito e nelle azioni di politica economica. Negli ultimi anni, nel bene e nel male, il governo dell'economia e della finanza è stato affrontato con un approccio tecnocratico: nel bene, perché ha assicurato la governabilità in una fase di passaggio nella quale le istituzioni politiche erano impegnate in una profonda trasformazione; nel male perché, di necessità, si è limitato ad azioni imposte dall'emergenza o, comunque, richieste dall'ordinaria amministrazione, non avendo né titolo, né legittimazione a formulare strategie di più lungo periodo. Con questo non intendiamo minimamente ridurre la portata dei grandi risultati che in questi anni sono stati conseguiti quali l'accordo sul costo del lavoro, il sensibile aggiustamento dei conti, la stessa riforma previdenziale, pur da tanti tanto vituperata. Intendiamo dire che il Paese ha vis1suto come in una gestione commissariale che, per sua natura, si era posta l'obiettivo della massima possibile neutralità politica delle sue azioni e che non poteva offrirsi come interlocutrice degli interessi costituiti se non in un'ottica contingente. Ora tutto è diverso. Per la prima volta c'è un governo espresso da una maggioranza legittimata dal voto popolare (nel '94 vinsero due poh ben distinti, con un solo fattor comune, ma per il resto contrapposti); un governo politico, dunque, che ha davanti a sé una intera legislatura e che, quindi, può programmare azioni tali da lasciare segni profondi nell'assetto, nella struttura, nella natura dell'intero Paese, della sua economia, del suo posizionamento in Europa e nel mondo. Ovvio, quindi, che la partita si faccia grossa: in gioco non sono più, di volta in volta, una tassa, un ticket, un finanziamento o un trasferimento, ma una politica, una strategia di lungo periodo. Questa politica si è formalizzata con il documento di programmazione economica e finanziaria del quale, per intenderci, basta sottolineare due assunti. Il primo è che, date le I condizioni degli altri Paesi e la I crisi che ha investito l'intera economia europea, prima di vincolarsi a parametri e date è bene vedere come si metteranno le cose: se davvero entro l'anno prossimo altri grandi Paesi avranno guadagnato le condizioni per partecipare alla moneta unica, anche l'Italia farà il necessario per essere tra loro; in ogni altro caso si vedrà cosa verrà deciso in sede europea. Il governo, dunque, coglie le difficoltà di Germania e Francia come attenuazione di quell'emergenza che di fatto restringe le possibilità di aggiustamento dei conti ai tagli sulla spesa sociale. Il secondo assunto, in parte corollario del primo, è che la spesa va tagliata, certo, ma tagliando una buona volta quella per interessi che non a caso le vestali del rigore non considerano affatto. Sulla spesa per interessi Ciampi - e non da ora - vede la possibilità di compiere l'aggiustamento senza penalizzare la crescita dell'economia, senza continuare a puntare tutto sul contenimento dei salari reali o su tagli ad una spesa sociale che è già tra le più basse d'Europa. La condizione è, ovviamente, l'abbattimento dell'inflazione, e qui la linea del governo si salda con quella della Banca d'Italia. Tutto ciò non è più semplice amministrazione tecnica, ma definisce una politica, con tanto di opzioni precise volte al perseguimento di obiettivi strategici. Logico che a molti non piaccia: non piace a chi beneficia di una rendita finanziaria consistente e senza tasse, a chi teme una economia senza gli aggiustamenti e le opportunità offerte dall'inflazione o dagli accomodamenti del cambio, non piace a quanti contano di occupare gli spazi lasciati liberi da una eventuale riduzione dei servizi sociali dello Stato. Questa opposizione, o se si preferisce questa linea alternativa a quella del governo, non ha la possibilità di manifestarsi nelle sedi politiche. La destra non si è ripresa ancora dalla sconfitta elettorale, sta interrogandosi sul suo futuro e sui leaders che possano guidarlo. Ciò nondimeno questa opposizione c'è ed è vitale; è esplosa dove poteva esplodere, sui giornali, innescata dalle critiche di un Monti che, forse, qualche progetto politico da tempo va coltivando e che, comunque, certo non a caso, viene sempre più spesso ipotizzato come il possibile leader di un centro-destra prossimo venturo. Alfredo Recanatesi esj
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